Tutti i paradossi della politica italiana
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Tutti i paradossi della politica italiana

Nessuna forza politica vuole in realtà correre verso il voto. Ma non può neanche permettersi alleanze contronatura: il destino di questo parlamento è legato all'estrema debolezza dei partiti italiani

Se  avessero chiesto al più perfido dei folletti di disegnare a tavolino il  più complicato degli scenari possibili per la politica italiana, non  avrebbe saputo far meglio (o peggio) degli elettori. Che hanno creato  una situazione di ingovernabilità perfetta, risultato di una serie di  incredibili paradossi.

Il  primo: nessuno dei tre blocchi più forti (Pd, Pdl, Movimento5Stelle) ha  vinto, ma nessuno ha perso. Il secondo: nessuno è in grado di formare  un governo da solo. Il terzo: nessuno vuole allearsi con l’altro. Il  quarto nessuno vuole nuove elezioni, almeno  in tempi brevi. Il quinto, l’uomo che avrebbe la chiave per sbloccare la situazione, il presidente  della Repubblica Giorgio Napolitano, non può usarla sino in fondo per  mancanza di tempo, essendo il suo settennato ormai in scadenza. Quindi,  nè può affidare un mandato pieno per formare il nuovo governo, nè può  sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, dal momento che la  Costituzione non glielo consente in pieno semestre bianco. E allora?

Ecco la soluzione possibile: navigare a vista, tra marosi e nebbia  fittisima, sino alla meta, la fine naturale della legislatura; e nel  frattempo, realizzare più riforme - e tra le più radicali - di quante non  siano riusciti a farne, negli ultimi vent’anni, governi espressi anche  da maggioranze bulgare, almeno sulla carta. Ecco, quindi, il paradosso  che alla fine può togliere le castagne dal fuoco a tutti: gli elementi  di debolezza che si trasformano in punti di forza.

Dai  primi passi di questa folle legislatura, s’è già visto che proprio  l’inesistenza di soluzioni precostituite ha permesso di sciogliere  rapidamente il nodo intricatissimo dell’elezione dei nuovi presidenti  delle due Camere. Molti ne attribuiscono il merito al segretario del Pd  Pier Luigi Bersani che, mettendo il Parlamento nella condizione di  prendere o lasciare, alla fine ha fatto eleggere Laura Boldrini alla  Camera e Piero Grasso a Palazzo Madama. Davvero merito suo? Domanda  superflua, e in fondo anche inutile.  Il fatto incontrovertibile è che la forza dello stato di necessità ha imposto la rottura di ogni schema e  il superamento di ogni vecchia logica, all’interno dei partiti e nella  contrattazione fra i partiti. Bersani, a cui Napolitano dovrebbe  affidare un mandato - in virtù di una legge elettorale che gli ha  consentito di ottenere maggioranza assoluta a Montecitorio e  relativa  al Senato - ora dice che proverà a formare un governo utilizzando ancora  lo “schema Grasso”.

Significa che, se il Quirinale gli affiderà un  mandato pieno, si presenterà in Parlamento con delle proposte che non si  possono rifiutare. E cioè, innanzitutto il suo famoso programma  limitato a otto punti: otto cose che l’opinione pubblica reclama a gran  voce. E poi, con una squadra di governo composta da tante “Boldrini” e  da tanti “Grasso”: personalità di alto profilo “tecnico”, ma non freddi  professori lontanissimi dal comune sentire della pubblica opinione; note  per il loro impegno civile e professionale, ma non riconducibili ad  appartenenze di partito. Chi si assumerebbe la responsabilità di dire di  no, con il conseguente salto nel buio?

Ecco il punto. Beppe Grillo non  può tirare  troppo la corda: la stragrande maggioranza dei suoi elettori  e molti dei suoi parlamentari vogliono risolvere problemi e, per quanto è  possibile, non sfasciare il sistema. E lo stesso, a maggior ragione,  vale per il Pdl, Mario Monti e i leghisti. Perciò, se nessuna forza  politica se la sentisse di votare apertamente la fiducia a un ipotetico  governo Bersani, i singoli parlamentari si troverebbero però di fronte a  un caso di coscienza.

Scontato il sì a Montecitorio, a Palazzo Madama potrebbe quindi accadere proprio quello che al momento, sulla carta,  appare del tutto improbabile. E cioè, che il governo ottenga la fiducia  grazie alle “diserzioni” di singoli senatori. Che potrebbero votare sì  nel segreto dell’urna; o rimanere fuori dall’aula, facendo così  abbassare il quorum necessario per il disco verde al nuovo governo.

E  dopo? Si riprenderebbe a navigare a vista sino alla scadenza  successiva: l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Anche in quel caso  potrebbe funzionare il “metodo Grasso”. E poi? Da quel momento, la  navigazione a vista potrebbe essere anche meno problematica, perchè  almeno ci sarebbe un timoniere a stabilire la rotta.

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Giovanni Fasanella

Redattore parlamentare dal 1984,  prima dell'Unità e poi, dal 1988, di Panorama. Ha pubblicato molti libri con ex terroristi, vittime di terroristi ed alcuni tra i maggiori investigatori italiani nei loro rispettivi ambiti: Giovanni Pellegrino, per sette anni presidente della commissione parlamentari su stragi e terrorismo; Rosario Priore, giudice istruttore delle inchieste su Moro, Ustica e attentato a papa Giovanni Paolo II; Mario Mori, fondatore del Ros e per alcuni anni direttore del Servizio segreto civile.

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