Siria: la paralisi dell'Onu e la retorica di Barack Obama
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Siria: la paralisi dell'Onu e la retorica di Barack Obama

"Il regime di Assad deve finire, il popolo siriano vedere una nuova alba", dice Obama a New York, ma l'atroce verità è che le violenze continueranno

Parole, parole, parole. Che nascondono l’impotenza dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti d’America riguardo alla Siria, alla confusione e ai rischi dell’autunno arabo, agli irrisolti conflitti in Medio Oriente. Nella 67a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York, il protagonista più atteso era come sempre il leader del più potente (politicamente e militarmente) Paese del mondo, il presidente americano Barack Obama. Ma il passaggio del suo intervento dedicato al nodo di questi mesi, la guerra civile in Siria, è apparso debole e retorico. “Il regime di Bashar el-Assad deve finire”, ha detto. “Il futuro non può appartenere a un dittatore che massacra il suo popolo, i siriani devono poter vedere una nuova alba”. Peccato che il sole non nascerà all’orizzonte dell’ONU né degli altri organismi internazionali. Pesa il doppio veto di Russia e Cina a qualsiasi iniziativa del Consiglio di sicurezza più decisa nei confronti del regime di Damasco e in appoggio alla rivoluzione.  

Obama e gli europei continuano a lanciare moniti, a sollecitare l’esilio del dittatore, a sostenere i ribelli (insieme ai Paesi del Golfo in chiave anti-iraniana). Ma la comunità internazionale come tale si lava le mani delle crudeltà del confronto: 29mila morti con punte di 1.100 a settimana, due milioni e mezzo di civili nella disperazione, la metà (un milione 200mila) profughi interni, un flusso continuo di fuggiaschi che varcano le frontiere soprattutto con la Turchia (360mila accampati al confine) e Paesi limitrofi fragili come il Libano o a rischio contagio come la Giordania da 18 mesi sotto pressione, anche economica.

Come non bastasse, Save the Children ha appena presentato all’Assemblea dell’Onu un dossier sui crimini contro i bambini, vittime predestinate di ogni guerra, le più indifese. Un elenco terribile di uccisioni e torture, con testimonianze come quella di Hassan, 14 anni (“Corpi di morti e feriti erano sparsi a terra ovunque, c’erano pezzi di cadavere uno sull’altro e i cani hanno mangiato i resti per due giorni dopo il massacro”) o Wael, 16: “C’era un bambino di 6 anni in una stanza ed è stato torturato più di tutti. È sopravvissuto per tre giorni, poi non ce l’ha fatta più, è morto”.

Che fare? Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, giura che “la Siria è la priorità nella mia agenda”, e aggiunge che il conflitto a Damasco “mette ormai in pericolo la pace mondiale”. Ma il rappresentante speciale dell’Onu per la Siria, Lakhdar Brahini, ammette di non avere un piano, che “le cose in Siria vanno di male in peggio”.

Obama non riesce a tamponare o mitigare il fallimento della sua politica verso l’Islam e in tutta l’area con i proclami dal podio del Palazzo di Vetro. Lo stallo delle parole, l’impotenza delle decisioni, le atrocità che continuano da una parte e anche dall’altra (l’ultima è un’altra esplosione con decine di morti a Damasco), dovrebbero indurre a provvedimenti concreti ed estremi.

Per Obama la “linea rossa” che Assad non deve oltrepassare è l’uso delle armi chimiche. Ma ci sono altre “linee rosse” che ogni giorno vengono oltrepassate in Siria, e sono quelle denunciate da Save the Children.

È un mondo medievale quello in cui viviamo, senza organismi internazionali capaci di imporre la legge, la pace, il rispetto dei diritti umani. La paralisi dell’Onu innesca il dibattito sull’utilità stessa del carrozzone del Palazzo di Vetro. La vera domanda è se a Obama conviene, in vista del voto presidenziale del 6 novembre, raffreddare la situazione o scatenare un altro conflitto. L’altra domanda è se la Cina e la Russia possano considerare a oltranza più conveniente mantenere in piedi una dittatura, che comunque finora aveva garantito una certa stabilità in un’area altamente infiammabile del Medio Oriente, o avallare l’intervento “umanitario”.

In ogni caso il conflitto sarebbe un azzardo, i buoni e i cattivi non sono immediatamente riconoscibili, e il mondo è una Babele amorale che va in tutte le direzioni, tranne quella giusta. Sarà retorica pure questa, ma così va il mondo. Oggi e, temiamo, anche domani e dopodomani.      

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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