Io, Cicchitto, rimpiango Togliatti
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Io, Cicchitto, rimpiango Togliatti

intervista esclusiva con il dirigente del Pdl: sui comunisti di ieri e di oggi, su Berlusconi, sul futuro del governo

«Di fronte all’accanimento giustizialista del Pd, non ci resta che rimpiangere la lucidità politica dei grandi comunisti stalinisti come Palmiro Togliatti, che ebbero l’intelligenza di far decollare la Prima Repubblica con un atto di pacificazione che riguardava addirittura dei terribili crimini….».

Non lo dice un ex comunista nostalgico. Ma un dirigente di primo piano del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in qualità anche di raffinato studioso e intellettuale.
Cicchitto è autore di un recente libro «La linea rossa: da Gramsci a Bersani» (Mondadori) sull’evoluzione degli ex comunisti: del Pci al Pd. Ora ne potrebbe anche scrivere un altro, per dire, dal titolo provocatorio: da Togliatti a Matteo Renzi, Stefania Pezzopane e Felice Casson (gli ultimi due sono gli esponenti ipergiustizialisti del Pd, che stanno nella Giunta per le Elezioni e premono con i Cinquestelle per la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi.

Cicchitto, è tranchant: «Minuscoli epigoni, al netto delle battute e dei lazzi del sindaco di Firenze, che vogliono chiudere la seconda Repubblica con un atto oltre che fazioso anche stupido».

In questa intervista a Panorama.it, il presidente della Commissione Esteri della Camera, ex capogruppo del Pdl, ritenuto tra le cosiddette «colombe» e  uno degli uomini chiave in queste ore anche del dialogo tra Pdl e Quirinale, definisce gli eredi dell’ex Pci più figli politici del moralista Enrico Berlinguer che della lucidità e della realpolitik della doppiezza togliattiana.

Presidente Cicchitto: dunque aridateci i politici amici di Baffone? Anche Giuliano Ferrara dice che manca la lucidità dei comunisti di una volta e il direttore di Panorama Giorgio Mulè ha scritto che c’è da rimpiangere statisti non solo come  Alcide De Gasperi ma anche come Palmiro Togliatti… Siamo al paradosso?

«La tragedia è proprio questa. Io reputo che Togliatti abbia sulla coscienza anche un certo numero di assassinii politici (dalla Spagna, con la repressione degli anarcosindacalisti,  ai 200 italiani che furono in Unione Sovietica) a Pietro Tresso. Ha poi sulla coscienza la distruzione della direzione del Partito comunista polacco. E ancora il sì alla repressione in Ungheria e alla fucilazione di Imre Nagy. Non mi fa velo che nel passato di Togliatti ci siano  totali spregiudicatezza e cinismo derivanti dal fatto che lui era uno stalinista. Se Stalin gli avesse dato l’ordine di fare la lotta armata, lui non avrebbe esitato a farla».

Ma c’è anche il Togliatti che fece la Svolta di Salerno e l’amnistia…

«Fece la Svolta di Salerno su indicazione di Stalin, ma essendone totalmente consenziente e fece in proprio (lì non ebbe imput dall’esterno) l’amnistia, capendo che dopo tutto il sangue che aveva caratterizzato la fine del fascismo e la nascita della Repubblica, era necessaria un’interruzione sia per i suoi, perché l’amnistia salvò anche tanti partigiani assassini, sia per i fascisti. Questi ultimi venivano inseriti nel gioco. Sembra che ci fu anche un do ut des, per cui una parte dei missimi votò al Referendum per la Repubblica. Insomma, Togliatti ebbe la capacità politica di comprendere che bisognava introdurre un elemento di tregua, una pacificazione minima».

Ci fu anche il Concordato.

«Analoga metodologia, Togliatti la seguì anche per la vicenda dell’inserimento dell’articolo 7 nella Costituzione. Tutto il laicismo italiano, i socialisti erano scatenati per il voto contrario e lui invece, per la consapevolezza di mantenere in piedi l’alleanza con il mondo cattolico, lui votò l’articolo 7.  Ci fu insomma in Togliatti la capacità di combinare anche la durezza estrema dello scontro politico alla sua articolazione. L’altro episodio fu ancor più drammatico: quando Pallante gli sparò un colpo di pistola, Togliatti ebbe la lucidità politica, mentre veniva messo sulla barella, di dire: non perdete la testa»

Dalla doppiezza togliattiana, a Guglielmo Epifani, Pezzopane, Casson…Un Pd sempre più al traino degli estremismi, dei Cinquestelle?

«È un Pd in balia di se stesso e dei demoni messi in moto. Do una lettura tutt’altro che gratificante della storia del nostro paese anche in questi ultimi anni. Il Pci  post-togliattiano di Berlinguer, che è all’origine di tutto questo, poggia sulla cesura tra Berlinguer e Togliatti. Berlinguer fu più autonomo di Togliatti dall’Unione Sovietica, ma per altro verso accumulò una enorme quantità di moralismo, di schematismo, di manicheismo. Non sapendo né volendo superare sul terreno della socialdemocrazia e del riformismo la crisi che c’era già del comunismo, Berlinguer spostò tutto sul terreno della questione morale. Che è l’anticamera del giustizialismo, del massimalismo sociale e della incapacità di mediazione. Berlinguer fece il massimo di mediazione subalterna con la politica di unità nazionale.  Siccome non seppe gestire quella politica e fu sostanzialmente fregato dalla Dc, (perse una enorme e quantità di voti), a quel punto dal  discorso di Genova in poi tentò di recuperare sul terreno  della più assoluta rigidità: o al governo o all’opposizione. Quindi i socialisti e Bettino Craxi erano gli avversari principali. Arriva alla rottura più totale con la Fiat, introduce la questione morale e così via»

Gettò le basi per gli epigoni di oggi?

«Questi furono i presupposti degli epigoni. Perché Berlinguer comunque lo fece con una sua comunque grandezza. Ma introdusse nella vita politica italiana una rigidità totale. Togliatti aveva un legame di ferro con il Pci, ma aveva un senso straordinario della mediazione che espresse anche nella vicenda della Costituzione italiana. Fatta e conclusa quando era già avvenuta la rottura dell’unità nazionale. Invece, in Berlinguer abbiamo avuto una maggiore autonomia (maggiore non totale perché fino agli anni ’80 ebbe finanziamenti sovietici) dall’Unione Sovietica, ma fatta da sinistra non da posizioni socialdemocratiche e riformiste. Avendo tentato il massimo della mediazione che si rivelò del tutto subalterna alla Dc, passò al massimo di intransigenza che ha mantenuto fino alla fine».

Quelli che lei chiama epigoni quindi sono politicamente più figli di Berlinguer che di Togliatti?

«Sì sono più figli di Berlinguer. Avendo gli epigoni una statura politica molto minore sia rispetto a quella di Togliatti sia a quella dello stesso Berlinguer, cosa è avvenuto? Qualcuno ha proseguito con totale cinismo e realismo, vedi Massimo D’Alema, molti altri invece poi ci hanno creduto fino in fondo allo sbocco berlingueriano. Quando si sono trovati in una situazione di totale crisi per il crollo del comunismo hanno fatto ricorso alle, tra virgolette, armi segrete più riposte. Una delle quali era la sedimentazione, l’organizzazione che loro avevano fatto all’interno di tutti i corpi separati dello Stato e nella Magistratura. Hanno utilizzato quella sedimentazione in un primo momento all’epoca di Mani pulite per evitare danni maggiori. Il Pci fu salvato. Ma in una  seconda fase fu utilizzato e cavalcò addirittura la tigre. È una riflessione che fa Giovanni Pellegrino ex presidente della Commissione Stragi: nel vuoto di cultura politica che il Pci ebbe quando crollò il comunismo, colò quel vuoto con la cultura giustizialista di Luciano Violante che esercitò un ruolo egemone. Sia sul terremo culturale sia sul terreno politico, Violante, per una certa rete di rapporti per un verso salvò il Pci per l’altro andò all’attacco. Non dimentichiamoci l’attacco di Violante e Giancarlo Caselli a Giulio Andreotti: l’incriminazione per mafia segna non dimentichiamoci la fine della Dc, lo stesso giorno Mario Segni uscì dalla Dc».

Ora siamo al paradosso: Violante invoca il diritto alla difesa di Berlusconi e lo bollano i suoi stessi compagni come traditore, i militanti lo prendono a gavettoni. Come si spiega questa parabola?

«Siamo al paradosso perché questa sedimentazione ha sempre più preso corpo. Mentre allora ci fu un rapporto prima paritario poi una certa guida del Pds nei confronti di Magistratura democratica, ora per certi aspetti le parti si sono  rovesciate. Md e questi settori di sinistra della Magistratura agiscono in proprio con una grande volontà egemocica, sostenuta da giornali, da Repubblica a Il Fatto. Hanno loro trasmissione televisive, nella più assoluta incapacità di fare quelle mediazioni che invece erano tipiche di Togliatti».

Subalterni a certi giudici?

«Come non mai. Ma attenzione, subalterni a una linea giudiziaria che rivendica di aver ottenuto il risultato di aver colpito l’odiato Berlusconi e quindi non deve essere per nulla attenuato questo colpo. E subaltermi poi alla rete, al web, agli stessi grillini. E invece in questa situazione per poter mantenere in piedi un governo, che secondo me, non ha alternative, se non alternative catastrofiche, occorrerebbe fare il corrispetttivo di quello che ha fatto Togliatti nel 1946. E in modo molto più attenuato: il centro dello scontro non è togliere la pena a Berlusconi, ma chiedere alla Corte costituzionale se quella la norma Severino è costituzionale o meno, e questo a una Corte costituzionale che tra l’altro è tutto tranne che di centrodestra. Quindi si chiede un atto minimo per disimnescare un pericolo che è drammatico per tutti».

Lei è ritenuto tra le «colombe». È così?

«Io diversamente da altri nel Pdl non reputo affatto che qualora si metta in crisi il governo Letta chissà quali vanataggi ne avrebbe il Pdl, quali trionfi elettorali sarebbero alle porte, io su questo sono molto scettico anche perché non vedo alle porte neppure un immediato confronto elettorale.  Ma un avvitamento. Una cosa è certa: Giorgio Napolitano non ci farà mai votare con questo sistema elettorale, non farà votare né il Pdl né Renzi né tutti quelli che volessero le elezioni».

Lei ha scritto un libro su «L’uso politico della giustizia», se neppure quell’atto minimo di pacificazione non verrà  concesso  anche la seconda Repubblica cadrà per via giudiziaria?

«L’ingranaggio infernale che caratterizza l’Italia dal  ’92 che è l’ uso politico giustizia. Siamo l’unico paese in Europa dove c’è una parte della Magistratura in azione politica permanente. L’Italia è permanentemente in crisi. Saltata la Prima Repubblica e ci sta fallendo la Seconda. Una dichiarazione di fallimento c’è anche nelle elezioni del 2013 quando i due principali partiti perdono qualcosa come 9 milioni di voti e un partito totalmente protestario prende il 29 per certo. È segno che siamo alla frutta. Si era trovata una via di tamponamento anche per merito di Berlusconi con questo governo. Io mi auguro che questa situazione sia in qualche modo superata e che ci sia qualche risorsa istituzionale che consenta di farlo. Ma se non la si supera, è il risultato della pervicacia nell’usare lo strumento della giustizia a fini politici che caratterizza l’Italia come il più inquietante e pericoloso paese dell’Europa».

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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