Sputtanati e sputtanatori
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Sputtanati e sputtanatori

Più che la corruzione in sé, il problema è far finta di non vedere i corrotti perché portano voti

Sbattere il mostro in prima pagina, specialmente se politico, è facile, scatena applausi da gladio romano, titilla la voglia di rivalsa su una categoria screditata e spesso incapace, risveglia l'istinto da branco che alligna in noi quando si vede un potente cadere nella polvere.

Da qualche tempo, ho avviato una rubrica che si chiama Lo scagionato della settimana per pagare tributo a quelle persone finite nei titoloni quando sono accusate, quasi ignorate quando sono assolte.

Hanno avuto spesso reputazioni, carriere e aziende distrutte per poi sentirsi dire "avevamo sbagliato". Gli anni di tangentopoli ci hanno svelato che la corruzione era (ed è) diffusa ma ci hanno anche mostrato che quando si vuole processare un'intera classe politica e non i singoli episodi e i singoli soggetti, quando nei tribunali si vuole essere giustizieri più che giudici, quando sui giornali si preferisce la presunzione di colpevolezza a quella di innocenza, si apre una prateria di abusi, arbitrii, forzature, condanne preventive, di errori e di mostruosità.

A volte, ascoltando Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani pulite, mi convinco che lui vede il politico come un uomo antropologicamente colpevole.

Il caso che ha riacceso la discussione sul tema è partito da Fanpage. Il sito napoletano ha mandato un camorrista pentito a proporsi come imprenditore corruttore, per poi filmare i suoi interlocutori politici e parapolitici e così documentare come questi ultimi trattassero, chiedessero, si accordassero con lui su appalti, incarichi e valigette di soldi.

Ho letto interessanti e fondate argomentazioni sulla barbarie dello sputtanamento di certo giornalismo di successo e sul rischiosissimo uso di istigatori alla corruzione che Davigo vorrebbe in ogni angolo di strada.

Non si può indurre una persona a delinquere, poi metterlo alla gogna perché delinque. Per questo è stato indagato il direttore di Fanpage. E mi domando se avrebbe mandato in onda il video qualora l'interlocutore avesse respinto le avance.

Premesso tutto ciò, vi chiedo: avete visto nel filmato il signor Biagio Iacolare (presidente dell'azienda che smaltisce i fanghi, ora dimessosi) ma soprattutto il suo braccio destro Mario Oliviero, entrambi politici campani fedelissimi dell'onorevole De Mita? Se li avete visti, dovete dirmi se c'entrano, in questo caso, l'adescamento e l'istigazione.

Il signor Oliviero non sembrava aver bisogno di abboccare ad alcunché: dettava le regole, sapeva che cosa chiedere, come far ottenere l'incarico, come dividere i soldi, le percentuali e i ruoli. Adescato? Tentato dal guadagno facile? Guardatelo e ditemi.

Adesso lui sostiene che i cinquantamila euro erano l'onorario per la sua consulenza. La corruzione non c'è stata perché i soldi erano carta straccia e perché l'agente provocatore non è legale e va perseguito. Caso chiuso. Ma così si finge di vedere solo l'aspetto giuridico e giudiziario.

L'onorevole De Mita, di cui sono stati appena celebrati i 90 anni e la sua onorata carriera politica (auguri) non ha detto una parola. Oliviero faceva capo a lui.

Il presidente Vincenzo De Luca che con Iacolare Oliviero ha concluso accordi politici per vincere le elezioni campane, ha difeso i suoi figli in effetti solo sporcati dal sospetto, senza profferire verbo sui suoi indispensabili alleati.

Il problema non è consegnare ai Torquemada Davigo i corrotti (che sono in tuttii partiti, ipocrita negarlo). Il problema è far finta di non vederli, il problema è tenerseli perché portano voti che altrimenti migrerebbero verso partiti avversari.

Invece, andrebbero messi alla porta della politica, andrebbero estromessi dalla gestione della cosa pubblica.

Mio padre Giacomo, era architetto stimato dai più. Mi raccontò che quando ebbe il suo primo incarico di prestigio, l'imprenditore che eseguiva i lavori, gli portò in cantiere per Natale una busta con dei soldi. Era il regalo che intendeva fare al progettista direttore dei lavori, non una tangente dunque. Papà mi spiegò che non accettò quel dono perché accettandolo sarebbe stato sempre in debito con quell'uomo e lui voleva invece rimanere libero.

Quando rifiutò la busta, l'imprenditore lo guardò sbalordito. "Ma architetto, non pensa al futuro suo e dei suoi figli?". Mio padre rispose soltanto: «È proprio perché ci penso che non posso accettare».

Anche volendo considerare estremo l'atteggiamento di mio padre, finché i partiti non pretenderanno risposte simili dai propri politici, affileranno le lame di chi vive di ghigliottina.

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Raffaele Leone