Veltroni e quel sogno infranto chiamato Pd
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Veltroni e quel sogno infranto chiamato Pd

Il padre fondatore del Pd torna a richiamare la sinistra sulla necessità di riorganizzarsi contro le forze populiste, prima che sia troppo tardi

"La sinistra o accende un sogno o non è. Perché la sinistra o è popolo o non è. Ma io non condivido i discorsi che sento fare sulla fine della sinistra o delle idee dei democratici". Lo scrive in un lungo editoriale pubblicato il 28 agosto su La Repubblica, il papà del Pd, Walter Veltroni anticipando di fatto quello che sarà il suo intervento il prossimo 31 agosto alla Festa nazionale del Pd che quest'anno si tiene a Ravenna.

Le parole d'ordine della sinistra

Veltroni elenca una serie di parole d’ordine e valori della sinistra da recuperare per combattere quello che a suo dire non è populismo, ma un ritorno di una destra estrema.

Secondo l’ex segretario la rivoluzione tecnologica che ha sostituito nel processo produttivo l’uomo con la macchina, finirà per travolgere anche la democrazia e in parte già sta accadendo.

I computer stanno sostituendo la polis, intesa come piazza politica ma anche come luogo di incontro. Rousseau si è sostituito alle decisioni dei parlamentari che perdono del proprio ruolo rappresentativo per diventare dei semplici portavoci di una comunità che si riunisce in un luogo chiuso e protetto da password.

Il Pd era nato per essere un’altra cosa e non per trovarsi a inseguire un’agenda dettata da altri e a utilizzare parole d'ordine come sicurezza, confini, dazi che richiamano le destre più pericolose e che non hanno nulla a che fare con la tradizione di sinistra.

Nel 2007 questo nuovo sogno nasceva come modello alternativo da contrapporre a Silvio Berlusconi, oggi ha la necessità di rifondarsi con la stessa urgenza per contrastare questa ondata di destra che sta attraversando l’Italia e fondendo con i paesi della Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia) per chiedere meno Europa e maggiore potere agli Stati.

Pd, come si cambia

Dalle colonne del quotidiano, Veltroni si sforza di ricordare cosa vuol dire essere di sinistra, cosa vuol dire essere Pd. Ed è proprio ai dirigenti attuali che l’ideatore dei democratici riserva il rimprovero maggiore, quello di non aver capito che mentre all’interno si litigava, fuori la società si stava riorganizzando su altri modelli. Cambiava pelle la gente, ma anche il partito.

Un Pd che era nato per unire le tradizioni della sinistra e ha finito per scindersi da se stesso e da tutti i partiti di sinistra.

Un movimento basato sul modello orizzontale che tenesse dentro centro e periferie capace di cogliere attraverso le primarie le sue energie migliori e che è finito, dieci anni dopo, a compilare le liste elettorali per le ultime elezioni politiche in una stanza chiusa e con i parlamentari lasciati fuori dal partito.

Il partito a vocazione maggioritaria ha finito con il tempo per trasformarsi in "partito di sistema", allontanandosi progressivamente dalle periferie dalle quali era partito. Al debutto elettorale, nel 2008, il Pd raccolse il 37,5 per cento dei voti che comunque furono insufficienti per battere il Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi, ma dieci anni dopo quel patrimonio di esperienza sembra svanito nel nulla.

Veltroni suona la campanella d'allarme

Il richiamo del padre fondatore del partito democratico suona come la campanella e qualcuno dovrà decidere se sia quella di entrata o di uscita da una storia politica che oggi sembra avere concluso il suo ciclo.

L’appello ad una nuova sinistra lascia sotto intendere un ricambio totale delle personalità che hanno condotto la ditta in questo stato di fallimento. Per usare una metafora, servirebbe un’amministrazione straordinaria affidata alla società civile, quella che ieri è scesa a San Babila contro il vertice Salvini-Orban e non ai singoli dirigenti incapaci di mobilizzarsi dove ci sarebbe bisogno di vedere il partito, come realtà concreta di cambiamento.

Il segretario Maurizio Martina appare sempre solo nelle sue spedizioni di buona volontà, sul molo di Catania come ai cancelli dell’Ilva, incapace di mobilitare le masse, ma anche le truppe dei suoi parlamentari.

Il Pd oggi è foriero di abili (?) twittatori, ma manca di persone dal pensiero lungo e quelle che ci sono vengono bullizzate e messe da parte, come i compagni secchioni che nessuno ascolta.

Al Pd oggi per risorgere da un momento di difficoltà acuta dal quale non riesce a riemergere servirebbe forse un altro Veltroni, o lui stesso. Un saggio lontano dalle correnti che hanno logorato il dibattito interno e che sappia ricucire le forze migliori del partito, azzerando le polemiche.  

Forse biosogna ripartire proprio da chi quel sogno l’ha costruito e magari sarà di nuovo “Yes we can”.

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Sara Dellabella