Polveriera egiziana
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Polveriera egiziana

Resta alta la tensione al Cairo: le cellule jihadiste attaccano postazioni delle forze di sicurezza, università e infrastrutture energetiche

Di Marta Pranzetti per Lookout news

Il giorno dopo il quarto anniversario della Rivoluzione del 25 gennaio 2011, il governo egiziano deve fare i conti con un’escalation di violenze che rischia di contagiare non solo Il Cairo ma l’intero Paese. È salito a 18 morti ed almeno 35 feriti il bilancio degli scontri avvenuti domenica 25 gennaio nella capitale (nei quartieri di Ain Shams e Matariya), ad Alessandria e nelle province di Beheira, Giza, Al Manoufiya, Kafr El-Sheikh e Minya. E dopo le immagini trasmesse in mondovisione della morte tra le braccia del marito dell’attivista Shaimaa el-Sabagh (sostenitrice del partito di sinistra Alleanza popolare socialista), la tensione potrebbe continuare a salire nei prossimi giorni a causa della scarcerazione dei due figli di Mubarak. Alaa e Gamal Mubarak sono infatti tornati questa mattina nelle loro abitazioni nel sobborgo di Heliopolis, dopo che il tribunale che li aveva giudicati colpevoli di corruzione ha stabilito che hanno scontato la pena detentiva prevista per il reato commesso.

Alla luce di quanto accaduto al Cairo negli ultimi giorni, quella che è stata vista da buona parte dell’opinione pubblica come l’ennesima concessione fatta alla famiglia del rais Hosni Mubarak potrebbe far esplodere una nuova ondata di proteste. L’allarme per la sicurezza del Paese resta pertanto alto, considerato che alle proteste dei Fratelli Musulmani si sono unite anche altre voci del dissenso egiziano: attivisti della società civile, sostenitori dei partiti socialisti e rivoluzionari, gruppi di studenti. Un fronte sempre più ampio che protesta contro il tradimento dei principi della rivoluzione del 2011, contro i metodi repressivi utilizzati dalle forze di sicurezza e contro le recenti leggi anti-proteste approvate dal governo guidato dal presidente Abdel Fattah Al Sisi.

La crisi attraversata dall’esecutivo guidato dall’ex generale è probabilmente la più dura registrata da quando nel luglio del 2013 è stato spodestato l’ex presidente egiziano e leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, attualmente in carcere.

Di fronte alla forte azione di governo promossa in questo anno e mezzo dal nuovo presidente, in tutto l’Egitto si sono sviluppati decine di focolai di tensione e di possibili minacce alla sicurezza del Paese. Il riferimento non è solo al Sinai, dove il governo sta conducendo una campagna antiterrorismo contro il gruppo Ansar Beyt al-Maqdis, affiliato allo Stato Islamico. Negli ultimi mesi attacchi e attentati effettuati con l’utilizzo di autobombe, ordigni improvvisati e sparatorie improvvise, si sono registrati in maniera sporadica e per questo motivo ancor più difficile da prevenire. Nel mirino sono finiti non solo presidi militari e della polizia ma anche obiettivi civili: università, mezzi di trasporto e infrastrutture energetiche, dal Cairo al Delta del Nilo.

 La mattanza del 25 gennaio è stata preceduta da mesi turbolenti, su cui il governo spesso ha tentato di fare ombra puntando il dito contro i Fratelli Musulmani. L’elenco degli attentati è lungo: esplosioni si sono verificate a bordo di un treno che viaggiava dal Cairo verso Menufiya (4 morti), lungo il Ponte Ghamra (nel governatorato di El-Zaher, non lontano dalla Downtown Cairo), nel tratto ferroviario che collega Zagazig, Mansoura e Il Cairo, alla stazione della metro Helmeyet Al-Zaytoun sulla linea Marg-Helwan sempre nella capitale, nei pressi di una ferrovia vicino Suez e a pochi metri da una stazione del tram ad Alessandria.

 

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La minaccia di Ajnad Misr
Oltre Ansar Beyt al-Maqdis, il gruppo jihadista che si è guadagnato maggiore visibilità in questi mesi è stato Ajnad Misr, autore di un attentato nel settembre del 2014 alla sede del ministero degli Esteri al Cairo e, successivamente, di una serie di attacchi a sedi universitarie nella capitale e ad Ain Shams. Il 10 gennaio il presunto leader del gruppo Magd Al-Deen Al-Masry in un video pubblicato su internet ha alzato il tiro arrivando a minacciare la “distruzione totale delle istituzioni egiziane”. Forte di un braccio armato operativo a Giza e ad Alessandria (si tratta del gruppo Resistenza Popolare a Giza”), Ajnad Misr rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale al pari di Ansar Beyt al-Maqdis.

 

Gli attacchi alle infrastrutture energetiche
A pagarne le conseguenze potrebbe essere nell’immediato anche la tenuta dell’economia egiziana, già gravemente danneggiata dalla disastrosa gestione del governo guidato dai Fratelli Musulmani. Il settore energetico, su cui l’Egitto basa buona parte delle sue speranze di ripresa, come detto è uno dei principali obiettivi delle cellule jihadiste. Negli ultimi tre anni ad esempio il gasdotto che collega Al Arish (nel nord del Sinai) con Aqaba in Giordania è stato colpito decine di volte. Gli ultimi attacchi più rilevanti si sono verificati nei giorni che hanno preceduto il quarto anniversario della rivoluzione nelle province di Beheira e Sharqiya.

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