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Salute: ci cureranno i nanorobot

Iniettati nel corpo arriveranno da cellule cancerose, coaguli o neuroni rovinati per sistemare (e guarire)

Il nanomondo è un universo abitato da oggetti dell’ordine del miliardesimo di metro. Svelato ai nostri occhi dal microscopio elettronico, ci è stato per lungo tempo inaccessibile. Penetrarvi, intervenire sulle sue parti e perfino manipolarle è qualcosa che potevamo solo immaginare. Come nel celebre film di fantascienza Viaggio allucinante di Richard Fleischer (la cui trama era stata ripresa dall’omonimo romanzo di Isaac Asimov) in cui il sommergibile Proteus e il suo equipaggio venivano miniaturizzati e iniettati nella vena di un paziente per distruggere un embolo nel suo cervello. O come nella conferenza dal titolo «There’s Plenty of Room at the Bottom» (C’è un sacco di spazio lì in fondo) durante la quale il fisico Richard Feynman parlò della possibilità di creare nanomacchine in grado di manipolare la materia su scala atomica. Ma da quando, finalmente, nel 2004 alcuni ricercatori americani hanno creato un nanorobot con un frammento di muscolo cardiaco di topo, che poteva muoversi all’interno di un organismo traendo energia da glucosio, la porta dell’intero universo del nanomondo sta lì spalancata davanti a noi.

La larga messe di affascinanti progetti iniziata una decina di anni fa, sviluppati con l’apporto di tecnologie sempre più raffinate, sta oggi dando vita a una serie di nanorobot biologici che promettono di fare ciò che nessuna medicina riesce a fare. Si distinguono per i bersagli che possono colpire, così come per le loro modalità di spostamento e di controllo umano, le tre caratteristiche che definiscono, tecnicamente, il nanorobot. Possibili bersagli sono cellule cancerogene, depositi di placche aterosclerotiche, coaguli di sangue, porzioni di tessuto in cui rilasciare farmaci, neuroni in pazienti affetti da malattie neurodegenerative. 

Quanto alle modalità di spostamento, vi sono progetti di nanorobot che semplicemente si lasciano trasportare dal flusso sanguigno, altri che sono dotati di ciglia vibranti tipiche di organismi unicellulari chiamati ciliati, altri ancora che si muovono sfruttando campi magnetici esterni o sotto la spinta di una membrana vibrante. Ultrasuoni, microonde, raggi X e sostanze radioattive sono solo alcuni dei mezzi che possono essere usati per controllare la loro posizione.

«Noi dell’Istituto Italiano di Tecnologia abbiamo ideato un nanorobot costituito da una particella di lipide in cui viene inserito un cristallo magnetico e un farmaco chemioterapico» racconta Gianni Ciofani, ricercatore senior presso IIT e professore associato del Politecnico di Torino. «Vogliamo usare questi nanorobot per combattere una delle forme più aggressive di tumore al cervello, il glioblastoma multiforme».

I risultati dei primi esperimenti in vitro, nell’ambito di un progetto finanziato dall’European Research Council e pubblicati su Nanomedicine, suggeriscono che questi nanorobot hanno la capacità di superare la barriera ematoencefalica e dirigersi nella zona del tumore cerebrale: «Li guidiamo con un campo magnetico che agisce sui cristalli magnetici; una volta raggiunta la zona del tumore, possono essere attivati mediante un ulteriore campo elettromagnetico. Ciò determinerà l’aumento locale di temperatura e il disfacimento del loro corpo lipidico e, come conseguenza, il farmaco che essi contengono verrà rilasciato in prossimità delle cellule tumorali, così da annientarle» concude Ciofani.

Un altro nanorobot ideato all’Istituto Italiano di Tecnologia è costituito da una nanoparticella piezoelettrica, cioè un materiale che, sollecitato da ultrasuoni, genera una differenza di potenziale. «Questo tipo di nanorobot può rappresentare una svolta nella cura di patologie cerebrali come il morbo di Parkinson» precisa Ciofani. «Le attuali cure che prevedono la stimolazione elettrica sono piuttosto invasive. I nanorobot di materiale piezoelettrico rappresentano un approccio differente, che consiste nel raggiungere i neuroni malati, generare una differenza di potenziale e trasmettere loro un impulso elettrico capace di “risvegliarli”».

Recentemente la rivista ACS Nano ha pubblicato uno studio pre-clinico riguardante nanorobot anti-ictus ideato da ricercatori di differenti discipline provenienti da  centri come l’Ospedale Galliera di Genova, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’IIT di Genova e il Cnr-Inserm di Parigi. Questi nanorobot hanno una forma discoidale molto simile a quella dei globuli rossi e contengono al loro interno un farmaco trombolitico che distrugge i coaguli di sangue. Attualmente, solo il 10 per cento degli ictus possono essere trattati con farmaci che rompono i trombi senza che vi siano pericoli di emorragia cerebrale. La terapia con i nanorobot avrebbe minori rischi e sarebbe adatta a un maggior numero di pazienti.

Già sperimentati dentro il corpo vitreo dell’occhio di un maiale sono invece nanorobot a forma di elica guidati da un campo magnetico. Sono stati ideati da un gruppo internazionale di ricercatori coordinato da Max Planck Institute for Intelligent Systems di Stoccarda con lo scopo di rilasciare farmaci per curare patologie della cornea e della retina. Il grado di sofisticazione raggiunto in questo progetto è impressionante. Siccome la matrice molecolare interna del bulbo oculare ha una consistenza viscosa difficile da essere oltrepassata, i nanorobot sono stati dotati di un rivestimento aderente di fluorocarburo che riduce l’attrito con il tessuto circostante.

A ispirare i ricercatori nell’ideazione di questo rivestimento è stata la natura, e precisamente una sostanza che si trova nella trappola di una specie carnivora. Questa sostanza è talmente sdrucciolevole che gli insetti muovono a ruota i loro arti. Come in altri nanorobot, i modelli naturali sono cruciali: senza questo rivestimento, il nanorobot non riuscirebbe a farsi strada all’interno della rete proteica del corpo vitreo del’occhio e non raggiungerebbe mai la retina, nemmeno con l’aiuto di campi magnetici.

Un altro interessante filone di ricerca riguarda i nanorobot a Dna. Un esempio è il progetto presentato alcuni mesi fa su Nature Biotechnology: ricercatori cinesi hanno costruito una nanoparticella costituita da Dna a cui è legata una molecola che riconosce proteine espresse da cellule tumorali. Il legame favorisce il rilascio di trombina, un enzima capace di chiudere i vasi sanguigni che nutrono il cancro. La carica dei nanorobot è arrivata. Chissà che nel prossimo futuro le battaglia contro tumori e altre malattie non volga al meglio.  n

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Luca Sciortino