Siria: Putin e Obama, così vicini, così lontani
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Siria: Putin e Obama, così vicini, così lontani

Solo un intervento congiunto russo-americano potrebbe eliminare il pericolo Isis. Ma pesa il ruolo scomodo di Assad

Grande è la confusione sotto il cielo di New York. Il confronto in diretta mondiale alle Nazioni Unite tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il premier della Federazione Russa, Vladimir Putin, seguito da un meeting a quattr’occhi negli uffici del Palazzo di vetro, non ha fatto chiarezza su come la comunità internazionale debba affrontare la crisi siriana e i suoi effetti destabilizzanti sullo scacchiere mediorientale e, grazie al flusso incontrollato di rifugiati, sul continente europeo.

 Prima di analizzare le posizioni emerse durante il confronto russo-americano del 28 settembre, è bene tuttavia ricordare le durissime parole con le quali il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, ha stigmatizzato l’inerzia delle grandi potenze di fronte alla crisi siriana.

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L’ira di Ban Ki-Moon
Il solitamente (fin troppo) mite e tentennante Segretario Generale coreano, inaugurando la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha lanciato durissime accuse contro il Consiglio di Sicurezza che dal 2011, anno di avvio della guerra civile in Siria, non è mai riuscito a prendere una posizione univoca su una crisi che, a norma di statuto dell’Organizzazione, doveva richiedere misure appropriate, anche militari, per affrontare e risolvere una guerra civile che finora ha provocato oltre 250.000 vittime, che ha stimolato la nascita dello Stato Islamico e destabilizzato l’intero scacchiere mediorientale.

 I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (le grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale tutte dotate di diritto di veto, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina), non soltanto non sono riuscite a proporre e adottare una linea comune, ma hanno agito tutte – tranne la Cina che ha mostrato sovrano disinteresse – in ordine sparso e con interventi “spot” che finora non hanno minimamente influenzato il corso degli eventi siriani.

 Purtroppo, le parole di Ban Ki-Moon sono cadute nel vuoto, contribuendo a confermare l’immagine negativa di un’ONU incapace ormai di rispettare il mandato per cui è stata fondata questa istituzione, e cioè quello di lavorare per mantenere la pace nel mondo.

 

Interventi surreali
Il disinteresse con il quale le due grandi potenze hanno accolto le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite è emerso chiaramente durante gli interventi di Obama e di Putin che, evitando di fare riferimento al (mancato) ruolo del Consiglio di Sicurezza, hanno duellato dialetticamente come se la crisi siriana debba considerarsi una “partita a due” tra potenze imperiali che si affrontano nell’arena geopolitica per mantenere il loro ruolo di domino sulle rispettive sfere di influenza, con buona pace del resto del mondo.

 Sotto questo aspetto, gli interventi dei leader di USA e Russia si sono rivelati abbastanza deludenti. I due presidenti si sono limitati a rinfacciarsi le solite reciproche accuse d’ingerenza negli affari di altri paesi, senza proporre misure concrete e realizzabili nel breve periodo per impedire ai siriani di continuare a scannarsi e agli jihadisti di espandere ulteriormente la loro influenza nella regione.


Le parole di Obama e Putin
Sul piano dialettico, la posizione di Barack Obama è risultata più debole della sua controparte russa. Il presidente americano, sfoderando la retorica ereditata da una lunga pratica legale come avvocato a Chicago, ha parlato del presidente siriano Assad non come il capo di un paese minacciato di estinzione, ma come un tiranno sanguinario impegnato non a difendere l’integrità della nazione ma a “uccidere donne e bambini”.

 Obama non è riuscito, peraltro, a chiarire la realtà delle forniture americane di armi ai ribelli “buoni” (quelli che si battono per un’ipotetica democrazia) e al frequente dirottamento di queste armi verso i gruppi di ribelli sunniti di Jabat al Nusra, che sono avversari dell’ISIS soltanto in teoria e per motivi di concorrenza all’interno di un’armata formata comunque da integralisti musulmani.

 Vladimir Putin dal canto suo ha avuto buon gioco nell’additare nell’intervento americano in Iraq e Libia la causa principale delle attuali condizioni d’instabilità in Medio Oriente e in Nord Africa, aggiungendo pesanti accuse circa il ruolo degli Stati Uniti nella crisi ucraina, innescata (“secondo informazioni certe”, ha sottolineato il leader russo) dal sostegno degli americani ai ribelli che hanno defenestrato nel febbraio dello scorso anno il “legittimo presidente Yanukovich”.

 

Il futuro della crisi siriana
Posizioni distanti, quindi, che potrebbero essersi avvicinate durante il colloquio a quattr’occhi tra Putin e Obama successivo all’intervento in Assemblea. Resta il fatto che la crisi in Siria continua, come continua l’instabilità di un paese come l’Iraq che non è riuscito ancora a darsi un assetto stabile dopo la disgraziata invasione americana del 2003.

 Solo un intervento congiunto russo-americano contro i ribelli siriani (della sorte di Assad si può discutere dopo) potrebbe stabilizzare la situazione sul terreno ed eliminare definitivamente il pericolo ISIS. Saranno capaci russi e americani di smetterla con i battibecchi per organizzare un’azione congiunta e coordinata? D’altronde, Washington e Mosca si sono già alleati per combattere contro Hitler e oggi il Califfato è una minaccia pari a quella del nazismo, come sottolineato dallo stesso presidente Putin.

 Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU però continua a tacere, mentre in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa la gente continua a morire o, se è fortunata, a scappare verso l’Europa. Stalin un giorno disse che “la morte di un uomo è una tragedia, mentre la morte di migliaia di persone è una statistica”. Se USA, Russia e Nazioni Unite continueranno nei giochi dialettici e se le due superpotenze continueranno soltanto a polemizzare, la “statistica” in Siria e Iraq continuerà a crescere.

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