Le 5 ipotesi "ufficiali" di un attacco Usa alla Siria
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Le 5 ipotesi "ufficiali" di un attacco Usa alla Siria

Il comandante di Stato Maggiore USA, generale Dempsey, scrive al Congresso e illustra i piani d’intervento. Si avvicina il “big deal”?

(per Lookout News )
La lettera accorata sulla Siria inviata al Congresso USA del generale Martin Dempsey, l’uomo forte della Difesa che da quasi due anni presiede e coordina i Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate degli Stati Uniti, chiarisce molto della politica americana in Medio Oriente. Ma, allo stesso tempo, è una non-notizia.

Nel senso che i cinque punti elencati dall’unico comandante che riuscì a gestire “decentemente” le insurrezioni di Bagdad al tempo della guerra in Iraq (2003), erano noti da tempo. Solo che ora sono negli atti ufficiali del Campidoglio.

La NATO già mesi or sono - lo abbiamo scritto - era pronta a un attacco in Siria e le opzioni che Dempsey snocciola adesso nella missiva riservata al Congresso (solo dopo declassificata e resa pubblica, vedremo il perché) sono quasi un copia-incolla dei punti precedentemente annunciati, quando ancora l’indecisione di Obama era condizionata dagli alleati franco-inglesi, che stavano per trascinarlo come in Libia in una “guerra lampo”.

- Le cinque opzioni militari

In ogni caso, stavolta gli appunti per senatori e deputati sono circostanziati e ogni scenario è accompagnato dai relativi costi. Il listino dei prezzi che il generale di origini irlandesi ha mostrato ai membri del Congresso per l’intervento in Siria oscilla tra il mezzo miliardo di dollari l’anno e il miliardo di dollari al mese.

Tanto potrebbe costare agli Stati Uniti una delle opzioni, che nello specifico sono: assistenza agli oppositori del regime di Bashar Assad attraverso fornitura di armi, addestramento e consulenza (il meno doloroso e il meno costoso); strike mirati dell’aviazione per colpire obiettivi sensibili (siamo già a un miliardo al mese); imposizione di una no-fly zone (sul modello già visto in Libia); creazione di zone cuscinetto nel Paese, per proteggere la popolazione e isolare Assad; intervento più deciso per eliminare le armi chimiche.

Bisogna ammettere che la chiarezza non manca al generale e, certo, le cinque opzioni per l’intervento sono state spiegate al parlamento come si fa con i bambini. Ma, una volta tanto, esse aiutano a definire i confini di una guerra ipotetica.

- Vantaggi e svantaggi dell’intervento

Certo, la prima opzione - assistenza all’opposizione siriana - in pratica non modificherebbe poi molto lo status quo e, al netto di una spesa limitata (ma si può davvero ragionare in termini di risparmio su una guerra?), porterebbe al solo risultato di allungare a dismisura i tempi del conflitto, come accadde con la resistenza in Afghanistan contro i Sovietici negli anni ’80. Oltretutto, non avrebbe neanche il vantaggio di schivare le accuse di russi e iraniani, dato che l’iniziativa verrebbe subito bollata come “dichiarazione di guerra”.

La seconda opzione - gli strike mirati - costituisce al momento la più opportuna (si fa per dire) e concreta possibilità di successo per la strategia militare USA: annientare le difese peraltro non eccellenti dell’esercito siriano offrirebbe un via d’uscita praticabile che avrebbe, però, il solo scopo di aiutare a cadere più velocemente il regime. E poi?

La terza opzione - ovvero la no-fly zone - è piuttosto rischiosa, per il semplice fatto di essere una via di mezzo tra la seconda e la quarta opzione, ovvero la creazione di zone cuscinetto per isolare Damasco e i clan legati agli Assad dal resto del Paese. Se, infatti, si optasse per istituire una no-fly zone, si dovrebbe portare il lavoro fino in fondo (scenario libico). Perché stiamo parlando di una guerra e non di aviazione civile: alle battaglie nei cieli seguirebbe inevitabilmente un intervento di terra. E per defenestrare il presidente, simbolo indiscusso della Siria, si dovrebbe spingersi fin nel cuore del palazzo presidenziale di Damasco. Chi coordinerebbe una simile operazione?

Altrimenti, la terza opzione non avrebbe alcuna efficacia e la quarta porterebbe solo a una balcanizzazione, o polverizzazione se si preferisce, dell’entità statuale siriana, che cesserebbe di essere uno Stato propriamente detto. Il generale Dempsey conosce bene l’Iraq e ammonisce che questo è l’unico risultato vero da evitare: “abbiamo appreso la lezione del decennio scorso” scrive nella lettera.

L’ultima, la quinta opzione, ovvero l’estirpazione delle armi chimiche che si suppone siano nascoste negli arsenali sotto il controllo dell’esercito (tra Damasco e dintorni), vederebbero lo stesso scenario: un intervento di terra durissimo e diretto, che impegnerebbe in prima persona i soldati a stelle e strisce. Chi altri gestire gli armamenti chimici? Jabhat Al Nusra?

Ma qui siamo al perseverare diabolicum: se le armi chimiche risultassero inesistenti, chi lo spiegherebbe poi al mondo intero? Il presidente Obama perderebbe la faccia e, anche se non deve più rispondere all’elettorato, in questo modo ne risponderebbe alla storia.

- La realtà dei fatti

Il punto è che la lettera del generale Dempsey ci dice tutto quel che c’è da sapere sull’intervento in Siria: primo, ognuna di queste cinque opzioni esclude la Conferenza di Pace di Ginevra. Secondo, il fatto che sia di dominio pubblico serve molto probabilmente a saggiare e preparare l’opinione pubblica al peggio.

Terzo, e ben più importante, quella lista non offre al Congresso la reale possibilità di scegliere tra cinque ipotesi alternative tra loro. Al contrario, illustra precisamente cinque tappe di un unico piano di guerra complessivo, che i militari andranno a eseguire, una dietro l’altra.

Dunque, Barack Obama e il Congresso ci stanno pensando davvero: se diranno “sì”, gli Stati Uniti - e gli alleati - presto avranno la loro nuova guerra, il “big deal”.

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Luciano Tirinnanzi