Schizofrenia: le speranze della neurobiologia
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Schizofrenia: le speranze della neurobiologia

Piuttosto che considerare questa psicosi un "mistero", le neuroscienze ne studiano le basi neurobiogiche

Oggi più che mai la schizofrenia resta un fenomeno difficile da spiegare. Man mano che aumentano le nostre conoscenze sulle basi neurobiologiche dei nostri comportamenti, i neuroscienziati cercano di decifrare questo mistero. Panorama ha chiesto a Vittorio Gallese, professore di fisiologia al dipartimento di neuroscienze dell’università di Parma, di fare il punto sullo stato dell’arte delle ricerche sulla schizofrenia.

Professor Gallese, cos’è la schizofrenia?
Una psicosi, ovvero una malattia mentale che in forme molto diverse altera il senso della realtà e il senso del proprio essere.

Può farci alcuni esempi che aiutino a capire in cosa consiste l’avere un senso alterato della realtà?
Sì certo, in generale si intende un’incapacità a vivere con naturalezza la quotidianità. Per esempio, la persona affetta da schizofrenia si può chiedere qual è il colore più adatto del vestito da indossare per fare una certa cosa, o come deve tenere le mani quando va a un appuntamento.

Per uno schizofrenico la commissione di un esame universitario può trasformarsi in un tribunale dell’inquisizione, qualcuno che vuole impadronirsi della sua anima. Oppure può avere un senso alterato della sua corporeità. La realtà e il proprio vivere la realtà perdono di significato.

Nelle fasi acute il paziente si chiude sempre più in un mondo chiuso all'esterno, incapace di trasmettere e ricavare senso dal quel mondo. Tutte queste alterazioni vengono descritte spesso come "sintomi negativi".

Ci sono anche altri sintomi, però, come il sentire voci eccetera?
Si, sono i cosiddetti "sintomi positivi", come deliri e allucinazioni. Il delirio è la costruzione di una versione alternativa del mondo in cui possono succedere le cose più strane e bizzarre.

Per esempio, il malato schizofrenico può credere che gli alieni parlino con lui, che un telegiornale lanci messaggi specificamente diretti alla sua persona… Insomma tutto il mondo ruota intorno al paziente. Ci sono poi allucinazioni come quelle di udire voci che sembrano provenire dall'esterno.

Su cosa si concentrano le ricerche delle neuroscienze?
Le neuroscienze studiano le basi neurobiogiche dei meccanismi psicopatologici alla base della schizofrenia. Come ogni altra patologia, la schizofrenia è in qualche modo riconducibile a un’alterato funzionamento del cervello.

Noi vediamo i sintomi ma la neurobiologia cerca di capire il rapporto tra il cervello e l’esperienza alterata di questi pazienti. Questo avviene in molto modi, come attraverso lo studio dei neurotrasmettitori, del funzionamento dei circuiti cerebrali e studiando le risposte del corpo (frequenza cardiaca, variazione della risposta dei muscoli del volto alle emozioni, ecc.). 

Poi c’è il problema di come far rifunzionare un cervello che in qualche modo ha delle alterazioni da un punto di vista bio-neurologico…
Quello è un compito molto difficile. Da un punto di vista farmacologico si sono fatti però molti passi avanti. Si sa da molto tempo che nei pazienti con schizofrenia vi è un'alterazione della neurotrasmissione dopaminergica. Quindi si prescrivono farmaci per abbassare il livello della dopamina.

La novità è che adesso i farmaci sono molto migliori perché non hanno piu molti degli effetti collaterali di un tempo.

Quali erano questi effetti collaterali?
Sostanzialmente questi farmaci producevano molti degli effetti visibili nei pazienti del morbo di Parkinson. Infatti questi ultimi hanno bassi livelli di dopamina.

Quindi i nuovi farmaci hanno meno effetti collaterali?
Sì, ma la loro efficacia è molto variabile. Funzionano meglio sui sintomi positivi, come deliri e allucinazioni. Ma sono molto meno efficaci sui sintomi negativi. Diciamo che nella schizofrenia la ricerca dovrebbe andare verso terapie sempre più personalizzate. Ma per questo è necessaria una maggiore comprensione delle sue basi neurolobiologiche. È proprio quello che stiamo facendo insieme agli psichiatri dell'Universita' di Parma e di Chieti, con cui collaboro da anni.

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Luca Sciortino