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Ambiente: ecco chi muore per difendere il pianeta

Nel 2017 sono stati 197 gli attivisti uccisi per le loro lotte in difesa del territorio e della natura

L'ultimo è morto pochi giorni fa, pugnalato in casa sua a Nairobi. Il suo nome era Esmond Bradley Martin, era americano e indagava fin dagli anni Settanta sul bracconaggio. La sua lotta contro i contrabbandieri di avorio, che sterminano elefanti e rinoceronti, è stata brutalmente interrotta, per chi non crede che ad ucciderlo siano stati dei semplici rapinatori, ma bensì qualcuno legato al commercio illegale che ha causato un autentico sterminio di animali in Africa. Martin è un altro difensore dell'ambiente al quale abbiamo dovuto dire addio quest'anno. Nel 2017 ne sono morti 197.

A fare i conti è Global Witness, organizzazione che fa luce sui crimini ambientali, spesso legati a doppio filo con abusi su popolazioni indigene e violazioni dei diritti umani. Ora, in collaborazione con il quotidiano inglese The Guardian, rende noti i nomi degli attivisti impegnati a lottare a vario titolo in difesa della Terra, delle risorse naturali, degli animali selvatici, che sono stati uccisi proprio per il loro ruolo di difensori dell'ambiente.

Assassinati per le loro battaglie

Ancora più cruento era stato il 2016, con 200 morti accertate, ma il 2017 ne conta solo tre in meno e tra l'altro gli attivisti di Global Witness credono che parecchie altre possano essere passate sotto silenzio. La cifra reale dei morti ammazzati per le loro battaglie ambientaliste è quindi quasi sicuramente più alta. Dall'Amazzonia alla Repubblica Democratica del Congo, dal Messico alle Filippine, dall'India alla Colombia, il sangue si allarga su molti paesi in America Latina, Africa e Asia.

I difensori ambientali si oppongono in molte parti del mondo a governi o aziende che hanno fame di profitto. Compagnie minerarie e petrolifere, palazzinari e contrabbandieri, e poi tutto il settore agricolo che vuole strappare territori indigeni per coltivare soia, palma da olio, canna da zucchero e per gli allevamenti che servono a soddisfare la crescente domanda di carne.

Sono contadini, avvocati, giornalisti, membri di organizzazioni non governative. Spesso si tratta di gente comune, a volte semplicemente di abitanti dei territori che vengono depredati o minacciati di essere irrimediabilmente inquinati per profitto. Sono protagonisti di azioni pacifiche che però ostacolano la costruzione di dighe, alberghi di lusso, complessi residenziali, miniere, il disboscamento che serve a liberare terreno da rendere "produttivo", lo sterminio illegale di animali che rende bene alla malavita internazionale.

Crimini impuniti

La compilazione del database di Global Witness è tutt'altro che semplice, perché spesso è assai complesso stabilire con certezza la causa della scomparsa di questi difensori dell'ambiente. Occorrono accurate indagini, si intervistano i parenti e gli amici della vittima, la ricerca di conferme richiede tempo e a volte non approda a risultati sicuri. A rendere ancora più complicata questa triste contabilità c'è il fatto che molte uccisioni non sono documentate, a volte avvengono senza che se ne sappia nulla. Sono pochissime quelle sulle quali le autorità indagano. Restrizioni dei diritti umani e scarsa libertà dei media in alcuni paesi riducono ulteriormente il numero di organizzazioni che sono in grado di documentare le uccisioni.

Il paese maglia nera per numero di morti nel 2017 è il Brasile, dove se ne sono contati 46, il che dipende in larga misura dal fatto che l'Amazzonia è il crocevia di molti interessi e quindi un moltiplicatore di tensioni che spesso sfociano in fatti di sangue. Ma è tutta l'America Latina ad essere teatro di massacri: 32 morti in Colombia, 15 in Messico, 6 in Perù. E poi c'è l'Asia con le Filippine capofila degli omicidi a quota 41 e l'Africa dove a morire sono soprattutto coloro che difendono la natura e la fauna nelle riserve naturali

"L'omicidio è solo una delle tattiche utilizzate per mettere a tacere gli attivisti ambientalisti", racconta Global Witness. "Spesso si trovano di fronte a un arsenale di minacce di morte, violenza sessuale e aggressivi attacchi di tipo legale". "Finché le aziende, gli investitori e i governi non includeranno davvero le comunità nelle decisioni riguardanti l'uso della loro terra e delle risorse naturali, le persone che osano esprimersi continueranno a subire violenza, carcere e perdita di vite umane", spiega Rachel Cox, una degli attivisti dell'organizzazione che cura il database.

Un lungo elenco

Ci sono Datu Victor Danyan, e altri sette contadini di Lumad, nelle Filippine, che difendevano la loro terra dall'esproprio per farne piantagioni di caffè: il 3 dicembre scorso i soldati gli hanno sparato. Simile destino hanno incontrato altri sei agricoltori, questa volta in Perù, uccisi da una banda criminale che voleva le loro terre per la produzione di olio di palma. Quattro guardie forestali e un portatore (Sudi Koko, Antopo Selemani, Patrick Kisembo, Léopold Gukiya Ngbekusa e Lokana Tingiti),sono stati uccisi a luglio in un'imboscata all'interno della riserva naturale di Okapi, nella Repubblica Democratica del Congo, ad opera, si pensa, di un gruppo di ribelli armati che vivono di bracconaggio e quindi attaccano coloro che cercano di ostacolarlo per salvaguardare la fauna locale.

In Argentina, e in particolare in Patagonia, gli indigeni Mapuche sono in lotta con l'azienda italiana di abbigliamento Benetton che possiede un territorio più vasto del Lussemburgo in cui pascolano le pecore che servono per produrre la lana dei maglioni del marchio. Qui l'attivista Santiago Maldonado è scomparso il primo di agosto in seguito all'arresto da parte della polizia durante una protesta nella provincia di Chubut. L'elenco delle vittime potrebbe continuare. Per una lista completa clicca qui.

Se anche i morti restano tanti, il loro numero si sta stabilizzando, insomma hanno smesso di aumentare, il che si può già considerare una buona notizia. Portare i loro nomi e le loro storie a conoscenza di tutti, sperano quelli di Global Witness, potrà forse aiutare a porre fine ai livelli di impunità che hanno incoraggiato gli autori di violenze e, nella maggior parte dei casi, hanno permesso loro di uccidere senza conseguenze.

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Marta Buonadonna