Al via in Italia la sperimentazione sul farmaco anti Coronavirus
Ansa
Salute

Al via in Italia la sperimentazione sul farmaco anti Coronavirus

L'Aifa (Azienda italiana per il Farmaco) comincerà giovedi la sperimentazione sul Tolicizumab per 330 pazienti che a Napoli ha dato buoni risultati - Tutto sul Coronavirus

C'è forse una speranza nella lotta al Coronavirus. Ne ha parlato durante il consueto punto stampa con il numero dei contagiati, guariti e decessi, il Direttore Generale dell'Aifa, l'Agenzia Italiana del Farmaco, Dott. Nicola Magrini, rispondendo ad una domanda riguardo il Tolicizumab, farmaco normalmente usato contro l'artrite reumatoide e che a Napoli, ma anche in altri istituti, è stato testato con successo su alcuni malati di Covid-19.

«Abbiamo stabilito che da giovedì prossimo - ha annunciato il Dott. Magrini - partirà uno studio su 330 pazienti affetti da Coronavirus. Già oggi ci sono centinaia si pazienti che utilizzano o hanno utilizzato il farmaco; ma questo utilizzo non era stato poi oggetto di controllo. Ora ci sarà questo studio che partirà da quella che noi chiamiamo Fase 2. Dopodiché potremo dire se il Tolicizumab funzioni e quanto funzioni».



I numeri della giornata raccontano di una crescita di contagiati superiore ancora alle due mila unità in un solo giorno. Oltre 200 i decessi. Ma a questo proposito è stato spiegato come i morti sono persone che hanno diverse patologie (il 40% più di due) già gravi che hanno reso il loro fisico più fragile.

L'età media dei morti resta molto alta, 80,3 anni, e confermata anche la tendenza che vede gli uomini più fragili e colpiti rispetto alle donne (70% contro 30%)

I dati sono previsti nella curva di crescita ancora per qualche giorno, poi si spera possano cominciare a vedersi gli effetti delle restrizioni in tutto il paese scattate due giorni fa.

Numeri che confermano un trend di crescita molto violenta per la regione, ormai arrivata al limite delle possibilità di ricovero, soprattutto in terapia intensiva, dei suoi ospedali.

Preoccupano soprattutto alcune province che negli ultimi giorni stanno facendo registrare picchi di contagio significativi_: Bergamo, Cremona e Brescia dove le strutture sanitarie sono al collasso.

Coronavirus, che fare? Il parere dell'esperto

Il Coronavirus è arrivato nel nostro paese e sta seminando il panico tra la gente. Ma cosa rischiamo? E' tutto motivato questo panico? Come possiamo difenderci? Abbiamo intervistato Pierangelo Clerici, presidente dell'Associazione microbiologi clinici, Amcli.

Il paziente di 38 anni ricoverato a Codogno pare sia molto grave. E il medico cinese che per primo individuò il virus e poi è morto aveva più o meno la stessa età. Significa che il coronavirus è pericoloso anche per chi non è anziano o immunodepresso?

«Come tutte le sindromi influenzali e le patologie respiratorie sostenute dai virus, anche questa ha una sua evoluzione, e in alcuni casi può diventare grave. Non sappiamo in realtà qual è il quadro clinico di questo paziente, o del medico cinese che ne è morto. Non sappiamo se era diabetico, cardiopatico, se fumava. Chi fuma è sempre a maggior rischio di problemi respiratori, per esempio. Inoltre non conosciamo tutti i disordini immunologici che può avere una persona. Anche un atleta o un individuo sano può avere una ridotta risposta immunologica verso le infezioni».


Il Dott. Pierangelo Clerici


Conta anche la carica infettante?

«È fondamentale per determinare la virulenza. Più l'esposizione al virus è prolungata, più la carica infettante sarà alta. Se il paziente di Lodi è stato a cena con il collega che già era contagioso, la sua esposizione ai virus sarà durata due o tre ore, non poco quindi, a una distanza ravvicinata. Con uno starnuto un virus arriva fino a 5 o 6 metri di distanza, con un colpo di tosse a due, parlando viaggia da 30 centimetri fino a un metro. Se la carica infettante è alta, il sistema immunitario fatica a liberarsi dal virus. E più resta nell'organismo più svolge la sua azione patogena».

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Quindi, se il manager tornato dalla Cina ai primi sintomi si fosse allertato...

«Se avesse chiamato il numero 1500, dicendo che veniva dalla Cina e aveva la febbre, gli avrebbero mandato il personale sanitario a casa per fare il test del coronavirus, come prevedono i protocolli, e probabilmente la situazione non sarebbe così allarmante».



Parliamo di terapie. In mancanza di antivirali specifici Con che cosa ci si cura?

«Ai pazienti in ospedale con insufficienza respiratoria grave viene fatta una terapia di supporto, la respirazione artificiale. O farmaci appropriati per sostenere i reni se c'è insufficienza renale».

Di che cosa si muore con questo coronavirus?

«Di insufficienza d'organo, respiratoria o renale. Ma il tasso di mortalità è comunque basso, resta intorno al 2 per cento. E nell'80 per cento dei casi si tratta, come si diceva, di anziani o soggetti con altre patologie debilitanti».

In attesa del vaccino, che non arriverà prima di 18 mesi se va bene, come procede la ricerca di farmaci?

«Gli scienziati stanno cercando di capire se alcuni medicinali, come gli antiretrovirali conto l'HIV, o vecchi antimalarici, possono avere qualche efficacia. Si sta provando di tutto. Anche, in certi casi in Cina, la terapia con il plasma estratto da pazienti che hanno il virus ma non sono malati: una sorta di immunizzazione passiva, oltretutto il plasma contiene anche sostanze metabolicamente attive che danno sostegno. Si deve estrarre il plasma da un paziente che sia altrimenti sano soprattutto dal punto di vista infettivologico, purificarlo... Non è semplice, insomma».

Nel caso di Lodi, è stata contagiata anche la moglie del paziente, che è incinta, questo rappresenta un rischio per il feto?

«Per fortuna non ci sono casi di trasmissione del virus materno-fetale. Almeno, non ne abbiamo dimostrazioni fino a oggi».

Ma il contagio in assenza di sintomi quanto è frequente nel caso del coronavirus asiatico?

«È la chiave di volta di tutto. Quando una persona che ha preso il virus comincia a diventare infettante? Nel caso della rosolia, per fare un esempio, il contagio avviene 7 giorni prima dell'esantema sino a 8 giorni dopo la comparsa. Con questo coronavirus, al momento, non abbiamo una risposta certa. Ci stiamo lavorando intensamente».

Il caso di Lodi cosa cambia nella gestione dell'epidemia, qui in Italia?

«Non parlerei di epidemia nel nostro Paese, consideri che in Italia abbiamo avuto tre a Roma, allo Spallanzani, e sei persone positive ai test in Lombardia, il tutto su 60 milioni di abitanti. Quello che dobbiamo valutare è se questi casi sono la spia di qualcosa che sta circolando oppure sono eventi a spot. Se questo fosse il primo focolaio di una trasmissione secondaria, sarebbe preoccupante. In realtà non sappiamo con quante altre persone il manager di Lodi e l'amico che è stato contagiato siano venuti in contatto mentre erano già infettivi».

Cos'altro si dovrebbe fare, a questo punto, per limitare il più possibile la diffusione dell'infezione?

«Mettere in quarantena tutti coloro che provengono dalla Cina. Senza eccezioni. È la misura migliore. Mi auguro che dopo il caso di Lodi, anche in Toscana decidano di applicare questa misura precauzionale per i 2.500 cinesi di rientro dal loro Pase. È l'unico modo per darci tregua e capire meglio l'evolversi della situazione. Sapendo, peraltro, che non saremo in grado di controllare tutti. Pensi solo alla triangolazioni...»

Chi viene dalla Cina con voli indiretti?

«Certo. Sfugge inevitabilmente ai controlli chi arriva con un altro volo, si ferma magari a Ginevra, prende un auto o un flixbus. Ovviamente non possiamo fare il tampone a tutti, alle dogane, alle frontiere, alle stazioni dei treni o degli autobus. Serve un'assunzione di responsabilità da parte di tutti coloro che rientrano nel rischio contagio».

Si può sperare che con l'arrivo della bella stagione il coronavirus della Covid-19 sparisca dalla circolazione?

«Questo coronavirus condivide l'80 per cento del suo genoma con quello della Sars, e il 50 per cento con quello della Mers, (l'altra sindrome respiratoria acuta del medioriente ndr). Il virus della Sars smise di diffondersi con il caldo. Quello della Mers invece negli ambienti caldi sopravviveva bene. Ma essendo geneticamente molto più simile alla Sars, presumiamo che questo coronavirus ne segua anche l'evoluzione, e che il caldo ne faccia quindi rallentare l'espansione».

È anche il motivo, forse, per cui non si è ancora diffuso in Africa?

«Non abbiamo idea di quanta gente ci sia in Africa portatrice del virus, inoltre è vero che l'Africa è calda, ma in molte zone è calda-umida, condizioni ambientali invece favorevoli alla diffusione dei virus. E poi, se e quando si dovesse mai verificare un'epidemia di coronavirus in Africa, lo sapremo davvero in modo tempestivo? Possiamo solo augurarcelo».

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