Siria e Iraq, qual è l’obiettivo finale degli alleati?
ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images
News

Siria e Iraq, qual è l’obiettivo finale degli alleati?

Ogni Paese gioca la propria partita nel conflitto: gli USA scommettono sui curdi, ma Turchia e sauditi hanno altro in mente

Per Lookout news

Né buoni né cattivi. Questa è l’unica certezza che abbiamo sulla guerra in Siria e Iraq. Non sono evidentemente “buoni” i miliziani sunniti dello Stato Islamico, ma non lo sono neanche gli uomini al comando del presidente siriano Assad, né rientrano in questa categoria i curdi, che al loro interno sono divisi e diversi, contrariamente a quanto vuol far apparire l’opinione pubblica, che ce li racconta come un blocco granitico. Senza parlare di Arabia saudita, Qatar e Stati Uniti, ciascuno dei quali ha una parte di colpe e responsabilità per lo scoppio della guerra. La Turchia, altro Paese difficilmente incasellabile e che forse più di tutti rende evidente il concetto di “zona grigia”, un’area virtuale che si estende sopra gran parte del Medio Oriente a oscurare le vere ragioni del grande conflitto in atto in questa regione e le motivazioni di ogni singolo Paese.

Lo stato dell’arte in Iraq
I fatti. L’Iraq resta il principale obiettivo dello Stato Islamico, che ormai ha adottato in questo Paese una politica di terrore e si sta concentrando su azioni diversive con autobombe e attacchi lampo contro le forze regolari, al fine di decapitare i vertici militari e dell’intelligence e infliggere pesanti sconfitte non tanto sul campo ma piuttosto sulla catena di comando delle operazioni.

 Azioni che sono forse preparatorie di un futuro assalto alla capitale irachena, Baghdad, dove oggi sarebbe però impossibile aprire una breccia per gli uomini del Califfato, ancora troppo deboli per porre un assedio di simili proporzioni. Anche perché sono ancora da mettere in sicurezza la grande provincia di Anbar e le forze sciite che tentano di riprendersi Tikrit, città strategica sul fiume Tigri a metà strada tra Mosul e Baghdad.

In Iraq si stanno organizzando sempre meglio anche gli iraniani. Mohammad Ali Jafari, che guida i Pasdaran, l’élite delle forze armate iraniane, si è incontrato con il premier iracheno Al Abadi a Teheran il 21 ottobre. Dalla riunione strategica è fuoriuscito un accordo tra i due Paesi per schierare in Iraq 500 uomini di Al Quds, i corpi speciali delle Guardie Rivoluzionarie, che addestreranno quel che rimane dell’esercito iracheno e prepareranno la difesa della capitale e delle altre aree sotto controllo sciita, che rappresentano pressappoco il meridione del Paese. In attesa di una futura controffensiva, anche reparti di Hezbollah in Iraq e altre milizie sciite verranno addestrati, a dimostrazione di quanto la divisione sciiti-sunniti sia profonda in questo Paese e resti il vero motore della guerra.

Solo lo Stato Islamico sinora ha palesato il proprio obiettivo finale, che è quello di costituire un Califfato Islamico ed eliminare la presenza sciita

La situazione in Siria
All’alba di lunedì 27 ottobre, i ribelli siriani hanno lanciato un’offensiva senza precedenti sulla città di Idlib, nel nord ovest della Siria, controllata dal 2012 dalle truppe governative del presidente Bashar Assad. Milizie qaediste e combattenti sunniti hanno attaccato simultaneamente edifici governativi, basi militari e check point, sfruttando anche il sostegno di cellule dormienti operative nella città, prima di essere respinti dalle forze di Damasco.

 Prendere Idlib consentirebbe di tagliare i rifornimenti all’esercito di Assad togliendo al regime il controllo dell’autostrada che raggiunge Damasco, una delle principali vie di rifornimento per le truppe regolari, e permetterebbe ai ribelli di rafforzare la propria influenza nella zona nord-occidentale della Siria, garantendosi la contiguità territoriale con la Turchia, alleata delle forze sunnite moderate e ostile alla permanenza al potere di Bashar Assad.

Jabhat Al Nusra, il fronte qaedista che ha stretto un patto di alleanza con lo Stato Islamico in questo Paese, nelle ultime settimane sta invece rallentando la propria avanzata nel nord-ovest e nel sud della Siria, in attesa della fine dei raid con cui l’aviazione del regime sta martellando tanto le zone tra Raqqa e Aleppo, quanto Homs e Talbisseh, ancora contese e mai definitivamente tornate sotto il controllo del regime.

 Il ruolo dei curdi
La nota dolente restano i curdi. È di oggi la notizia che i Peshmerga, i combattenti del Kurdistan iracheno che si sono fatti notare per l’abilità nel fronteggiare lo Stato Islamico in Iraq, hanno raggiunto la Turchia in 150 unità e si apprestano a entrare a Kobane, la città-simbolo della resistenza curda all’IS.

 Qui, lo Stato Islamico è avanzato ancora e adesso controlla anche il centro città, grazie agli almeno ottomila uomini schierati, contro gli appena duemila tra le forze curde. La mossa (eterodiretta) dei curdi si potrebbe però rivelare azzardata, perché per riprendere Kobane si sguarnisce un po’ il fronte iracheno, dove IS si è dimostrato più forte e pugnace.

 Ma, al di là delle tattiche locali, l’elemento dirimente resta il ruolo della Turchia che, se pure accetta la presenza di una parte dei curdi, non apprezza invece il ruolo crescente dell’YPG e del PKK, le fazioni curde armate considerate alla stregua dei terroristi che, divise anche al loro interno, rappresentano per Ankara più un elemento di instabilità che una soluzione, al contrario delle analisi semplicistiche di Washington, che le incoraggia e sembra non riuscire a distinguere i curdi moderati dagli altri curdi, tra i quali si annidano anche terroristi e persino jihadisti. Elementi questi che marcano le distanze tra Ankara e la Casa Bianca.

 Gli obiettivi della guerra
Solo lo Stato Islamico sinora ha palesato il proprio obiettivo finale, che è quello di costituire un Califfato Islamico ed eliminare la presenza sciita. Tutti gli altri, invece, nuotano in quella “area grigia” di cui sopra. Il presidente turco Erdogan è interessato solo alla guerra in Siria e all’eliminazione dell’odiato Bashar Al Assad. Gli Stati Uniti, invece, che non sanno neanche cosa vogliono, puntano a sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq con le sole forze curde, nonostante i mal di pancia turchi. L’Iran, invece, lavora per contare sempre più in ambedue gli scenari.

 Restano da analizzare Arabia Saudita e Qatar, veri sponsor del sunnismo in opposizione allo sciismo, che è al potere tanto in Siria quanto in Iraq. Riad ha fatto un passo in avanti verso la Turchia e i rispettivi servizi segreti lavorano alla defenestrazione di Assad attraverso il foraggiamento del gruppo salafita Ahrar Al Sham, mentre il Qatar, accusato di compromissioni tanto con Ahrar Al Sham quanto con lo stesso Stato Islamico, rimane ancora nel cono d’ombra della guerra ed è un potenziale fattore destabilizzante nei prossimi mesi.

Donne curde in lotta contro Isis

SAFIN HAMED/AFP/Getty Images
Dibis, Iraq, 15 settembre 2014.

I più letti

avatar-icon

Luciano Tirinnanzi