Quando l’ambientalismo è un’arma contro i paesi poveri
Annalisa Chirico Esiste un ambientalismo non ideologico. E’ possibile battersi per la tutela dell’ambiente senza brandire la clava antimercatista, senza dichiarare guerra alla scienza, senza addossare ai Paesi ricchi la responsabilità per ogni sventura di quelli poveri. E’ possibile perché …Leggi tutto
Annalisa Chirico
Esiste un ambientalismo non ideologico. E’ possibile battersi per la tutela dell’ambiente senza brandire la clava antimercatista, senza dichiarare guerra alla scienza, senza addossare ai Paesi ricchi la responsabilità per ogni sventura di quelli poveri. E’ possibile perché non tutto è come appare. “Ce qu’on voit et ce qu’on ne voit pas”, prendendo in prestito la celebre distinzione di Frédéric Bastiat.
Greenpeace e WWF possono esser contente: anche la Barbie aderisce alla loro campagna contro la deforestazione. La Mattel infatti si è convertita al marchio FSC (Forest Stewardship Council) impegnandosi a utilizzare esclusivamente legno e prodotti da esso derivati, che provengano da foreste gestite nel rispetto dell’ambiente. Carta a basso tasso di deforestazione, diciamo così. Si dirà: deforestare fa male; multinazionali, per di più occidentali, fanno molto male; FSC Fonte di Salvezza Collettiva.
Se questo è quello che si vede, c’è poi quello che non si vede. Il marchio FSC fa più male che bene, e a dirlo è addirittura Patrick Moore, che di Greenpeace è stato cofondatore.
Per i produttori dei Paesi poveri il marchio si è trasformato in una barriera all’accesso nei mercati occidentali. Le imprese indonesiane o malesiane non sono in grado di soddisfare gli standard richiesti ai fini della certificazione; standard che fino a dieci anni fa erano troppo elevati (e costosi) addirittura per gli omologhi occidentali. Una forma di protezionismo strisciante, che avvantaggia i produttori occidentali tenendo fuori dal mercato le maggiori industrie del settore del sud-est asiatico.
Gli effetti del marchio non risparmiano neppure i consumatori costretti a pagare fino al 25% in più i prodotti FSC. Se a questo poi aggiungiamo che le accuse mosse ai produttori non FSC sono state smontate a suon di dati e ricerche, davvero non si comprende perché impedire alla borghesia imprenditoriale dei PVS di cogliere la sfida della concorrenza.
Libertiamo, l’associazione presieduta da Benedetto della Vedova, ha condensato in un istruttivo paper “segreti e bugie” sul marchio FSC. Dalle ricerche, che rivelano l’infondatezza delle presunte ragioni ambientali, agli interrogativi sulla trasparenza delle relazioni finanziarie tra l’ente FSC e le ONG al suo séguito. Quel che è certo è che l’adozione di un eco-marchio andrebbe lasciata al volontarismo dell’impresa e non imposta a colpi di leggi e regolamenti.
E’ tempo di usare l’accetta, sì, per sfrondare l’ambientalismo ideologico dai suoi rami anticapitalisti e anticonsumisti. Serve un ambientalismo pragmatico e ragionevole, capace di conciliare sostenibilità ambientale e crescita economica, di mettere la scienza al servizio dell’ambiente. “Dobbiamo proteggere la Terra, i suoi abitanti. Non i nostri preconcetti”. Teniamolo a mente.