Se Monti succede a Monti
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Se Monti succede a Monti

Un governo tecnocratico, in democrazia, può essere solo una parentesi. Non un destino, come a volte fa credere il premier in carica

In Italia appena occupi una poltrona non ti ci stacchi più. Sembra che da noi producano una colla speciale, più potente del super attack. Il professor Monti sembrava immune al vizio dei politici nostrani di abbarbicarsi alla poltrona con le unghie e con i denti. La sua credibilità nasceva proprio dal fatto di non essere un politico di professione, ma un economista (laureato in giurisprudenza con indirizzo economico quando la materia non esisteva ancora nelle Università italiane). Era stato calato dall’alto del Colle come un deus ex machina nel teatro greco, ultimo atto della tragedia di un paese in balìa dello spread. Imposto per evitare un finale da tragedia greca. E si era assunto un compito importante con la seriosità del medico al capezzale del malato grave: arrivo, sistemo le cose, me ne vado. Per un anno e mezzo i partiti si sono tenuti (faticosamente e con qualche eccezione) un passo indietro, la politica si è rintanata nei suoi palazzi, ha lasciato lavorare i tecnici per rappezzare una situazione quasi irrecuperabile. La situazione è tuttora non recuperata. Lo spread sale. I tagli alla spesa sono in parte finti, in parte rinviati, in parte ingiusti.  

In tante occasioni abbiamo sentito il Professore parlare con distacco della sua esperienza di premier come una parentesi nella vita, senza passione (politica), solo come un dovere verso la nazione o, meglio, una sfida alle proprie capacità tecniche. Come quegli ingegneri che nel Golfo venivano chiamati a spegnere i pozzi di petrolio incendiati da Saddam Hussein. Ed era, questa, anche la sua forza rispetto alla legittima preoccupazione di quanti già parlavano di sospensione della democrazia. Quando mai si era visto in Europa, in Occidente, un goverrno tecnico, privo di legittimazione popolare? Nella Grecia sotto programma c’è stato un premier banchiere, ma a capo di una compagine tutta politica. Non era, come il nostro, un governo tecnocratico. La novità adesso in Italia è che questa “risorsa della patria” che si chiama Mario Monti ha dimostrato di essere anche lui uno “straitaliano” nel senso deteriore. Uno che gli dai un dito e si prende tutto il braccio. Uno che la poltrona gli fa girare la testa e gonfiare il petto. Uno che non se ne andrebbe mai. Che ci sta e ci vuol restare, per sempre. Che considera la missione un trampolino, il compito un’occasione.

In tutto il mondo libero le cose vanno diversamente. In Europa, la crisi ha portato alla caduta dei governi e, subito, a nuove elezioni. Perché questa è la democrazia. In Spagna (che non sta certo meglio di noi), Zapatero si è dimesso e oggi c’è un nuovo governo, politico, nei pieni poteri. In Francia, Sarkozy è stato battuto dallo sfidante Hollande. In Gran Bretagna, a Brown che aveva sostituito Blair (il quale Blair, dimissionario, ora fa altro, si occupa di Medio Oriente, scrive libri e tiene conferenze) è subentrato Cameron. In Grecia un tecnico stimato in tutto il mondo, già capo della banca nazionale poi nel Fondo monetario internazionale nonché professore in America, ha svolto per un brevissimo, cruciale periodo il suo lavoro ineccepibile di premier, e ha subito lasciato il posto a un nuovo esecutivo di responsabilità nazionale frutto di due drammatiche tornate elettorali. Tutto politico.

In Italia no. La poltrona è eterna. Chi svolge un lavoro lo vorrebbe fare per sempre. Chi è chiamato a riparare il rubinetto (il paragone non sia preso come lesa maestà, è il condirettore del Financial Times ad aver equiparato Monti a un “idraulico”) accetta di sedersi a tavola e flirta con la padrona di casa. La filosofia qual è? Quella del “visto che ci sono, ci rimango”. La filosofia del “perché no”. O, meglio, “perché non io”. O anche: “Il paese ha bisogno di me”. O infine: “Chi c’è più bravo di me?”. È anche questo che ha rovinato l’Italia: l’incoerenza e la mancanza del senso e dei limiti del proprio compito. Certo, se Monti continua a non risolvere i problemi sarà inevitabile che resti finché non ci sarà riuscito. Nel frattempo, chi meglio di Lui?

PS Il prof si è affrettato oggi a escludere la successione a se stesso nel 2013. Speriamo che sia vero. Che sia lezione definitiva. Che nessuno glielo chieda nel supremo interesse della patria e sia "costretto" ad accettare. E che già domani nei retroscena dei giornali non "trapeli" un'altra versione del Monti-retropensiero.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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