Tradita da tutti ora la base PD si fida solo di Civati
Angelo Carconi/Ansa
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Tradita da tutti ora la base PD si fida solo di Civati

Tra il voltafaccia di Renzi e i balbettii di Cuperlo, vince la coerenza di Pippo - Toto-Ministri  - Sondaggio

Se si viene eletti segretario dicendo no alle larghe intese, come fai ad andare al governo con Alfano? Se dici no agli inciuci, come fai a lavorare ad una manovra di potere di questo genere?”.

Ecco, come si fa?

Chi dovrebbe spiegarlo a Pippo Civati che se lo domanda, e soprattutto agli elettori del Pd che l'8 dicembre si sono messi in fila ai gazebo dietro la promessa che con lui segretario il governo di Enrico Letta non avrebbe corso rischi e che solo delle menti maligne potevano pensare il contrario, è Matteo Renzi.

L'improvvisa (anche se è ingenuo credere che in politica qualcosa accada “improvvisamente”) inversione a U impressa dal premier in pectore alla linea seguita fino alla scorsa settimana, ha lasciato quasi tutti (non proprio tutti) di stucco. Compresi i sostenitori, i fan, i folgorati della prima e ultima ora, costretti a difendere Matteo dalla raffica di critiche che lo hanno investito.

Sulla pagina Facebook di un dirigente romano del Pd di fede renziana, si legge oggi il seguente scambio di battute: “Quando un appuntamento importante come la scelta del segretario regionale registra una partecipazione così bassa tra la nostra gente – scrive il dirigente - dobbiamo interrogarci sulle ragioni e capire quale contatto si è interrotto con l'elettorato democratico...” Risposta: “L'analisi sintetica e' che c'aveterottercazzo”.

Chi attacca il sindaco (ormai praticamente ex) non gli rimprovera solo la sfacciata incoerenza dimostrata, ma lo incolpa anche di aver svuotato di senso e valore quello “straordinario strumento di partecipazione democratica” che sono sempre state le primarie per il popolo del Pd.

Non a caso quelle di ieri per la scelta dei segretari regionali sono state disertate in tutta Italia. A Roma nel 2012 parteciparono in 40mila, ieri non hanno raggiunto i 12mila, nemmeno un terzo degli aventi diritto.

Segnale preoccupante di un malcontento che si aggiunge a quelli accumulati negli ultimi mesi, dalla non vittoria alle elezioni politiche di un anno fa, alla vicenda dei 101, alle larghe intese, all'accordo con Silvio Berlusconi sulla legge elettorale siglato al Nazareno fino al voltafaccia compiuto dal segretario che nel giro di 24 ore ha pugnalato alle spalle “l'amico” Enrico Letta per soffiargli il posto a Palazzo Chigi.

Se vinco le primarie mai più larghe intese”, “Io contro Letta? Una barzelletta”, “Con me segretario del Pd, Letta sarà più forte”, “Palazzo Chigi no,no,no”, “Enrico stai sereno, nessuno vuole il tuo posto”.

Possibile che il cambiamento sia diventato urgente solo nelle ultime 48 ore? Che la necessità dell'uscita dalla palude incombesse questa settimana più della scorsa?

Pippo Civati, co-ideatore della prima Leopolda, ha già annunciato che qualcuno, nel Pd, “non voterà la fiducia”. Uno strappo profondissimo ma tutto sommato coerente con quello compiuto giovedì scorso quando i 16 civiatiani presenti in Direzione hanno votato contro il documento con cui Renzi sfiduciava il governo Letta al quale, sempre Civati, aveva negato la fiducia per coerenza con l'avversione alle larghe, medie o strette intese. Sarà scissione? Civati non lo esclude. In fondo già una volta voltò le spalle a Renzi. Accadde quando, dopo aver promosso con lui il raduno "Prossima fermata: Italia", alla Stazione Leopolda di Firenze, ne prese le distanze forse intuendo per primo l'attudine cannibalesca, l'esasperante opportunismo, la “smisurata ambizione” del futuro enfant premier ministre della politica italiana.

Civati, da parte sua, è sempre rimasto fedele all'idea di un partito democratico costruito “dal basso”, più vicino a Vendola che a Formigoni, più in sintonia con l'anima dialogante dei 5stelle che con Alfano e Berlusconi.

Candidatosi alla segreteria del Pd, alle scorse primarie si era classificato terzo dietro a Gianni Cuperlo, colui che avrebbe dovuto guidare l'opposizione interna e che oggi si ritrova invece, insieme a giovani turchi, dalemiani e bersaniani, superato a sinistra proprio dall'ex rottamatore pentito ma altrettanto animato da una “smisurata ambizione”. Quella di riportare gli italiani al voto, di far vincere il Pd nelle urne e non, forte del consenso di appena il 4% degli elettori ottenuto per altro in una gara interna al suo partito, attraverso una manovra di Palazzo più degna di un politico della prima Repubblica che del leader della principale forza riformista e progressista del Paese.

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Claudia Daconto