Siria: si saldano le milizie islamiste
Mentre a Ginevra si discutono i termini di un cessate-il-fuoco, cresce il ruolo delle milizie islamiste “federate”, grazie anche al sostegno dell’Arabia Saudita
Lookout news
La Conferenza di Ginevra è alle porte, ma uno dei capitoli paralleli più importanti, cioè quello sugli accordi per il nucleare iraniano tra Teheran e l’AIEA (l’Agenzia ONU per il nucleare), è già stato rimandato: i negoziatori non s’incontreranno prima dell’8 febbraio prossimo. Ufficialmente il rinvio è funzionale a “verificare l’accordo e risolvere le controversie” ancora in essere, stando a quanto riferito in prima persona dal capo dei negoziatori iraniani, Abbas Araqchi. Il quale, nonostante ciò, parla comunque dell’esistenza di un corpus di una trentina di pagine circa, in cui sono già tracciate e stabilite le linee guida generali. Dall’Iran trapela anche la notizia che un’ulteriore parte pregnante dell’accordo - che però sarebbe un “non paper”, dunque un’intesa raggiunta ma non scritta - avrebbe trovato pieno assenso tra i partecipanti alle consultazioni (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza ONU più la Germania) e ora resterebbe solo da trascriverla. Allora perché rimandare?
Forse, prima si vuol esser certi che saranno finalmente sciolti i nodi principali che emergeranno durante la Conferenza di Ginevra. Pardon, di Montreux. Sì, perché, come per quest’attesissimo simposio sulla pace cambiano le carte in tavola ogni settimana, così anche la sede originaria è mutata, dovendosi adattare alla cartellonistica ginevrina che prevede negli stessi giorni il più concreto “Salone dell’alta orologeria”, che ha già assicurato alla città alberghi pieni e un consistente giro d’affari. Almeno per il primo giro di colloqui, dunque, il tavolo è stato approntato a Montreux. Ubi maior, minor cessat.
Jabhat Al Islam, la Federazione di Brigate Islamiste
In mezzo a tutto ciò, dobbiamo ancora da parlare di Siria, dove la battaglia infuria senza curarsi della diplomazia in Europa. Nelle ultime settimane, gli americani in prima battuta, cui si sono accodati poi anche gli inglesi, hanno minacciato la Coalizione Nazionale Siriana che non sosterranno più le opposizioni né invieranno aiuti al Free Syrian Army, se a Montreux-Ginevra non vi sarà una rappresentanza dei ribelli in armi. Ma il CNS ha prima glissato e poi contestato duramente le richieste occidentali: al momento in cui scriviamo, non sembra che parteciperanno ai lavori.
Poco male, in ogni caso le opposizioni “moderate” hanno sempre meno potere contrattuale e ancor meno voce in capitolo sul terreno di scontro, dove sono invece le forze islamiste ad aver preso il controllo delle operazioni sul campo, combattendo e sconfiggendo quasi ovunque le forze che fanno riferimento al Free Syrian Army, attestate al confine nord della Siria sopra Aleppo e dintorni.
Secondo le ultime informazioni, il passaggio verso la Turchia sarebbe ora in mano a Jabhat al Islam, una nuova federazione di brigate di jihadisti (nata alla fine di novembre) che ha cacciato il Free Syrian Army e ha preso contatti diretti con l’intelligence turca e, soprattutto, quella saudita.
Jabhat al-Islam (o Islamiyya o The Islamic Front) sarebbe ora il pericolo principale ed emerge come il vero nemico da battere per l’esercito di Bashar Assad. La federazione includerebbe al suo interno numerose brigate combattenti (alcune note e altre appena costituite), tra cui: Harakat Ahrar as-Sham, Suqur as-Sham, Liwa at-Tawhid, Jaysh al-Islam, Jabhat al-Kurdiyya, Liwa al-Haqq e Ansar as-Sham. Secondo fonti d’intelligence attendibili, questo raggruppamento conterebbe non meno di 45mila uomini sul campo.
Arabia Saudita e Turchia sono ora i loro referenti principali: entrambe le nazioni, sia pur con toni e modi diversi, ormai sembrano puntare tutto sulle milizie di Jabhat al-Islam, per condurre il conflitto siriano verso una vittoria contro i governativi. In particolare, Bandar bin Sultan, a capo dell’intelligence saudita, starebbe tessendo per conto di Riad una rete di aiuti tesa ad accrescere ancora il potere militare della federazione di milizie islamiste, che si dovranno poi occupare di defenestrare una volta per tutte il presidente Assad, quasi che questa fosse ormai una questione personale per l’Arabia Saudita. Nondimeno, la Turchia è tuttora pienamente coinvolta nei piani sauditi e, anche con la mediazione dell’intelligence francese, sostiene il nuovo equilibrio che si va disegnando lungo i confini turchi.
Gli scenari possibili
Con buona pace dei diplomatici in Svizzera, dunque, tutto ciò lascia presagire la prosecuzione dei combattimenti e un nuovo spargimento di sangue tra le forze ostili - Jabhat al-Islam, Free Syrian Army ed esercito siriano - in un “tutti contro tutti” che non si potrà risolvere soltanto con un cessate-il-fuoco stabilito a Ginevra.
Nonostante anche la Russia abbia espresso pressoché la stessa opinione degli Stati Uniti e del Regno Unito in merito alla rappresentanza a Ginevra-Montreux delle opposizioni riconosciute, l’Arabia Saudita (che sarà presente alla Conferenza) tira dritto e sembra non voler aspettare la soluzione che - si vocifera - le grandi potenze avrebbero già trovato: ovvero, sostituire Bashar Assad tra alcuni mesi, pur mantenendo il clan alawita nei posti-chiave del potere siriano.
Resta l’incognita Iran: solo se la Repubblica Islamica collaborerà e accetterà la sostituzione del presidente Assad con un governo di transizione, si potrà isolare davvero la posizione saudita e giungere più vicini a un accordo, se non di pace, almeno di una più duratura cessazione delle ostilità. Ma, lo ripetiamo, la battaglia infuria.