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Rutelli: "Essere verdi non significa dire sempre No"

Intervista al capostipite degli ecologisti italiani che racconta la vita politica e quella privata

Onorevole Rutelli, mi spiega...

(Sorride). La fermo subito. Non sono più onorevole, ma presidente dell’Anica. Sono un ex militante radicale e verde, lavoro da volontario sulle questioni ambientali e non mi occupo più di politica.

Ancora meglio: è la persona giusta per rispondere a una delle grandi domande del dopo voto.

Dice? Sentiamola.

Perché i Verdi hanno vinto nel Nord Europa ma in Italia fanno flop?

È un ragionamento lungo, da dove inizio?

Dal racconto sulla sua prima azione da ambientalista militante...

Allora partirei da un arresto.

La storia si fa subito interessante!

Era un sit in del partito radicale contro la centrale nucleare di Latina.

E la repressione degenerò fino a portarla in carcere?

La repressione purtroppo non c’era.

Come, «purtroppo»?

Il dilemma di quel giorno era che la polizia, che non voleva problemi, non voleva arrestarmi.

Gli arresti come medaglie che fanno curriculum. Anche Roberto Giachetti lo ha raccontato.

Esatto. Era l’unico modo che avevamo per rendere visibile la protesta.

E lei quanti anni aveva?

Era il 1972, 26 anni, ero un uomo-sandwich di cartelloni antinuclearisti, volantinavo, e purtroppo per me, quel giorno non volevano proprio arrestarmi.

Ma anche voi eravate preparati.

Uhhh!!! Ci accompagnava l’avvocato Caiazza, all’epoca militante radicale anche lui, oggi presidente delle Camere penali. E avevamo uno stratagemma.

In che senso?

Avevamo predisposto una trappola per costringerli a intervenire. Vicino alla centrale c’era un poligono di tiro e Caiazza ebbe l’idea: nel volantino aveva inserito un invito alla diserzione per i soldati del poligono che, come è noto, costituiva una gravissima violazione del codice penale.

E cosa accadde?

Una scena che all’inizio sembrava da commedia all’italiana.

Cioè?

Io comincio a dare i volantini ai poliziotti, quelli si allontanano, noi militanti li inseguiamo e Caiazza inizia a gridare: «Lei deve immediatamente arrestare il signor Rutelli! Il signor Rutelli sta violando gravemente la legge». Ah ah ah.

E alla fine ci è riuscito?

Tre giorni di carcere e processo. Un risultato straordinario. Ma che fatica!

Non resisto. Un altro aneddoto.

Lei conosce il partito radicale: quando si imbarcava in una battaglia nulla ci fermava. Iniziammo a raccogliere le firme contro il buco nell’ozono.

Ah, ah, ah...

E si può immaginare cosa fosse, nei primi anni Settanta, parlare di ambiente con termini scientifici.

Voi partivate nel solito modo: volantini, banchetti...

... E maratone televisive. Ovviamente anche su Teleroma 56, la tv dei radicali.

Ovvio.

Un giorno, durante una lunga diretta, mi chiama un certo Vincenzo, da Roma, e mi fa: «Mi sente? Per quanto riguarda il buco nell’ozono, vorrei dirle che io preferisco il buco del culo! Ha capito?».

Ah, ah, ah. È un video cult, ancora oggi su YouTube. Perché il giovane Rutelli risponde senza scomporsi...

Gli dico: «È un problema di gusti, ma tutti sono assolutamente legittimi!».

Allora i Verdi vincono nel Nord Europa perché ora c’è Greta?

No, o almeno non solo.

In che senso?

I Verdi hanno successo sicuramente, perché c’è una bandiera come Greta che rende visibile il problema, e trascina i giovani. Ma anche e soprattutto perché in Germania i Verdi firmano un accordo con la Siemens per le tecnologie sostenibili.

Non lo sapevo.

Perché i loro temi diventano cultura di governo ed enorme opportunità di mercato. Ora vorrei spiegarle, con alcuni esempi, questo mondo che cambia.

Molti ricordano Francesco Rutelli sindaco di Roma o leader nazionale della Margherita. Ma la sua storia politica inizia molto prima, come militante radicale e proto-ambientalista. Oggi Rutelli ha una moglie famosa, volto televisivo di Forum e di Stasera Italia, Barbara Palombelli, un figlio che lavora a Dagospia e un’altra appena uscita dal Grande Fratello. Sospira divertito: «Lo so: in questa famiglia ormai sono l’unico normale».

Rutelli e Palombelli, una coppia che fa rima: entrambi belli, famosi e romani da generazioni.

Io ho un nonno che ha creato la Fontana delle Naiadi a piazza Esedra, lei un antenato che ha scolpito l’oceano nella Fontana di Trevi. Non c’è storia.Vince lei.

Sappiamo che i Rutelli venivano dalla Sicilia.

L’ultimo architetto dell’Arsenale di Venezia, quello che lo ha trasformato nel monumento che è oggi, è il mio trisnonno Felice Martini. Militare, talento cristallino, uno dei fondatori del Genio.

Mentre l’altro ramo?

I palermitani erano una famiglia di origini umili, avevano iniziato come maestri della pietra e costruttori.

Poi diventano scultori.

Il salto evolutivo avviene quando costruiscono il Teatro Massimo. L’architetto Basile, che vince la gara, decide che deve essere fatto di pietra.

Bella fortuna.

Riesce a ottenere che sia fatto dai maestri di pietra. E che a costruirlo siano proprio «i Rutelli».

Suo nonno Mario.

A 12 anni scalpellinava i fregi del Massimo. E che poi - questo non lo sapeva nessuno - con un investimento formativo enorme viene mandato a studiare da Rodin, a Parigi!

Così i Rutelli diventano scultori e architetti.

Con la mia eccezione. Visto che studio e do molti esami. Ma poi mi metto a fare politica. La laurea l’ho presa con soddisfazione 30 anni dopo...

Facciamo una digressione di padre in figlio. È vero che non era d’accordo che sua figlia Serena partecipasse al Grande Fratello?

Sì, ero contrarissimo.

Addirittura?

Le ho detto: «Ti fidi di tuo padre? Non andare».

E lei?

Ha fatto come le pareva, ed è andata. Esattamente come io avevo fatto rispetto agli appelli dei miei genitori.

Perché era contrario?

Perché so che in quel meccanismo possono prevalere invidie e malignità.

E poi?

È stata bravissima. Sobria, sincera, nessuna scivolata di stile. La guardavo, settimana dopo settimana, ed ero quasi commosso. Perché i figli sono questo.

Quindi guardava il programma? Non ci credo.

E che dovevo fare!!!??? La volevano eliminare tutte le settimane! Ha vinto lei sulle mie riserve.

Mentre Giorgio, talento del giornalismo digitale, è il deus ex machina di Dagospia.

In effetti è così. Ha talento e cultura.

E quando Dagospia scrive malignità su Rutelli?

(Sospiro). Che devo fare? Romanamente abbozzo!

Torniamo alle Europee. Stupito del risultato?

Non voglio recitare il ruolo del facile profeta. Ma un anno fa avevo detto che immaginavo questo risultato non sulla base di una vocazione oracolare, ma seguendo un ragionamento logico.

Avevo detto: i primi in fila ai seggi saranno gli eurocritici.

Qualcuno dice: i partiti eurofili hanno tenuto.

Sì, certo. Ma se gli euroscettici sono primi a Londra, a Parigi, a Roma, come fai a ignorare la forza di questo dato? È un segnale molto robusto.

Altri dicono che era scontato. 

Le racconto una cosa. Nel 1989 fui tra i promotori del referendum di indirizzo  più eurofilo della nostra storia.

Perché?

Perché chiedevano di introdurre un mandato costituente sul modello immaginato da Altiero Spinelli. Votarono sì 29 milioni di italiani. E vinse il sì con l’80 per cento!

Oggi sembra incredibile.

Infatti, dal 1979 ai primi anni 2000 il sentimento degli italiani nei confronti dell’Europa era quello. Oggi gli antieuropei restano minoranza, ma gli eurocritici sono in netta maggioranza, non solo quando si vota, ma per una sorta di egemonia culturale dovuta all’incertezza del futuro. 

Perché in Italia i Verdi restano al palo?

Per due motivi specifici. Il primo è questo: l’ecologia è un’ottima risposta di sistema alla scontentezza e alla delusione dell’elettorato progressista. In Francia - per dire - la lista ecologista ha preso il doppio dei socialisti. In Germania l’Spd è al minimo storico.

Mentre da noi il Pd di Zingaretti ha invertito la tendenza delle Politiche e si è ripreso. E poi?

I Verdi europei offrono economia e lavoro: mentre l’ambientalismo politico italiano, temo, offre quasi esclusivamente protesta.

In che senso offrono lavoro?

I Verdi tedeschi si sono messi a discutere nelle fabbriche. Di brevetti, di posti di lavoro, di riconversione. Ho citato la Siemens, ma gli esempi sono tantissimi. I Verdi italiani, e gli ecologisti che sono dentro il  M5s, mi sembrano ancora molto attardati nella cultura del no: no al ponte, non all’infrastruttura, no alla Tav...

Una cosa che in Europa non  accade mai.

All’estero non si discute dalla mattina alla sera se si fa un’opera o no! Se non si può fare non si fa... Se si è decisa si porta a termine.

A Roma la Raggi ha sbagliato sui rifiuti?

Non parlo di politica. Non do giudizi su di lei, non sarebbe né opportuno né carino. Però, oltre a sprecare meno, e ridurre il volume dei rifiuti, una parte va valorizzata.

E l’euroscetticismo?

Verso Bruxelles non bisogna avere nè sudditanza, nè sentimenti vittimistici. Forse, come accade all’estero, dovremmo spiegare con i cartelli tutto quello che si realizza con i fondi europei.

Noi fatichiamo molto a farle.

Se nelle periferie si facesse il partito della manutenzione con un programma di base come potare gli alberi, togliere le scritte dai muri, aggiustare marciapiedi e sturare le fogne prenderebbe il 20 per cento. E sarebbe una battaglia verde.

Lei da sindaco si portò dietro Panatta per un doppio contro il primo cittadino di Mosca e un allenatore della nazionale. Dice Adriano che «Rutelli aveva una impostazione classica, alla Federer».

(Ride). Panatta mi prende per culo. Però è vero che per salvare i rapporti, facemmo vincere Luskov.

Il punto più basso.

No, quello fu una serata con il sindaco di Tokyo.

Cosa accadde?

Era un noto attore, con un ruolo tipico della commedia giapponese, dove recitava travestito da donna.

Ah.

Quella sera gli uomini della scorta lo portarono via dal ristorante italiano mentre cantava O sole mio, completamente ubriaco, sollevandolo da terra. Ah, ah, ah.

È vero che andò bussare alla sede di Torre Argentina a 18 anni e le aprì Marco Pannella?

Vero. Io leggo un articolo sul Messaggero e mi dico: «Ma sono completamente d’accordo con loro!».

Faceva politica?

Leggevo solo il Corriere.

Quello di Ottone, per via dei fondi di Pasolini?

No, il Corriere dello sport. Per via della Lazio.

E in cinque anni si ritrova a dirigere l’Asino, con Carlo Cassola, mostro sacro della letteratura del dopoguerra.

Era un visionario e un nemico della corsa agli armamenti. Ho imparato molto.

Nel 1989 fonda i Verdi Arcobaleno

Con Edo Ronchi, Adelaide Aglietta, Franco Corleone. Il giovane Roberto Giachetti e Ivan Novelli. Il simbolo era la Margherita.

Poi vi unificate con il Sole che ride e lei scala i Verdi.

Non fu un’Opa. Sono stato eletto a scrutinio segreto!

Una cosa verde fatta da sindaco.

Il coinvolgimento dei cittadini. I pensionati davanti alle scuole, a tenere aperti i musei. Il più grande tema verde è la manutenzione e la messa in sicurezza delle città. Migliaia di cantieri senza tangenti o avvisi di garanzia.

Un terreno su cui si può migliorare?

Uso la mia esperienza per misurare il futuro. Per fare il piano urbano del traffico non avevamo pc o trattamento dati. Lo facevamo, pensa, in base alle risposte  date in appendice al sondaggio decennale Istat!

Una sua trovata geniale?

Ho collaborato con Airbnb sui temi urbani e sa perché?

Non ne ho idea.

(Ride). Airbnb l’ho inventato io, per il Giubileo del 2000. Con una delibera avevamo reso possibile che ogni famiglia potesse ospitare una famiglia.

Fu un successo?

Un fiasco, direi. Lo praticarono «solo» 2 mila famiglie. Ma non c’era internet.

L’idea giusta nel momento sbagliato.

Esatto. Poi arrivano tre ragazzi di San Francisco che mettono tre materassini gonfiabili in salotto in un giorno in cui c’era un congresso, tutto esaurito negli alberghi, e li affittano in rete. A fine giornata dicono: «Cavolo abbiano guadagnato 80 dollari!». Fu la rivoluzione.

Ecco perché si chiama «Air».

Adesso la tecnologia ci offre possibilità di modificare le città.

Esempio?

Se a Venezia fai pagare di meno il vaporetto a chi non va a San Marco, puoi ridisegnare i flussi del turismo. Il futuro sarà tutto così.

Primo incontro con la Palombelli?

Nel 1979, a via della Palombella.

Non ci credo.

Giuro, accanto al Pantheon. Si teneva una manifestazione radicale. Solo qualche settimana dopo abitavano insieme.

Oltre la bellezza folgorante, cosa la colpì?

Era una donna molto curiosa. Scriveva di cultura.

Confessi, quanto l’ha fatta arrabbiare la saga del vignettista Vauro su voi due a letto sempre in bianco?

Io ho appeso in salotto il più bel disegno della serie.

Quale?

Quello in cui dico a mia moglie scontenta per i soliti motivi: «Ma Barbara, stasera sono da Santoro!». E lei, arrabbiata: «Ma se è un’intervista registrata!».

Cosa vi tiene ancora insieme?

Se non si sta bene insieme non si resiste 30 anni. Eppoi ci siamo impegnati in una impresa familiare molto complessa. Tre adozioni non sono una photo opportunity. O crolli o vieni cementato. Avere a che fare con figli con il trauma profondo dell’abbandono, da genitore, è un impegno enorme. Questo, come famiglia, ci ha forgiato e uniti.

Chi è più romantico tra voi?

Lei è più romantica di me. Ma la domanda, visto che siamo romani, va rovesciata. Chi è meno romantico di voi?

Lei non è romantico?

Romantico, senza sentimenti, che vita è? Una settimana fa è morta Camilla, la nostra labrador. Sono stato a terra per due giorni.

Cosa intende per «siamo romani»?

Solo a Roma si poteva inventare il detto: «Morto un Papa se ne fa un altro».

Spieghiamolo meglio.

Prenda la stratigrafia di questa città. Il Circo Massimo.

Ora è un parco.

Giusto. Ma nell’antichità quella era la Valle Murcia. Ci sfociava l’Almone: un fiume sacro. Poi coperta per farci uno stadio, per i giochi. E infine infrastrutturata per l’arrivo della Cloaca Maxima che, a proposito di città, è la prima grande opera fognaria della storia dell’umanità.

Bellissimo, ma eravamo partiti dal fatto che lei è Barbara siete romani. Cosa c’entra.

(Sorriso e sospiro). Al fianco della fogna scorre il sacro. E viceversa. Noi romani siamo così, da tremila anni. n

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Luca Telese