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Ansa
Salute

Il cambiamento climatico e i rischi di diffusione del West Nile

Le malattie veicolate da insetti sono destinate ad aumentare come conseguenza del riscaldamento globale. Cosa può succedere nelle varie zone d'Italia e come difendersi

Quella delle infezioni da West Nile virus è un caso esemplare di attenzione del pubblico non concentrata sulle vere ragioni di preoccupazione. Certamente, i 4 decessi (due in Veneto, uno in Piemonte e un in Emilia Romagna) e i 15 casi confermati dall’inizio di Giugno al 19 Luglio 2022 dovrebbero spingere gli anziani, le persone fragili o immunocompromesse a maggiori precauzioni per evitare punture delle zanzare e dunque la possibile infezione. Questo fatto non dovrebbe tuttavia generare allarmismi soprattutto perché il West Nile virus non si trasmette da persona a persona ma principalmente attraverso punture di zanzare.

Il fatto più preoccupante è invece, come mostra una vasta letteratura scientifica, che i fattori climatici sembrano essere stati cruciali nel mutare l’epidemiologia di questo virus determinando una recente rapida espansione a molte aree in cui non era presente. In altri termini, ciò che dovremmo chiederci è: può il riscaldamento globale avere avuto un ruolo nell’espansione geografica del virus? E nel caso italiano: possono le condizioni climatiche attuali, temperature molto sopra la media, siccità e vento sostenuto in diverse regioni, aver influito sul diffondersi del virus?

Il virus del West Nile è stato per la prima volta isolato nel 1937 un una regione del nord dell’Uganda a occidente del Nilo. Il paziente non aveva altri sintomi che febbre, ma i primi studi confermavano che il virus aveva la capacità di colpire il tessuto nervoso. Come ricostruito in uno studio su Philosophical Transaction of the Royal Society (Biological Sciences), intorno al 1960 comparvero le prime epidemie nel bacino del Mediterraneo, la prima in Israele con un totale di 123 casi ma senza decessi. Fu allora che tutti i sintomi emersero agli occhi dei medici: febbre, mal di testa, mialgia, anoressia, vomito, dolore addominale. Ricerche più accurate mostrarono la presenza del virus nelle regioni del nord Africa attraversate dal Nilo e poco più tardi altri casi emersero in alcuni villaggi dell’Egitto. Divenne anche chiaro che il virus infettava un vasto numero di specie, prevalentemente uccelli, e in particolare i corvi. Siccome il virus era stato isolato solo nelle zanzare, e in nessun altro insetto, risultò evidente che la trasmissione avveniva per mezzo delle punture delle zanzare della specie culex già allora presenti in tutto il mondo ma con l’esclusione delle parti settentrionali della zona temperata.

A partire dal 1996, la diffusione del virus cominciò a mutare: dapprima si verificò un’epidemia di grosse proporzioni nella regione di Bucharest, in Romania, la prima in un’area urbana. Seguiva un’epidemia in Italia nel 1998, e poi in Russia, nella regione del Volga, e nel 1999 in Marocco e in Tunisia. I decessi riguardavano per il 75 per cento pazienti di età superiore ai 60 anni, segno che se il sistema immunitario è in piena efficienza il virus difficilmente causa il decesso. Nel 1999, e per la prima volta, si registrarono infezioni nel Nord America con encefaliti severe nel quartiere Queens a New York. Da quel momento la diffusione in tutte le zone degli Stati Uniti è stata rapida con un altissimo numero di casi nella Lousiana e nelle aree di Chicago e lungo il Mississipi. In Italia, un’altra epidemia è scoppiata tra il 2017 e il 2018 con un alto numero di casi nel Nord Ovest.

Questo andamento epidemiologico non fa che confermare le previsioni dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change): le malattie veicolate da insetti sono destinate ad aumentare come conseguenza del riscaldamento globale. Ma l’Ipcc ha sottolineato nei suoi rapporti di più che questo: proprio perché i vettori di malattie come quella causata dalla febbre del West Nile sono sensibili alle fluttuazioni climatiche, le epidemie da essi causate dovrebbero essere usati come campanelli di allarme di gravi rischi climatici.

E ora veniamo alle condizioni climatiche attuali nel nostro Paese caratterizzate da siccità, alte temperature e, in alcuni casi, da vento. Uno studio dell’università di Haifa, fornisce importanti informazioni su come questi fattori sono correlati alla diffusione del virus. Temperature più alte causano un aumento dei ritmi di replicazione del virus, diminuiscono il tempo di incubazione che rende una zanzara capace di infettare, accelerano l’efficienza di trasmissione negli uccelli.

Diversi studi registravano un’associazione tra ondate di calore estremo e intensità delle epidemie tra gli umani. Per quanto riguarda le precipitazioni, un comune dogma è che le precipitazioni più abbondanti determinano una maggiore abbondanza di zanzare con la conseguenza di un aumentato rischio di epidemie da esse veicolate. In realtà, la letteratura mostra un quadro più complesso dove la siccità può facilitare le epidemie perché la minore quantità di acqua nel terreno causa una diminuzione di animali acquatici che si nutrono delle larve e aumenta i contatti tra gli uccelli e le zanzare. Inoltre, l’assenza piogge aumenta i nutrienti per le larve che non vengono diluiti. Infine, il vento avrebbe un ruolo come meccanismo di dispersione delle zanzare contribuendo all’espansione del virus.

C’è dunque una possibile correlazione tra le condizioni climatiche attuali e i rischi di contrarre il virus attraverso la puntura di una zanzara, sebbene siano molti i fattori da prendere in considerazione a secondo del periodo e della regione in considerazione. La pianura Padana con i suoi canali d’irrigazione e la situazione meteorologica attuale probabilmente presenta condizioni ideali per infezioni da West Nile virus.

Non esistendo ancora un vaccino, l’arma migliore è quella di utilizzare repellenti, abiti che coprono tutto il corpo e zanzariere. Quando si viene punti da una zanzara infetta, il periodo di incubazione del virus varia tra i 2 e i 14 giorni ma può arrivare a 21 giorni negli anziani con sistema immunitario debole. Se nei bambini una febbre leggera può essere un sintomo, nei giovani la temperatura sale molto di più. Gli anziani hanno invece sintomi più gravi come nausea, linfonodi ingrossati, disturbi alla vista, disorientamento, forti dolori muscolari e nei casi gravi encefalite letale. La diagnosi si effettua con un esame di laboratorio attraverso Pcr o coltura virale su campioni di fluido cerebrospinale.

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Luca Sciortino