E ora Renzi ha in mano anche il gioco delle nomine
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E ora Renzi ha in mano anche il gioco delle nomine

Sostituire Scaroni? Giubilare Sarmi? Non è facile. A meno che Renzi non peschi nelle stesse file delle aziende pubbliche...

È partito a cento all’ora, ma anche il piè veloce della politica italiana ha dovuto fermarsi davanti ai santuari del potere. Il primo stop è al Tesoro: Matteo Renzi non ha un braccio destro di peso come era Gordon Brown per Tony Blair, quindi il più importante dei suoi ministri è frutto di una tortuosa mediazione. La seconda sosta riguarda la poltrona d’oro dello spoils system: quella di capo dell’Eni, la prima multinazionale tricolore dopo l’uscita della Fiat. Marco Carrai, l’amico fidato che Renzi ha trasformato nel suo Gianni Letta, vede gente, fa cose, partecipa a cene e incontri.

Il piatto è straricco: ci sono da assegnare ben 500 posti tra presidenti, amministratori delegati, consiglieri, sindaci e controllori vari; sia nelle società che fanno capo direttamente al Tesoro (in questo caso le poltrone sono 100), sia nelle partecipate. Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie, Terna, StMicrolectronics sono in cima alla lista. Insomma, una bella fetta del prodotto lordo italiano. Per la prima volta si dovrà tener conto delle regole volute dal Tesoro (niente condanne, patteggiamenti, rinvii a giudizio) e si passerà al vaglio dello speciale comitato presieduto da Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale.

Enrico Letta ha piazzato silenziosamente 558 persone in dieci mesi lasciando, però, la polpa per la primavera. Errore; se è vero che, come sostiene Emanuele Macaluso, la valanga delle nomine ha contribuito a travolgere anzitempo il governo. Renzi ha detto che vuole discontinuità a ogni livello; ma, vista la precaria maggioranza, il rottamatore dovrà trattare anche con i rottamandi.

Il filo per dipanare l’intera matassa è nella pelliccia del Cane a sei zampe. Paolo Scaroni ha detto che sia lui sia il presidente Giuseppe Recchi sono disponibili per un nuovo mandato ricorrendo a un panegirico che sembra un monito: "Mi piace di Renzi la sua volontà di agire e di agire velocemente". Il top manager dell’Eni ha in mano carte importanti: ha rimpinguato sia le casse del Tesoro sia i portafogli degli azionisti privati, e anche il futuro prossimo porta la sua impronta, visto che ha appena varato il piano triennale all’insegna di una forte posizione finanziaria e una crescita dei dividendi, con dismissioni e meno investimenti.

Se davvero si vuol sostituire Scaroni, occorre scegliere un manager alla sua altezza. Carrai ha lanciato un segnale a Vittorio Colao, gran capo di Vodafone, ma non c’è stata una proposta formale, si aspetta venga sciolto il nodo principale. Intanto, il no di Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica (preferisce stare in azienda che in un ministero), getta molta acqua sui bollori renziani. Nello stesso impasse si trova l’Enel. Fulvio Conti è lì da ben 19 anni sia pure con ruoli diversi. Ha trasformato l’azienda elettrica in una compagnia europea, anche se l’acquisizione della spagnola Endesa l’ha caricata di debiti. Cambiare a questo punto non è affatto facile.

La via d’uscita, all’insegna di un togliattiano rinnovamento nella continuità, esiste. Per l’Eni si parla del direttore generale Claudio Descalzi con Scaroni presidente. All’Enel le due figure forti sono Francesco Starace, che dirige Green Power, e il direttore finanziario Luigi Ferraris. Conti potrebbe sostituire Paolo Andrea Colombo alla presidenza.

Ma attenzione, il mondo elettrico è ricco anche nel privato e Renzi alla Confindustria ha qualche cambiale da pagare dopo il forcing anti Letta di Giorgio Squinzi. Non bisogna mai dimenticare che le imprese a partecipazione statale sono ormai i principali contribuenti. Da lì potrebbe emergere un nome anche per Terna, la società della rete. Guidata da Flavio Cattaneo, vanta un’ottima performance in borsa anche se si basa su tariffe regolate. L’amministratore delegato è stato rinnovato nel 2011, nel frattempo, però, gli sponsor politici sono tramontati, a cominciare da Ignazio La Russa. A suo favore si muove un pressing molto diversificato che lo vedrebbe bene all’Enel.

C’è poi l’effetto domino legato alla formazione del governo. L’ipotesi di Franco Bassanini ministro dell’Economia ha acceso gli appetiti per la presidenza della Cassa depositi e prestiti, la ricca banca del Tesoro. Mauro Moretti al Bilancio ha messo in fibrillazione le Ferrovie dove l’amministratore delegato la fa da padrone. Tecnicamente sono in scadenza solo posizioni subordinate nella società della rete e in Trenitalia, ma verso le Fs viene spinto Innocenzo Cipolletta, ex presidente, anche se lui aspira all’authority dei trasporti. L’altro ministro in pectore, Franco Bernabè, dopo aver lasciato Telecom Italia
in dissenso con gli spagnoli di Telefónica è in stand by.

Si è fatto il suo nome per la presidenza di Finmeccanica dove nel luglio scorso è arrivato il prefetto Gianni De Gennaro. L’amministratore delegato Alessandro Pansa è un uomo di conti ed è ai vertici fin dall’era Guarguaglini. Dunque, tanti uomini in barca. Per non parlare della Rai. La presidente Annamaria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi scadono tecnicamente l’anno prossimo, tuttavia la tv di Stato cambia a ogni governo. S’è fatto il nome di Walter Veltroni alla presidenza, suscitando l’ira dei grillini, ma Renzi dovrà trattare con i suoi alleati e con Forza Italia. Per il ruolo esecutivo c’è chi pensa ad Antonio Campo Dall’Orto, ora a Viacom dopo Mtv e La7; meno probabile oggi Giorgio Gori, renziano della prim’ora; mentre Francesco Caio, al quale Enrico Letta ha affidato l’Agenda digitale, aprirebbe una competizione tecnologica con Mediaset.

L’ingegnere napoletano, già ai vertici di Omnitel e Cable&Wireless, potrebbe andare alle Poste, se il governo volesse farne un’impresa sul modello tedesco invece che una conglomerata parabancaria.

Non che Massimo Sarmi abbia intenzione di andarsene. L’ingresso in Alitalia con un pacchetto del 19 per cento dimostra che non si sente affatto sul viale del tramonto e vuole gestire la parziale privatizzazione dell’azienda. Il problema è capire se è in linea con Renzi, a parte il fatto che si trova allo stesso posto già da 12 anni. Se resta lui, dove va a finire la rottamazione?

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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