Renzi si prende il Governo in diretta streaming
ANSA / ETTORE FERRARI
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Renzi si prende il Governo in diretta streaming

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Ribaltone in diretta streaming. Matteo Renzi promette “nessun effetto speciale”; “nessun cinema” (era il titolo di Panorama.it ndr), ma cinema è. E la realtà supera la fantasia. 

Il massacro in diretta, da parte del Pd, del  premier del proprio partito è un brutto film che non s’era mai visto nella storia della Repubblica.

Scomparso il centralismo democratico che nascondeva e attutiva sotto le sue liturgie rosse e un po’ russe i dissensi interni, nel segreto delle stanze di Botteghe Oscure, e scomparso almeno quel minimo, anche se proprio minimo, di fair play che accompagnò i duelli cruenti tra Massimo D’Alema-Romano Prodi-Walter Veltroni, Renzi si scopre più che un ex dc un epigono del comunismo che lapida in diretta Enrico Letta e lo dà in pasto a una platea.

A un parterre che tutto (tranne l’orgoglioso e dignitoso Pippo Civati e pochi altri) sale sul suo carro. Quello del vincitore che si appresta si dice forse martedì già a salire per il giuramento al Quirinale.

Lapida Letta anche Stefano Fassina, sì anche lui il “Fassina chi” di Renzi. Ma “Matteo” è sparato come un treno, deve percorre quella impervia “strada del bosco” per andare a Palazzo Chigi. Rivendica la sua “ambizione smisurata” ma per cambiare il Paese e non naturalmente per sé stesso, salvo poi tradirsi e dire che se non lo avesse avuta “starei ancora a fare il secondo mandato alla Provincia di Firenze”. Certo il Paese, se così fosse andata, non sarebbe morto per la sua mancata carriera.

Renzi rivendica le riforme, al solito quella elettorale; superamento bicameralismo perfetto e modifica titolo V Costituzione e dice che deve andare a Palazzo Chigi “perché la coalizione lo chiede”. E perché “serve aria fresca”. Ma le riforme che rivendica lui non sono le stesse elencate in un discorso molto più articolato dal premier nella conferenza stampa finale?

Il punto è che nessuno dei due finora è riuscito a farle perché l’obiettivo,far fuori Silvio Berlusconi, è sempre prevalso su tutto, come dimostra il ventennio fallimentare di questa sinistra.

Insorge Forza Italia, a cominciare dai capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani. Parte lancia in resta Brunetta per primo e  denuncia: non si può cambiare il governo “nella stanza di un partito che ha il 25 per cento dei voti degli italiani!”. Forza Italia tutta, da Mariastella Gelmini a Deborah Bergamini, chiede che la crisi venga portata in parlamento, come avviene in una democrazia normale. Ma molto, o quasi tutto dipenderà dall’ancora premier. Perché se lui si dimetterà e basta domani mattina al Quirinale senza chiedere a Giorgio Napolitano di essere rinviato in Parlamento, sembra che il capo dello Stato non sia orientato a dire sì alla richiesta di Forza Italia e dei Cinquestelle.

Anche se, non potendo proprio lui, “Lord Carrington” (ammirato e anche accusato, a seconda dei casi e delle correnti, nel vecchio Pci di anteporre le istituzioni al partito) essere messo alla berlina come un Oscar Luigi Scalfaro qualsiasi, potrebbe chiedere a Letta di andare comunque in parlamento a comunicare le dimissioni.. Ma senza aprire un dibattito che porti al voto. Questo però sarebbe altamente difficile, perché basterebbe una mozione per andare alla conta, che tutto lascia supporre a quel punto sarebbe sfavorevole per Letta. Insomma, sarà “una parlamentarizzazione soft”?

Certamente se sfiduciato Letta guadagnerebbe l’aurea del “martire”, sullo stile di un Prodi/2, che come noto nell’ottobre del ’98 volle a tutti i costi andare al voto di fiducia, anche se Massimo D’Alema glielo aveva altamente sconsigliato. Ma in questo caso la sorte di Letta sarebbe segnata.

Anche se il Renzi/1 senza elezioni - paradossalmente come D’Alema che però non doveva fare solo le riforme ma anche qualcosa di più complicato come la guerra del Kosovo - già trova i primi ostacoli sulla sua strada.

Innanzitutto la pletora di richieste che vanno dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano ai vari “centrini” di Scelta Civica e dell’Udc o i Popolari di Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro. Già avanzano le possibili liste dei ministri. Il mercato è aperto.

Secondo le ultime del borsino del Transatlantico sarebbero in pole Stefania Giannini di Scelta Civica come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfano resterebbe solo con la carica di vicepremier, e poi Lucrezia Reichlin all’Economia, Gianni Cuperlo alla Cultura, un dicastero ci sarebbe anche l’ex segretario pro tempore del Pd Guglielmo Epifani. Tanta aria fresca, a differenza di quello che ha promesso Renzi, non si vede.

Si capisce solo che potrebbe essere paradossalmente il Renzi/1 nato dal ribaltone in diretta streaming, in una stanza del Nazareno, l’affossatore del patto con Silvio Berlusconi. Dice papale papale a Panorama.it il deputato di Ncd Sergio Pizzolante: “E’ chiaro che Renzi ora sarà più impegnato a tenere salda la sua maggioranza che nel dialogo con Berlusconi”. Vedremo.

Certamente ora Renzi sarà ostaggio delle richieste di tutti i partitini che vogliono abbassare la soglia della riforma elettorale, così come l’aveva disegnata con il Cavaliere. Insomma, rischia di fare l’esatto contrario di quanto aveva promesso. Non a caso Berlusconi in serata attacca: "Renzi smentisce se stesso".  Forza Italia gli starà addosso con un’ “opposizione costruttiva” e però guardinga perché il novello premier non venga meno agli impegni presi. Ma quando Letta diceva che non poteva essere fatto fuori da un retroscena di giornale c’era del vero. Perché, il sospetto che viene è che lo scoop non scoop del “golpe” di Monti al posto di Berlusconi in realtà alla fine si è rivelato utile a tirare la volata a “Matteo” a Palazzo Chigi e chissà domani a Romano Prodi al Quirinale.

Non a caso proprio oggi il Professore con una sibillina dichiarazione benedice “L’Italia”. Suona davvero come un benvenuto a Renzi. E sullo scoop non scopp fatto da “Il Corriere della sera”, attraverso Alan Friedman, si allunga l’ombra del partito di carta di “Repubblica”. Ombra che aleggia sul Renzi/1. Il primo governo della storia repubblicana nato con un ribaltone in diretta streaming. Altro che cinema. Qui la realtà dello sfacelo della sinistra ha superato la fantasia. Il Paese costretto a fare da spettatore ne è la vittima.       

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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