Sabino Cassese, un quirinabile contro gli sprechi
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Sabino Cassese, un quirinabile contro gli sprechi

Ex ministro con Ciampi, giudice della Corte costituzionale. Il ritratto dell'outsider per il Quirinale - lo speciale sulle elezioni del Presidente della Repubblica -

E’ brunettiano con la nobiltà del diritto e la perseveranza del professore. Ed è stato tagliatore senza avere la mutria di Enrico Bondi che con il suo viso paonazzo ha irretito senza tagliare, altra declinazione di saggio all’italiana.

Ha collezionato lauree anche se l’obiettivo di Sabino Cassese è stato quello di togliere il titolo di dottore ai dottori della Pubblica amministrazione. Ma per favore! «Torniamo al signor» diceva Luigi Einaudi nelle sue “Prediche inutili”.

Così, se ci fosse presidente a cui fare riferimento, un quirinabile all’improvviso come Cassese non potrebbe che fare riferimento a Einaudi, lo «storpio della vetrata», il presidente liberale. Piacere piace agli arcigni di centrodestra nonostante sia espressione di quella che Berlusconi si ostina a chiamare la «lottizzazione dello Stato», messa in atto da qualsiasi presidente sia stato issato al Colle.

Del resto come può non piacere uno che faceva il castigamatti prima di Renato Brunetta e che ha fatto scioperare i professori, infastidito i sindacati, difeso perfino l’alienazione del patrimonio pubblico (idea sempre cara a destra) e che già si chiedeva: «Difende più l’interesse pubblico chi mira a valorizzare il patrimonio di Stato oppure chi difende lo status quo composto di sprechi e malagestione e privilegi insostenibili?».

La sinistra lo recluta a suo appannaggio per filiazione diretta al punto da non escluderne una sua eventuale corsa per il Quirinale anche se taciuta da tutti a favore dei più europeisti Amato-Prodi-D’Alema. Eppure non si dica che Cassese non abbia profilo europeo, da Friburgo a Cordoba, Parigi, America collezionando riconoscimenti per le sue idee in materia di diritto amministrativo, e sarebbe già merito la mancanza di vanagloria che lo descriverebbe.

Dice: «Perché un professore non può essere valutato?». Carlo Azeglio Ciampi lo preferiva tra i ministri al punto da esporsi: «è l’uomo per cui si può mettere la mano sul fuoco». Lo fece ministro della Funzione pubblica nel 1993 e poi giudice alla Consulta nel 2005 sottraendolo alla cattedra di diritto amministrativo della Sapienza e si fidava al punto da lasciargli usurpare tranquillamente il ruolo e preferirlo a un ministro del Tesoro come Luigi Spaventa a cui riscrisse in pratica la finanziaria con tanto di bilanci, previsioni e tagli.

Per non parlare degli strali che la Cgil gli ha riservato quando con fare deciso ha osato parlare male dei distacchi dei sindacalisti: «Lo sapete che i vostri distacchi ci costano sessanta miliardi l’anno?». Si meritò l’accusa del combattente del cappuccino e poi perché, soltanto per avere ripreso i travet e lanciato quella che era una crociata proto-fannulloni: «Basta con la cultura del dottore è fuori stanza. O con le pause interminabili per caffè e cappuccino». Ma di più ha fatto quando ha parlato della letizia baronale che in prima persona lo toccava. Si chiese: «Ho insegnato in due università, nella prima ho avuto 20 studenti, nell’altra 2000, perché?».

Con Maurizio Sacconi ci litigò perché non esito a ridurre i fondi per la Scuola superiore di amministrazione (aveva tre sedi) che nell’intenzione dell’ex sottosegretario socialista doveva essere una sorta di Ena, la scuola delle élite francesi. Altro che Ena! Recidere gli sprechi e la malaburocrazia e aprire gli uffici anche nel pomeriggio arrischiando pure una valutazione per i dipendenti. Ed è sempre un rimbrotto severo, ostile, duro, che Cassese, maestro nel non oltrepassare mai il limite della compostezza, è riuscito a “grammatizzare”. Bravo, anzi bravissimo nel combattere forse la prima sciagura italiana che al netto del peso dei benpensanti e dei conformisti è la questione linguistica.

Ecco, perché sarebbe il presidente adatto per il “cittadino” Renzo, ammirato da Italo Calvino che sul burocratese scagliò la sua più lucida invettiva. Se c’è infatti un merito per cui Cassese dovrebbe essere degno di salire al Quirinale, ebbene, senza dubbio è la sua revisione della lingua dello Stato che è poi simile alla revisione del Manzoni anche se non totalmente riuscita. Depurare i bizantinismi, eliminando quelle stupide digressioni più fastidiose delle note a piè di pagina, l’oscurità di un Torquato Tasso o le elucubrazioni degne della protesta di Eduardo Sanguineti. «Una lingua che tutti possano comprendere» e sembra di assaporare la simpatica battaglia di Claudio Bisio in “Benvenuto presidente”, quando in pizzeria arringa rifiutandosi di firmare una legge che non comprende.

E verrebbe da dire povera Sicilia e per non discriminare povero Trentino, Valle d’Aosta, povera insomma qualsiasi regione o ente di sottogoverno, museo che abbia istituito quel welfare state tutto ozio e caffè, se Cassese fosse eletto presidente.

Poca cosa sarebbe il parlamento aperto come una scatoletta dei grillini. Con Cassese la lotta agli sprechi non sarebbe un alito arrabbiato ma un mutamento «contro una cultura secolare» che il giurista semplifica con un passaggio storico anglosassone: «Pensate che nel secondo dopoguerra una commissione inglese chiamata a modernizzare l’amministrazione, scoprì che il ministero pagava un impiegato perché accendesse delle sterpaglie nel caso in cui dovesse apparire l’Invicibile Armata che era stata sconfitta nel 1588. Questa è la burocrazia». E sempre per rimanere alla lingua, la sua sarebbe come quella di Bergoglio del «buonasera», le sue calvizie rassicuranti, nota intonata (una passione per la musica) in questa orchestra senza maestro

Twitter: @carusocarmelo)

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Carmelo Caruso