Se il primo viaggio di Bersani premier è in Libia
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Se il primo viaggio di Bersani premier è in Libia

La decisione del segretario pd di andare a Tripoli, come primo atto della sua lunga campagna verso Palazzo Chigi, apre scenari per nulla rassicuranti

No, vi prego, non può essere vero. Pier Luigi Bersani, che con la vittoria nelle primarie contro il sindaco di Firenze Matteo Renzi si ritrova a capo della più gioiosa macchina da guerra mai messa in campo dalla sinistra per vincere le elezioni e andare al governo, ha dato l’annuncio (inevitabile per chiunque in Italia si proponga di fare il premier sottoponendo le proprie credenziali all’estero) che compirà un tour delle cancellerie europee. Solo che come prima tappa ha scelto... la Libia!

Bersani sostiene che bisogna recuperare il ruolo perduto dell’Italia nel Mediterraneo. E adocchia Tripoli. Attenzione: non l’Algeria in crescita che attira sempre più fondi e finanziatori e il cui governo è stabile e rispettato, essendo riuscito a scongiurare le turbolenze climatiche della primavera araba. Non l’Egitto di Mohamed Morsi, che nonostante le manifestazioni degli ultimi giorni a Piazza Tahrir ha recuperato un ruolo di primo piano sulla scena internazionale anche grazie alla mediazione risolutiva nella “guerra degli 8 giorni” tra Israele e Hamas e è oggi la punta di diamante e insieme la cartina di tornasole di tutte le primavere arabe compiute e/o incompiute. No: la Libia!

Si suppone che Bersani incontrerà il primo ministro Ali Zidan (o Zeidan), ex ambasciatore in India e avvocato dei diritti umani, liberale, eletto poco più d’un mese fa dopo la rinuncia del candidato dei Fratelli Musulmani, ma tuttora esposto al caos politico e tribale della “nuova” Libia post-guerra civile. Un paese pericoloso (ne sanno qualcosa gli americani che si sono visti uccidere l’ambasciatore a Bengasi), nel quale riescono a muoversi con qualche successo solo affaristi e imprenditori, soprattutto quelli che hanno in Libia una storica presenza (gli italiani, per esempio). Ma un paese che non ha oggi neppure lontanamente il peso politico che aveva nello scacchiere arabo, africano e mediterraneo la Libia di Gheddafi tornata amica dell’Italia suo ex dominatore coloniale. Un paese oggi in balìa delle milizie armate in gran parte del suo territorio. È da questa Libia malconcia e con interlocutori provvisori, anzi precari, che parte il tour del prossimo primo ministro italiano, Pier Luigi Bersani da Bettola, Emilia. L’uomo nuovo che si crede già presidente del Consiglio. Come candidato premier dell’Italia avrebbe fatto meglio a partire da Parigi, Berlino, Londra o anche Washington. Ma forse non ha avuto scelta. Da premier di fatto, in pectore o designato, auto-incoronato o sedicente, vola invece a Tripoli. E lo fa dopo aver ribaltato in un solo giorno, in chiave anti-atlantista e anti-israeliana, la politica estera italiana degli ultimi anni, uno dei pochi campi nei quali pochi (e a torto) potrebbero rimproverare qualcosa a Berlusconi. Il Cavaliere aveva stretto una solida amicizia con Israele ed era riuscito al tempo stesso a preservare e, anzi, consolidare i rapporti con tutti i leader e i paesi mediorientali e nordafricani, arabi e islamici.

Ma siccome tutto questo non può essere vero (e a ben pensarci è anche un po’ buffo e un po’ patetico), una spiegazione dev’esserci e c’è. In realtà, Bersani va a Tripoli non in qualità di presidente del Consiglio designato dal popolo delle primarie (e da se stesso), ma in qualità di vice-ministro degli Esteri del futuro governo che avrà a capo della Farnesina un usato più sicuro dello stesso Bersani: Massimo D’Alema, vero artefice ombra dello sciagurato “sì” dell’Italia al riconoscimento della Palestina come Stato osservatore all’ONU, e che miracolosamente ieri è riapparso in tv dopo la vittoria di Bersani su Renzi.

Lo stesso D’Alema che in una poco valorizzata intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno, cioè al suo bacino elettorale, un paio di giorni fa, alla domanda se potrà essere lui il ministro degli Esteri del prossimo governo o approdare a incarichi di rilievo in Europa (presidente della Commissione? o della UE?) aveva svicolato sornione senza escludere nulla, ma vantandosi di avere già incarichi di rilievo. “Faccio parte della presidenza del Pse (Partito socialista europeo), secondo partito dell’Europa. Sono presidente della più importante fondazione culturale della sinistra in Europa… Sto preparando un grande evento sul futuro dell’Europa, che si terrà a Torino, l’8 e 9 febbraio”.

Dunque è vero. In politica estera, Bersani è il burattino di D’Alema, non foss’altro per il divario di esperienza e competenza. E la scelta di Bersani della Libia come trampolino per il mondo la dice lunga sulla collocazione e il prestigio dell’Italia futura del duo democratico. Possiamo confidare solo nell’opposizione interna al governo, su questi temi, di quel moderato filo-occidentale atlantista e liberale di Nichi Vendola. Augh!    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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