Siria: la tregua è sempre più fragile
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Siria: la tregua è sempre più fragile

Mentre Kerry propone una tardiva “no-fly zone”, i russi inviano nel Mediterraneo la portaerei “Ammiraglio Kuznetsov"

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Dopo appena una settimana dalla sigla del cessate il fuoco in Siria, raggiunto dopo un estenuante negoziato tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e il suo omologo russo, Sergei Lavrov, la situazione in Siria è tornata in alto mare.

Il primo scossone alla fragile intesa che, è bene sottolineare, non era stata firmata dalle forze che si contendono la vittoria sul terreno, e cioè i militari governativi da una parte, e i ribelli del Free Syrian Army dall’altra (i miliziani jihadisti del Califfato e di al-Nusra erano esclusi dalla cessazione dei combattimenti), si è avvertito sabato 17 settembre, quando aerei statunitensi e australiani hanno colpito una base dell’esercito di Damasco, uccidendo circa 90 soldati e ferendone diverse decine.

Di fronte alle furenti proteste di russi e di siriani lealisti, gli americani, con molto imbarazzo, si sono scusati per quello che il Pentagono ha definito un “errore non intenzionale”, che ha costretto il portavoce della Casa Bianca a esprimere pubblicamente il “rammarico del presidente Obama per la perdita non voluta di soldati delle forze armate siriane che combattono contro lo Stato Islamico” (da notare come questa sia la prima volta che l’amministrazione americana riconosce il ruolo dell’esercito di Bashar al-Assad nella lotta contro l’ISIS, ndr).

Errore intenzionale o meno, il bombardamento “accidentale” è stato seguito, dopo solo due giorni, da un altro gravissimo incidente. Il 19 settembre, infatti, un convoglio delle Nazioni Unite, carico di generi di prima necessità destinati alla popolazione di Aleppo, stremata da un assedio sempre più sanguinoso, è stato bombardato alle porte della città, nella località di Urum al-Kubra. Il bilancio è di venti operatori umanitari morti.

Polemiche e accuse incrociate
Le polemiche dopo la strage sono state immediate. Gli americani, seguiti a ruota dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, hanno esplicitamente accusato russi e siriani i essere, i primi, i mandanti della strage, e i secondi, gli autori materiali del bombardamento. A sostegno di questa tesi, fonti del Pentagono hanno sostenuto che, immediatamente prima del bombardamento, due aerei Sukhoi 24, di fabbricazione russa e in dotazione sia alle forze aeree di Mosca che a quelle lealiste, avevano sorvolato il convoglio.

Secondo Washington, i russi, in quanto sponsor del governo di Damasco, sono comunque responsabili dell’episodio. I russi, dal canto loro, hanno vigorosamente negato ogni responsabilità. Il portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il generale Igor Konashenkov, ha sostenuto che dallo studio delle immagini dell’incidente “non emerge alcuna prova che il convoglio sia stato bombardato dall’alto. Non si vedono né crateri né danni sugli automezzi riconducibili alle bombe di cui sono dotati i nostri aerei.” Il ministero della Difesa russo ha poi diffuso le immagini riprese da un drone che mostrano il convoglio mentre viene affiancato da un pick-up non identificato armato con un mortaio pesante. Il generale Konashenkov ha anche aggiunto che un drone americano di tipo Predator armato di missili aria-terra, decollato dalla base turca di Incirlik, volava nella zona di Urum al-Kubra al momento dell’attacco e si è allontanato trenta minuti dopo l’evento, sottolineando prudentemente che “noi non saltiamo a conclusioni affrettate. Solo i suoi proprietari sanno perché il drone si trovava in quel momento sul posto e che tipo di missione stava conducendo…”.

  Una tregua precaria
Il segretario di Stato americano Kerry ha tentato di riattivare la tregua proponendo di stabilire una sorta di “no fly zone”, una zona cioè di interdizione totale dei voli sulle aree interessate dall’emergenza umanitaria. Proposta ingenua e pericolosa perché potrebbe portare, in caso di violazione anche accidentale, a scontri diretti tra russi e americani.

La tregua al momento è ripresa ma resta precaria: in primo luogo, è stata firmata solo da americani e russi e non dai rispettivi protégé, il Free Syrian Army da una parte, e il governo di Damasco dall’altra. Inoltre, e questo è un dato preoccupante, l’accordo raggiunto dai diplomatici non è stato bene accetto dai militari di ambedue gli schieramenti. Sia esponenti anonimi del Pentagono, che loro “colleghi” russi, non hanno esitato a prendere le distanze da un negoziato che potrebbe vanificare i risultati delle operazioni militari ottenuti sul terreno.

Tra sospetti reciproci e resistenze, la tregua nelle ultime 24 ore ha retto e l’Onu sta organizzando la partenza di un altro convoglio di aiuti per Aleppo. Intanto, però, il 21 settembre, il ministro della Difesa della federazione russa, Sergei Shoigu, ha annunciato l’invio nel Mediterraneo della portaerei pesante “Ammiraglio Kuznetsov” armata di missili da crociera, per rinforzare la squadra navale russa già schierata sulle coste siriane.


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Alfredo Mantici