Tevere, disastro Capitale
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Tevere, disastro Capitale

Chi dovrebbe tenere pulite le sponde del fiume? Semplice: nessuno. Ecco l'emblema delle occasioni sprecate dalla città in questi anni

Quando Virginia Raggi, in una delle prime uscite pubbliche da sindaco di Roma, è scesa sulla riva del Tevere per una simbolica pulizia straordinaria, non lontano dal punto in cui è stato scaraventato nel fiume il povero Beau Solomon, ha aggiunto un piccolo mattone al gigantesco edificio del debito della Capitale. Quella pulizia, infatti, andrà pagata a parte alla società della nettezza urbana (Ama), visto che la vecchia convenzione per togliere la sporcizia dalle banchine, per altro in modo assai incompleto, è scaduta e non è stata rinnovata. Ma chi dovrebbe tenerle pulite allora? Semplice: nessuno.

Basterebbe questo a dare un’idea della trascuratezza riservata al fiume da cui, secondo ricostruzioni storiche e leggende, è nata la Città eterna. Per valorizzarne l’enorme patrimonio naturalistico, culturale ed economico servirebbe una strategia di ampio respiro, di cui purtroppo non si vede l’ombra, non solo per colpa della malandata amministrazione capitolina. L’elenco dei soggetti che in un modo o nell’altro hanno voce in capitolo sul Tevere ha dell’incredibile: Regione Lazio, con annesse agenzie specializzate, Roma capitale, Soprintendenza archeologica, Autorità di bacino, Polizia fluviale, Vigili del fuoco, Acea. Senza dimenticare i singoli municipi né le altre Regioni attraversate dal fiume, ossia Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. Sì anche l’Emilia, perché Benito Mussolini, per poter dire che il fiume era romagnolo come lui, ne fece spostare i confini, includendovi il comune toscano di Verghereto, dov’è il Monte Fumaiolo, da cui appunto nasce il Tevere.

"La prima cosa da fare" spiega Giuseppe Amendola, presidente del Consorzio tiberina, l’associazione che più si sta battendo contro l’abbandono del fiume, "è di consentire ai privati di svolgere le loro attività in cambio di obblighi di manutenzione, come si fa per i corsi d’acqua di tutta Italia anche grazie ai contratti di fiume".

In effetti le aree affidate ai circoli storici come i canottieri Lazio, Roma e Aniene sono tenute molto meglio del resto, ma per generalizzare questo modello ci vorrebbe una riforma ancora più importante: un assessorato, o almeno un Ufficio Tevere, insomma un soggetto competente per le condizioni generali del fiume. Ci si è dovuti accontentare di un Osservatorio sui "ontratti di fiume", creato a fine 2015, che si è riunito solo una volta e non ha prodotto nulla.

Il fiume, insomma, è un’eccellente metafora delle occasionisprecate da Roma negli ultimi anni. Qualche esempio? "A partire dal 2008" spiega Athos De Luca, già consigliere comunale del Pd "sono stati resi disponibili 2 milioni e 300 mila euro di fondi regionali per il Tevere e quasi 1 milione per l’affluente Aniene, che il Comune non è neppure riuscito a spendere. Anzi peggio: per accedere a quei fondi sono stati affidati incarichi di progettazione, consegnati e pagati, per più di 450 mila euro, cui non è poi seguito nulla. Soldi buttati al vento". Ultima chicca: il mancato utilizzo di un altro milione e 800 mila euro per la pista ciclabile fino a Fiumicino.

   Ogni tanto vengono avanzati progetti a dir poco ambiziosi, come l’interramento del Lungotevere di fronte all’Ara Pacis per un fantastico affaccio pedonalizzato sul fiume, poi finito naturalmente nel nulla. Periodicamente si parla di ripristinarne la completa navigabilità e c’è chi ipotizza perfino di farlo tornare balneabile come cinquant’anni fa, quando tanti «fiumaroli» ci andavano abitualmente a nuotare. Più sensato e concreto il lavoro delle tante associazioni private come l’Associazione amici del Tevere, Tevereterno e Retake Roma, a cui si devono le ultime pulizie delle sponde, realizzate da volontari e con fondi privati. Qualche mese fa sono finiti tutti in un articolo sul New York Times.

Da anni alcune cooperative portano scolaresche e turisti in battello lungo il fiume fino alle rovine di Ostia antica. Una gita di grande fascino che potrebbe facilmente diventare un’attrazione mondiale. Peccato che nel 2014 la Soprintendenza archeologica (ministero della Cultura) abbia deciso di chiudere il cancello che consen­tiva ai visitatori di entrare nell’area direttamente all’approdo, con la motivazione che quell’ingresso è riservato al personale interno. "Ora per portare le persone a Ostia antica bisogna fare due chilometri a piedi. Non è più la stessa cosa", dice Daniele Ranucci della cooperativa Pesca, natura e turismo. Altro problema: le condizioni penose del punto d’imbarco, sotto Ponte Marconi, con sporcizia, baracche e via vai di prostitute. Non è certo l’ideale per attirare visitatori, ma nonostante questo ogni anno in migliaia vanno in battello a Ostia antica.

Cercano di fare la loro parte anche i funzionari della Sovrintendenza capitolina (facente capo al Comune), impegnati nella valorizzazione della Cloaca maxima, straordinaria opera d’ingegneria dell’antica Roma. Da anni cercano fondi per pulire lo sbocco sul fiume, poco a valle dell’Isola Tiberina, dove in estate s’accampano clochard. Vorrebbero anche proiettare immagini relative a quest’opera gigantesca risalente al VI secolo prima dell’era cristiana sui muraglioni, che però andrebbero prima puliti. "Per questa e altre iniziative" dice Elisabetta Bianchi, responsabile dei progetti sulla Cloaca, "basterebbero poche centinaia di migliaia di euro, ma non si trovano".

La sporcizia degli argini è stata sfruttata in modo geniale dall’artista sudafricano William Kentridge, che ha intarsiato lo strato depositatovi ogni inverno dalle piene del fiume (che nessuno ha mai avuto l’incarico di pulire, nemmeno quando c’era la convenzione con l’Ama) per dar vita a ben 500 metri di graffiti ispirati alla storia e al mito di Roma, fra Ponte Mazzini e Ponte Sisto.

Un lavoro imponente, regalato ai romani grazie alla tenacia dell’associazione Tevereterno, dopo anni di resistenze burocratiche. L’inaugurazione è avvenuta con spettacoli e concerti lo scorso 21 aprile, Natale di Roma, e tutto sembrava filare nel migliore dei modi quando si è scoperto che la Regione aveva concesso il corrispondente tratto di banchina agli esercenti che ogni estate vi allestiscono (con il permesso del Comune), bar e ristoranti, oscurando quasi completamente il singolare «affresco». L’opinione pubblica è insorta e le bancarelle sono state proibite dal ministero della Cultura. Conseguenza: i diretti interessati hanno annunciato una richiesta di risarcimento che pare abbiano ottime probabilità di ottenere.

Resta, per fortuna ancora intatto, un paesaggio straordinario (in qualche punto si vedono i cormorani) che gli estimatori si godono a piedi o in bicicletta, specie nei fine settimana. La cosa che colpisce di più, in qualunque punto si scenda sul greto del fiume, è il silenzio. I rumori della città arrivano come un’eco lontana, perché gli alti argini costruiti a fine Ottocento per prevenire le alluvioni (ultima, quella disastrosa del 1870) hanno isolato il fiume da ciò che lo circonda. Questa separazione è il primo problema del Tevere, perché crea le condizioni per il triste spettacolo delle tante situazioni di abbandono. Non per niente le iniziative più fortunate degli ultimi decenni sono quelle che l’hanno avvicinato ai cittadini, come la rassegna cinematografica estiva sull’Isola Tiberina (Arena Groupama).

Quando ce ne saranno decine di tutti i tipi, disseminate sui 40 chilometri del suo percorso urbano, il fiume tornerà finalmente a far parte della città. E la sua rinascita potrà cominciare davvero.

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Stefano Caviglia