Rubygate, ecco perché non ci fu concussione
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Rubygate, ecco perché non ci fu concussione

La difesa ha fatto breccia segnalando un'illogicità: perché Berlusconi chiamò in questura il 26 maggio 2010 e non lo fece il 5 giugno, quando Ruby fu nuovamente fermata?

Con tutta evidenza, la seconda Corte d'appello di Milano che oggi (venerdì 18 luglio 2014) ha assoltoSilvio Berlusconinel «Rubygate», ha accettato l'impostazione logica data dalla nuova difesa dell'imputato, affidata in secondo grado a Franco Coppi e a Filippo Dinacci. I due avvocati hanno letteralmente smontato l'accusa di concussione per costrizione, che in primo grado aveva portato a una condanna a 6 anni di reclusione (l'altro anno era stato imputato alla presunta prostituzione minorile di Karima el Fahroug, alias Ruby, ancora minorenne nel 2010).

L'eredità del pornoprocesso

Coppi e Dinacci hanno puntato tutto sull'illogicità dell'accusa, che sosteneva Berlusconi avesse chiamato in questura nella tarda serata del 26 maggio 2010 perché Ruby era stata fermata per un furto e perché voleva assolutamente evitare che scoppiasse lo scandalo dei suoi rapporti con la minorenne.

Da qui, secondo il pm Ilda Boccassini, l'accusa mossa all'ex premier di avere abusato del suo potere per indurre i funzionari della polizia a rilasciare illegittimamente la minore.

Ma i due avvocati hanno smontato quel ragionamento. Lo hanno fatto con efficacia, semplicemente ricordando che in realtà Ruby era stata fermata una seconda volta appena 9 giorni dopo il 26 maggio 2010. È proprio così: il 5 giugno la ragazza era stata fermata nuovamente da una volante della questura a causa della sua partecipazione a una rissa. In quell'occasione, però, nessuno aveva chiamato in questura. E Ruby era finita in una comunità per minorenni. 

Ora con Renzi Berlusconi è più forte

Coppi e Dinacci riescono così a dimostrare che i funzionari della questura evidentemente non hanno subito alcuna intimidazione, nessuna costrizione. Perché se così fosse stato, e se fossero effettivamente stati concussi il 26 maggio, in loro sarebbe rimasto il ricordo del timore provocato da Berlusconi attraverso la telefonata e sarebbero comunque intervenuti per rilasciare Ruby una seconda volta. 

Altrettanto vale per il comportamento di Ruby. Se la ragazza avesse nascosto segreti tanto compromettenti per Berlusconi, come ha sostenuto per quasi tre anni la Procura di Milano, avrebbe fatto di tutto per utilizzarli, per sfruttarli a suo vantaggio ed evitare la consegna a una comunità per minorenni da cui fuggiva in continuazione. Invece Ruby non fa nulla. Non telefona a Berlusconi, non lo minaccia.

Dice Coppi: «Questa è la dimostrazione che il nostro cliente ha detto il vero quando ha dichiarato di avere saputo che Ruby non era egiziana ma marocchina, e di avere ignorato fino alla sera del 26 maggio 2010 il suo stato di minorenne. Quella sera stessa, saputa la verità su tutte le bugie di Ruby, Berlusconi ha testimoniato di aver interrotto con lei ogni rapporto». La Corte d'appello ha scelto la logica di questo ragionamento. Obiettivamente inoppugnabile.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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