Siria, è scontro tra John Kerry e il Pentagono
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Siria, è scontro tra John Kerry e il Pentagono

Alla Casa Bianca è andata in scena una lite furibonda tra il Segretario di Stato, che vuole l’intervento militare in Siria, e il Dipartimento della Difesa, ostile a ogni idea di Kerry

Per Lookout news

Non è come nei film americani di guerra, dove la sceneggiatura canonica prevede un acceso dibattito in seno alla Casa Bianca, nel quale l’entourage politico diffida il presidente dall’ordinare un’azione militare, mentre i generali delle forze armate spingono per fare la guerra. Ieri a Washington è stato proiettato uno spettacolo del tutto opposto.

 

“È scontro tra il Dipartimento di Stato americano e il Pentagono sulla strategia da seguire nell’ambito della crisi in Siria”, hanno scritto in merito il New York Times e il Wall Street Journal. A quanto pare, infatti, il Segretario di Stato americano, John Kerry, durante un meeting nella stanza ovale, ha tuonato contro il Dipartimento della Difesa (ovvero il Pentagono) e i vertici militari - alla presenza di Barack Obama, del capo di Stato maggiore, Martin Dempsey, e del Segretario alla Difesa, Chuck Hagel - accusandoli di non volere un coinvolgimento militare diretto in Siria.

 

Kerry, nel commentare lo stallo nella guerra civile che oppone il regime del presidente Bashar Assad alle multiformi forze ribelli, ha rispolverato l’opzione militare come soluzione per costringere Assad a cedere e accettare più miti consigli e un trattato di pace risolutivo. Ma Chuck Hagel ha risposto con un secco “no” all’ipotesi guerresca di Kerry. Il perché lo abbiamo già ascoltato mesi fa, quando il presidente Obama tracciò la sfortunata “red line” - c’era di mezzo un attacco con le armi chimiche contro la popolazione siriana - oltrepassata la quale il regime di Damasco avrebbe ricevuto una pioggia di bombardamenti americani.

 

Come noto, il presidente Obama fece poi marcia indietro, trincerandosi dietro la necessità di un assenso da parte del Congresso, e Assad accettò sia i colloqui di pace di Ginevra sia un programma di smantellamento dell’arsenale chimico. Nulla però è cambiato dalla scorsa estate né dallo scorso autunno né dal passato inverno: a primavera 2014, la Siria è ancora dilaniata da un conflitto che ha mietuto oltre 150mila vittime, le armi chimiche sono ancora in buona parte sul territorio siriano (nonostante un effettivo inizio lavori) e la Conferenza di Ginevra è stato un clamoroso quanto prevedibile insuccesso.

 

 

Il Segretario Kerry in difficoltà
Così, Kerry - che oggi sembra sempre più in difficoltà, soprattutto da quando il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, gli ha ripetutamente rubato la scena internazionale su numerose questioni - ha spinto motu proprio per uno scatto d’orgoglio statunitense, al fine di aggredire il dossier siriano e arrivare a un risultato che dimostri come il peso internazionale degli Stati Uniti non si sia ridotto.

 

Incalzato da Samantha Power, ambasciatore USA presso le Nazioni Unite, il Segretario di Stato ha commentato le quattro opzioni che il Pentagono offrì illo tempore a Obama per un intervento in Siria - che andavano dal sostegno militare all’addestramento dei ribelli, dalla no-fly zone fino a un più diretto coinvolgimento militare “boots on the ground” - chiedendo l'attuazione di almeno una di queste. Ha parlato persino della creazione di una zona cuscinetto interna al territorio siriano e di un crescente ruolo della CIA nelle operazioni. Argomento che i militari non gradiscono, visto che le operazioni segrete della Central Intelligence Agency sono quanto mai invise al Pentagono. E visto anche che chiedono da tempo al presidente che a sedere nella Situation Room ci siano più uomini con le mostrine e meno agenti speciali.

 

 

Il silenzio di Obama
Le cronache interne riportano che il presidente Obama sia rimasto in silenzio per tutto il tempo e che la sua reazione al botta e risposta tra Kerry e Hagel sia ancor oggi indecifrabile ai suoi stessi collaboratori. Tempo per riflettere il presidente ne ha avuto fin troppo e proprio adesso che si moltiplicano i dossier bollenti, dall’Europa al Medio Oriente, una decisione andrà forse presa. Ma non sulla Siria. Obama non ha mai davvero voluto l’intervento e non vorrebbe neanche dover affrontare il caso Ucraina. Il presidente desidera passare alla storia per le riforme interne (sanità, parità di genere, etc.) e per il memorabile accordo con l’Iran degli Ayatollah sul nucleare, e dare così uno schiaffo morale ai suoi detrattori e critici più feroci, alleati compresi (che vanno dall’Arabia Saudita a Israele).

 

Eppure, nel destino degli Stati Uniti sembra incombere sempre una guerra all’orizzonte. La Russia, che ben conosce il tallone d’Achille degli USA, a maggior ragione incalza gli USA su tutti i fronti e ottiene ogni giorno sempre più credito e autorevolezza internazionale a discapito proprio degli Stati Uniti. Vladimir Putin, stratega di non poco conto, sa bene fin dove può spingersi – vedi l’Ucraina - e pertanto provoca, forte delle entrature presso la Repubblica Islamica, del rafforzamento delle proprie posizioni in Europa e in Siria, e dell’abilità dei suoi diplomatici, che troppo spesso appannano il lavoro della Segreteria di Stato USA.

 

Conclusioni
Così, alla fine, John Kerry pare ormai isolato all’interno della stessa Casa Bianca. La sua posizione, inoltre, è resa ancor più debole dall’inchiesta pubblicata sul NYT dal premio Pultizer Seymour Hersh, che indica nei ribelli i responsabili dell’attacco chimico dello scorso 21 agosto, attacco che sarebbe stato fomentato dalla Turchia per forzare la mano degli Stati Uniti e costringerli a impegnarsi direttamente nella guerra civile.

 

Il repertorio di Kerry, insomma, appare scarico al punto da essere “umiliato” di fronte a Obama persino dai militari che, una volta tanto, si fanno riflessivi e prudenti e sconsigliano al presidente di avallare qualsiasi mossa gli abbia consigliato il Segretario. Barack Obama, però, è il comandante in capo e in politica estera non può premettersi di restare nel brodo primordiale dell’indecisione, dove ogni evento è frutto del caso o della decisione di qualche altro attore. La Siria merita una risposta netta, e così l’Ucraina e i tanti altri dossier caldi sulla sua scrivania. Ma a chi darà ascolto il capo, al Pentagono o a John Kerry? Questo sì che è un bel problema.

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Luciano Tirinnanzi