Schifani: Tutti i partiti contro il carcere per diffamazione
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Schifani: Tutti i partiti contro il carcere per diffamazione

L'ex presidente del Senato interviene nel dibattito scatenato dalla condanna del direttore di Panorama e di due giornalisti a seguito di un articolo di fine 2009

 

Prosegue in Commissione giustizia della Camera la discussione sulla proposta di legge per l’abolizione del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. Presto potrebbero arrivare anche le audizioni di avvocati e cronisti per illustrare ai deputati il punto di vista di coloro che, quotidianamente, sono chiamati a fare i conti con una normativa (la legge sulla stampa del 1948 e l’art. 595 del codice penale) che è rimasta fra le poche ormai in Europa a prevedere ancora la pena della reclusione (fino a 3 anni) in caso di diffamazione a mezzo stampa. Tutte le forze politiche, senza distinzione tra centrodestra e centrosinistra, hanno raccolto l’appello lanciato giovedì 30 maggio daPanoramaper modificare entro 100 giorni le norme sulla diffamazione, dopo la condanna del direttore Giorgio Mulé a 8 mesi di carcere senza la condizionale per «omesso controllo» e dei giornalisti Andrea Marcenaro a 1 anno senza la condizionale e Riccardo Arena a 1 anno con la sospensione della pena. Alla Camera sono state presentate già diverse proposte: anzitutto quella di Enrico Costa, capogruppo del Pdl in Commissione giustizia, che prevede l’abolizione del carcere per diffamazione e ingiuria, sanziona la «querela temeraria» ai danni di un giornalista ed esclude la punibilità in caso di pubblicazione della rettifica. Nella medesima direzione va la proposta presentata da Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e Deborah Bergamini. D’accordo con l’abolizione del carcere anche il magistrato Stefano Dambruoso, deputato di Scelta civica e membro della Commissione giustizia di Montecitorio, che propone di sostituire la reclusione con una multa fino a 50 mila euro e chiede di ampliare l’istituto della rettifica. Pino Pisicchio (Gruppo misto – Centro democratico) suggerisce di estendere le sanzioni anche su blog e siti internet.

Ma il timore, emerso in Commissione, è che un progetto di riforma troppo ampio rischi di arenarsi come avvenuto nelle scorse legislature. Meglio allora seguire la strada intrapresa dal Senato dove il giudice Felice Casson, vicepresidente della Commissione giustizia di Palazzo Madama, ha depositato un disegno di legge concentrato sulla modifica dell’art. 595 del codice penale, cioè solo sull’abrogazione del carcere. Presto dovrebbe essere ripresentato anche il disegno di legge Gasparri-Chiti, già discusso al termine della scorsa legislatura dopo il caso del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, condannato con pena definitiva a 14 mesi di carcere e poi graziato. Per il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, è opportuno concentrare gli sforzi sull’obiettivo più condiviso dalle diverse forze politiche, cioè l’abolizione del carcere. Dello stesso avviso il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama,Renato Schifani, intervistato daPanorama.

 

Può riprendere anche in Senato la discussione sulla riforma delle norme sulla diffamazione e l’abolizione del carcere per i giornalisti?
Certamente sì. Quando, lo scorso settembre, è scoppiata la vicenda Sallusti, mi sono immediatamente attivato come presidente del Senato affinché venisse depositato un disegno di legge trasversale, a firma Gasparri-Chiti, che prevedeva l’abolizione della pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa. Volli anche che venisse concessa la sede deliberante alla Commissione giustizia di Palazzo Madama per garantire tempi rapidissimi. Mi impegnai, insomma, a dare un’accelerazione forte alla discussione e inizialmente trovai sostegno da parte di tutti i gruppi parlamentari. Dopo meno di un mese però alcuni esponenti del centrosinistra revocarono la deliberante e impedirono così che si potesse procedere più spediti. Ma non mancavano anche i mal di pancia nel centrodestra su questa riforma. Ricordo oggi questa esperienza per evidenziare che l'argomento è molto delicato e controverso. Ed è un tema trasversale dove si incrociano sensibilità differenti dei parlamentari che vanno al di là dell’appartenenza politica. Cioè non vi sono delle bandiere del centrodestra e del centrosinistra sulla diffamazione, ma vi sono posizioni molto variegate.

 

La discussione in Senato nella scorsa legislatura alla fine non ha portato a nulla. Di chi è la responsabilità?
Tutte le forze politiche condividevano la convinzione dell’inaccettabilità e dell’anacronismo della sanzione carceraria per la diffamazione a mezzo stampa. Tuttavia, nel momento in cui si toglie questa pena emerge immediatamente l’esigenza di trovare un altro deterrente per evitare che il giornalista possa sentirsi «legibus solutus» e quindi spingersi oltre il dovuto. Spesso alcuni giornali condannano le persone ancora prima di qualsiasi sentenza e questo è un fatto gravissimo, inaccettabile in un Paese di diritto. È chiaro perciò che se si elimina il carcere per i giornalisti immediatamente si assiste alla levata di scudi, peraltro legittima, di tutti coloro che chiedono di bilanciare l’ammorbidimento della sanzione penale con l’accentuazione di nuove sanzioni di carattere civilistico che toccano l’obbligo di pubblicazione della sentenza, il risarcimento del danno con importi anche rilevanti e la sanzione da parte dell’Ordine professionale con un eventuale provvedimento disciplinare di sospensione e radiazione. Sono aspetti decisivi della riforma della normativa.

 

Ora ci sono i margini per trovare un accordo tra le forze politiche?
Mi auguro di sì. Avendo un po’ più di tempo davanti si può trovare un giusto equilibrio tra dovere di informare e tutela dei diritti del cittadino. Auspico poi che venga anche toccato l’argomento del quale parlo spesso e che mi sta particolarmente a cuore, cioè la persistente e quotidiana violazione del segreto istruttorio. Escono atti giudiziari coperti da segreto, vengono pubblicati verbali, interrogatori di indagati e testimoni, intercettazioni. Spesso ne vengono pubblicati alcuni e non altri, quasi a voler danneggiare solo determinate figure. Occorre avere il coraggio di intervenire legislativamente per modificare questo sistema. Finora tutti i procedimenti che si aprono di ufficio per violazione di segreto istruttorio alla fine sono archiviati perché in assenza della certezza di chi ha commesso la violazione non si può procedere in sede penale. Il giornalista rivendica la libertà di stampa: ha la notizia e la pubblica. Ma occorrerebbe secondo me avere il coraggio di ricondurre tutto a una maggior tutela della privacy e del miglior funzionamento del sistema giudiziario. Spesso, infatti, una fuga di notizie può compromettere l’esito di una delicata fase istruttoria e danneggiare le indagini.

 

Dunque non basta, a suo avviso, intervenire solo sulla modifica dell’articolo 595 del codice penale, eliminando la pena del carcere per i giornalisti?
Non voglio assolutamente ostacolare il percorso accelerato sulla diffamazione. Volevo solo segnalare questo altro tema del segreto istruttorio sul quale si può intervenire anche con un provvedimento distinto. Avendo ben presente, tuttavia, che i due profili si tengono insieme.

 

Quali saranno le prossime tappe in Senato?
Sta per essere ripresentato il disegno di legge Gasparri-Chiti. Penso quindi che si arriverà a un testo unificato che sarà discusso in Commissione giustizia e poi approderà in Aula. Sono fiducioso perché è un tema che, alla luce della mia esperienza come presidente del Senato, posso dire che non divide le forze politiche e può trovare perciò un percorso condiviso.

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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