Siria: le conclusioni del negoziato di Astana
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Siria: le conclusioni del negoziato di Astana

C'è un’intesa di base tra Mosca, Ankara e Teheran, ma le assenze di Usa, Riad, curdi e islamisti pesano ancora troppo

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Dopo due giorni di colloqui e di scontri verbali anche violenti, si sono conclusi ieri 24 gennaio ad Astana, capitale del Kazakhstan, i negoziati tra i ribelli siriani e il governo di Damasco sotto la supervisione di Russia, Turchia e Iran. Scopo del negoziato è stabilizzare l’accordo per un cessate-il-fuoco nella regione raggiunto lo scorso 30 dicembre dopo la riconquista definitiva di Aleppo, la seconda città della Siria, da parte delle forze fedeli al regime di Bashar Al Assad, militarmente sostenute da russi e iraniani. Nei due giorni di caotici e tesi colloqui, nel corso dei quali i rappresentanti dei ribelli si sono rifiutati di dialogare direttamente con la controparte siriana, si sono comunque raggiunti due importanti risultati.

 Il primo, sul piano militare, è rappresentato da un accordo tra Mosca, Teheran e Ankara in merito alla necessità di “assicurare un rispetto completo del cessate-il-fuoco” da parte di tutte le forze in campo. È un passo importante questo, perché vede i tre maggiori sponsor esterni dei principali contendenti sul terreno (le forze di Damasco, sostenute da russi e iraniani da una parte, e i ribelli “non islamisti” appoggiati finora dai turchi dall’altra) agire congiuntamente per aprire prospettive di pace. Il secondo risultato è politico, in quanto nel comunicato finale si è stabilito l’impegno a “garantire la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Repubblica siriana come stato multietnico, democratico e multireligioso”.

 

La base di accordo comune
La dichiarazione – nella quale si ribadisce che “non esiste una soluzione militare” della crisi siriana, che pertanto può essere risolta solo con un negoziato politico come stabilito dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con la risoluzione 2254 – è stata sottoscritta dalle delegazioni della Repubblica Islamica dell’Iran, della Federazione russa e della Repubblica di Turchia e, pur non essendo stata sottoscritta formalmente dai rappresentanti dei ribelli, non è stata da questi formalmente rigettata. Pertanto, potrà rappresentare una buona base di negoziazione quando il prossimo 8 febbraio si aprirà una nuova tornata di colloqui di pace a Ginevra, sotto la direzione dell’inviato speciale delle Nazioni unite per la Siria, Staffan De Mistura.

Dal canto loro, i tre paesi firmatari della dichiarazione si sono formalmente impegnati a “combattere insieme” per eliminare dal teatro siriano la minaccia costituita dalle milizie dello Stato Islamico e dai loro alleati (a intermittenza) di Fateh Al Sham, già noto come Fronte Al Nusra e considerato una costola di Al Qaeda.


 

La posizione dei ribelli e del regime
Per il capo dei negoziatori ribelli, Mohammed Alloush, la dichiarazione finale è però un “bicchiere mezzo vuoto” perché, a suo avviso, il testo legittima “lo spargimento di sangue in Siria provocato dall’Iran (Alloush si è ben guardato dal citare l’impegno militare russo, ndr) e non fa alcun riferimento al ruolo delle milizie sciite che combattono contro i ribelli”. Alloush ha affermato di aspettarsi che la Russia sia la vera garante del cessate il fuoco.

 

Il capo negoziatore siriano, l’ambasciatore all’ONU Bashar Jaafari, ha invece approvato in toto la dichiarazione finale, anche se ha sottolineato che alcune “limitate” operazioni militari proseguiranno per riprendere il controllo dell’area di Wadi Barada, alle porte di Damasco, dove alcune milizie in parte fedeli ai salafiti di Fateh Al Sham controllano un bacino idrico essenziale per il rifornimento di acqua alla capitale.

 

Assenze pesanti ad Astana
Nonostante gli scontri dialettici e i numerosi distinguo, i due giorni di Astana possono essere considerati un successo della diplomazia di Mosca, che li ha fortemente voluti. Per ammissione di molti diplomatici occidentali presenti nella capitale kazaka come osservatori, i colloqui dell’Hotel Rixos costituiscono un passo avanti verso la soluzione della crisi e rappresentano una buona base negoziale in vista della riunione di Ginevra del prossimo 8 febbraio.

Sono emersi, tuttavia, evidenti limiti e ostacoli difficilmente superabili se si vuole vedere l’inizio della fine di una guerra civile che ha provocato oltre 400mila vittime e 3 milioni di profughi. Mancano, infatti, al tavolo negoziale importanti altri attori locali ed esterni, senza la cui partecipazione al processo di pace difficilmente il conflitto siriano troverà una soluzione definitiva


Hanno, infatti, brillato per la loro assenza in tutto il processo di pace gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo, che tanto si sono spesi negli ultimi sei anni per far cadere il governo di Assad appoggiando le varie milizie ribelli e che ora, a partire proprio dal prossimo 8 febbraio, dovranno essere in qualche modo coinvolti nella ricerca di una soluzione a un problema che hanno contribuito a creare.

Washington potrebbe rientrare in campo al fianco della Russia – come promesso in campagna elettorale dal presidente Trump – per combattere contro il Califfato, mentre ai sauditi e ai loro alleati del Golfo dovrebbero essere date garanzie da parte di Mosca e dei suoi nuovi “amici” turchi, sul ruolo che nella regione potrà giocare l’Iran.

 

La Turchia a sua volta pretenderà di essere sostenuta nel suo sforzo di impedire ai curdi siriani di unirsi a quelli iracheni e di fondare un proprio stato. Una partita complicata che, per quanto riguarda i curdi e gli islamisti del Califfato e di Fateh Al Sham, dovrà prevedere o il loro coinvolgimento o al loro eliminazione totale. Tertium non datur.

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Alfredo Mantici