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ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
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Siri, Russiagate ed i compagni di viaggio di Salvini

Consiglio al leader della Lega: per evitare problemi scelga con attenzione i suoi uomini

Matteo Salvini si sente sotto assedio. È convinto che la storia del Russiagate, ossia di un presunto finanziamento da 65 milioni alla Lega mascherato dall’acquisto di milioni di tonnellate di petrolio in arrivo da Mosca, sia una trappola costruita ad arte per metterlo nei guai e ostacolarne la corsa. In effetti è molto probabile che le cose stiano come pensa il capitano leghista. Del resto, la registrazione di un incontro all’hotel Metropol con dei misteriosi emissari di Putin e tre italiani, tra cui un ex giornalista della Padania, ricorda molto quella che ha visto protagonista Heinz-Christian Strache. Ricordate? A maggio, il vicecancelliere austriaco oltre che leader del Partito delle Libertà fu costretto a dimettersi dopo la diffusione su alcune testate tedesche della trascrizione di una registrazione in cui si parlava apertamente di finanziamenti russi all’Fpo. A un certo punto spuntò anche un video, in cui Strache, ripreso in una villa di Ibiza in compagnia dei presunti emissari di un misterioso oligarca russo, appariva pronto a tutto in cambio di soldi. Un tranello ovviamente, ma che al politico austriaco è costato la poltrona e la carriera politica.

Nel Russiagate italiano, al momento non ci sono video e nemmeno registrazioni che riguardino il ministro dell’Interno. Però, nell’audio finito in mano alla Procura di Milano (che ha aperto un’inchiesta e indagato per corruzione internazionale Gianluca Savoini, il giornalista padano), si parla di denaro, tanto denaro, per l’esattezza 65 milioni, una maxi tangente da ricavare grazie alla fornitura di petrolio all’Eni. La società, partecipata dal Tesoro, ha già smentito, negando di aver mai trattato l’affare. Da quel che si sa, anche la banca citata nella registrazione e attraverso la quale avrebbero dovuto arrivare i fondi è caduta dal pero, escludendo di essere il tramite dell’operazione. Ma nonostante al momento non ci sia traccia di questi soldi, la faccenda è finita su tutti i giornali e dopo l’affaire dei 49 milioni di finanziamento pubblico, che la Procura di Genova rivuole indietro dalla Lega a seguito della condanna di Umberto Bossi per la gestione di quei fondi, questa è una tegola che può far male al vicepremier e al suo entourage. A prescindere da come procederà l’inchiesta e da eventuali altri colpi di scena, è ovvio che l’argomento dei quattrini russi sarà usato per fare la guerra a Salvini. Già si è visto: il Pd ha colto la palla al balzo per chiedere una commissione parlamentare d’inchiesta e il Movimento 5 Stelle, che nell’ultimo anno ha patito un’emorragia di voti a favore della Lega, si è subito accodato. Insomma, l’affaire russo non si chiuderà tanto in fretta e lascerà qualche strascico. Ma a prescindere da questo e dalla fondatezza delle accuse, se cioè ci sia stato davvero il finanziamento in rubli (a dircelo sarà la Procura) oppure se si tratti di una trappola in cui la Lega debba essere considerata vittima, resta un tema. Salvini può pensare che contro di lui si sia scatenata un’offensiva e che, vista la sua rapida ascesa, qualcuno stia cercando di fermarlo per via giudiziaria, senza cioè passare dagli elettori. Ma dovrebbe riflettere sul fatto che egli stesso ha dato una mano a chi lo vuole far fuori. Già, lo scandalo è scoppiato perché a Mosca, all’hotel russo, un tizio di nome Gianluca Savoini si è seduto al tavolo con tre misteriosi emissari russi e insieme a due italiani si è messo a parlare di aiuti alla causa leghista, di soldi e di petrolio. In quella stanza c’era un uomo ritenuto, a torto o a ragione, vicino a Salvini e non un esponente dell’opposizione o dei grillini. Noi non sappiamo a quale titolo Savoini fosse lì, perché partecipasse agli incontri della delegazione italiana con quella russa, né ci è dato di sapere chi lo abbia invitato all’incontro con Putin a Palazzo Chigi. Ma è ovvio che averlo al seguito è stato un errore. Dargli un incarico, fosse anche non ufficiale, e arruolarlo consentendogli di partecipare a delicate riunioni è stata una mossa sbagliata. Già con Armando Siri, Salvini aveva avuto un assaggio di ciò che succede quando ci si circonda di persone che possono essere attaccate, ma con Savoini è stato anche peggio, perché in mezzo non c’è un sottosegretario accusato di aver preso soldi. Qui l’obiettivo grosso è il partito e dunque lo stesso ministro e vicepremier. Ribadiamo, non sappiamo come finirà l’inchiesta, se ci saranno sviluppi o si risolverà tutto in una bolla di sapone, ma Salvini dovrebbe cominciare a scegliere con cura i compagni di viaggio se non vuole rischiare di finire nei guai. Che sia nel mirino è un fatto. Ma ad averlo preso di mira non ci sono solo quelli che gli recapitano al Viminale una busta con una pallottola. Ci sono anche altri e sono molto più pericolosi.
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Maurizio Belpietro