Tutto anima e Bondi
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Tutto anima e Bondi

Nonostante l'invettiva in aula poi smentita dalla scelta di Berlusconi, non se l'è presa con il capo. Ma anche a freddo ripete: mai con questo Pd

"Tu chiamale, se vuoi, emozioni...". Per Sandro Bondi è andata come dice la sua canzone preferita, Emozioni di Lucio Battisti. Emozioni forti, violente, di rabbia, nausea e dolore. Un su e giù come sulle montagne russe. Prima l’ira funesta contro i «traditori», che «hanno ordito il complotto perfetto» (avrebbe confidato agli amici, mettendo nel mirino Angelino Alfano). Poi il richiamo all’unità del Pdl. Curiale, ma non troppo. Tanto che la mattina di martedì 8 ottobre minaccia con i più intimi: «Se il Pdl abbandona Silvio, io sbatto la porta e smetto di fare politica».

Bondi ora ha perso una i. Il suo nuovo nome, a ben vedere, è «Bond». Il superagente ora in guerra con «i traditori», per stanarli e ristabilire la verità: la sua verità, confidata con voce sussurrante a quei parlamentari che lo adorano come «simbolo di lealtà». Da qui, «i lealisti». Ci sono nomi di calibro: da Raffaele Fitto che li capeggia a Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Deborah Bergamini, Stefania Prestigiacomo, Renata Polverini.

Se Bondi è l’ultimo giapponese, pronto a combattere fino alla fine e oltre, con lui ce ne sono altri cento con gli occhi a mandorla. La tv, dove lo hanno sfottuto perché spiazzato dal Cavaliere il giorno della fiducia, mercoledì 2 ottobre al Senato, neppure l’ha guardata. Non si è rivisto mentre lui, cattolicissimo, scagliava l’anatema su Enrico Letta: «Fallirete!». Salvo sentirsi dire subito dopo dal capo che il Pdl votava sì al governo. Roba da prendersi un cognac.

Ma Bondi è rimasto impietrito sullo scranno: è l’unico che non va mai alla buvette. A Panorama ha confidato poco dopo: «Non mi ha sorpreso affatto. Enrico Letta ha detto che è un grande. Ma lo sapevo prima di lui. Berlusconi è sempre capace di mosse improvvise e spiazzanti». Poi Bondi esce dal Senato e incontra un deputato che come lui per Berlusconi si butterebbe nel fuoco. Quello gli chiede: «Sandro, ma non lo avevi capito che qui c’erano i traditori e da quel dì?». Bondi, un agnello che sa farsi lupo, sussurra: «Sono state sbagliate le liste».

La sera vorrebbe rivedere La mia Africa, il film che a lui «apre il cuore». Ma va a cena con la sua compagna Manuela Repetti, senatrice anche lei, bionda ed esile che sembra uscita da un quadro di Sandro Botticelli, signora gentile ma ferrea.

Vanno alla trattoria toscana Fiammetta. Ci andava anche Bettino Craxi. Bondi sta con la faccia tra le mani. Affranto? Sì, ma sta già studiando la sua metamorfosi in Bond. Perché anche un soldato, colto e di alto rango, nella sua devozione «s’incazza». È laureato a Pisa con una tesi su un frate agostiniano, Leonardo Valazzana (di Fivizzano come lui), avversario di Girolamo Savonarola. Ripensa all’invettiva agostiniana: «Dio parla chiaro, ma voi pronunciate le vostre menzogne, con superbia pazza».

Con Panorama Bondi si sfoga dalla provincia di Alessandria, dove nel frattempo è andato per il fine settimana: «La politica è il regno del cinismo, soprattutto in Italia. Dove il cinismo si accoppia con la massima ipocrisia. Il che rende tutto nauseante». Nomi? «Quello che più mi ha infastidito è il comportamento di certi parlamentari che grazie a Berlusconi hanno potuto stare in Parlamento per tre, quattro, cinque legislature. E poi non hanno esitato a girargli le spalle, naturalmente per il suo bene. La lista dei nomi? È lunghissima». Alfano? «Ho avuto tante divergenze con lui, sempre con rispetto. Ma fino a oggi l’obiettivo che avevamo tutti accettato era di andare il prima possibile alle elezioni...».

Sabato e domenica, 5 e 6 ottobre, è stato sempre al telefono con mezzo Pdl nella sua villetta di Novi Ligure, città di Manuela. Che ammette: «Sono giornate travagliate». Ma già la mattina di giovedì 3 Bond era passato al contrattacco. Raccontano parlamentari suoi fan: «Bondi ci ha chiamati a uno a uno e ci ha portati da Berlusconi. Faceva caldo, ma Sandro davanti al presidente la giacca non se la toglie mai. A Berlusconi ha detto: tu e solo tu, presidente, sei il nostro leader. Perché il patrimonio a difesa della libertà lo hai costruito tu». Narrano che il Cavaliere, che ha Sandro nel cuore dal 1994, si sia un po’ commosso. E svelano che il contropiede ipotizzato dai «lealisti» fosse: «Cacciamo Alfano, prima che lui cacci noi. E quindi facciamo noi nuovi gruppi». Ma il Cavaliere ha gettato acqua sul fuoco.

C’è il Bondi di lotta e di governo, come si diceva nel suo Pci: quello che lavora per l’unità, ma anche quello che vuole ristabilire la verità. Una verità che avrebbe raccontato solo agli uomini più fidati. È una ricostruzione nuova dei fatti, che arriva alla seguente conclusione: Alfano avrebbe lasciato solo Berlusconi. Sarebbe stato il Cavaliere in persona a comunicare al suo delfino la decisione di staccare la spina al governo sabato 28 settembre; non, quindi, l’avvocato Niccolò Ghedini, fatto che tanto avrebbe adontato Angelino. Alfano avrebbe però risposto (non immediatamente) al Cav: va’ avanti tu, poi parlo io. Colpo di scena finale: martedì 1° ottobre Alfano invita il Pdl a votare compatto la fiducia, sembra senza averne parlato prima con il suo capo, che lo sta ancora aspettando per trovare la quadra.

Il giorno dopo, mercoledì 2 ottobre, spuntano 23 senatori per la fiducia. I più indiziati per la raccolta firme: Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi.

Questa la versione attribuita a Bond. Quando lo conobbe, il Cav gli chiese: «Ma una persona intelligente come lei come ha fatto a stare con i comunisti?». Forse però a Bondi del Pci è rimasta la disciplina di partito, che insegnavano all’Istituto Togliatti di Frattocchie. Bondi, in un vortice di riunioni nel quale è ripiombato lunedì 7 e martedì 8 ottobre, risponde a Panorama: «Ricordo che Achille Occhetto tradì Alessandro Natta quando era malato. Non mi stupisco più di niente della politica italiana».

Poi un’analisi sulla peculiarità del berlusconismo: «Mentre in tutti i partiti tradizionali i dirigenti erano in fondo sullo stesso piano, la storia di Forza Italia e del Pdl è una storia in cui Berlusconi ha permesso i successi, ha regalato le spoglie delle vittorie anche a chi non se lo meritava, infine ha pa- gato il prezzo più alto del- la sua discesa in campo. Ed è stato trattato come abbiamo visto». Il soldato-agente Sandro resta fermo: «Non posso e non potrò mai accettare la coabitazione con il Pd che vota la decadenza di Berlusconi. Lo dirò finché avrò voce». Conia il berlinguerismo in versione azzurra: questo Pd che vuole solo cacciare il Cavaliere (altro che il reciproco rispetto tra Pci e Dc) rappresenta «una questione morale». E «vale anche il Pdl»

La discesa in campo, anche se frenata, del giovane Fitto, da Sandro sempre difeso nei guai giudiziari, prova a ridimensionare Alfano. Chissà che sia ora proprio Bondi a fare una domanda a Berlusconi: ma te lo saresti mai aspettato di essere difeso così proprio da un ex comunista, seppur migliorista? Così, fino alla morte. Fino a che bandiera azzurra la trionferà.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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