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"Renzi è stato sconfitto. Se ne faccia una ragione. Poi, un giorno, chissà..."

L'analisi di Giuliano Ferrara sull'ascesa e il declino dell'"ultimo leader italiano dopo Berlusconi" troppo poco avvezzo nella "tecnica dell'assenza"

La tecnica dell'assenza non è il forte di Matteo Renzi. Ho stima per lui, mi sembra l'ultimo leader italiano dopo Berlusconi e in connessione anche con il suo lascito, ha fatto o proposto con alterno successo quelle due o tre cose che andavano fatte con disinvoltura e sapienza e coraggio, rottamazione dell'inutile e del vecchio, abolizione del Senato, riforma del mercato del lavoro, ballottaggio, e invece di essere confermato dal voto referendario e politico ha preso una botta da far stramazzare un bue.

In politica non esistono ingiustizie, esistono problemi. La rivolta contro la Fortuna, che sarà pure donna e facile a battersi ma in realtà con #metoo è capace di tutto, è una follia.

A parte i giudizi personali, variabili e da dosare, sui suoi avversari (quelli interni i più focosi e dannosi, e quelli esterni un'accozzaglia prevedibile di megalomani e pazzi demagoghi), un'aura di mediocrità e di malevolenza banale ricopre il grosso della loro azione. Ma solo l'assenza e il tempo combattono il vuoto, lo riempiono di significato, possono contribuire a costruire qualcosa di nuovo e di vivo dopo una colossale sconfitta.

Un quarantenne di talento dovrebbe sforzarsi di capire che esserci e non esserci è un miracolo di equilibrismo; richiede distacco vero, moderazione nella critica, rinuncia alla scena, silenzio e elaborazione del lutto, un certo grado di penitenza anche senza contrizione. Non può risolversi nel ristabilimento, per dir così, della verità dei fatti. I fatti sono maligni quando si perde, e si perde sempre da soli, non si trova compagnia, solidarietà, comprensione. È ingiusto ma vero.

La cosa ha una sua logica oltre il bene e il male, la ragione e il torto. Hai ancora carburante, vuoi la rivincita contro tutto e tutti, sei tentato dal disporre le carte migliori per una nuova mano, eppure devi rinunciare: più alto è il punto da cui sei caduto, la riforma della Repubblica e un patto europeo e italiano di stabilizzazione riformista, più arduo ricominciare come niente fosse, ricostruendo a tuo uso, per quanto con esattezza di giudizi, il punto di presa, la leva della riscossa.

Sarebbe tutto più semplice in quel che resta della sinistra, nella prospettiva stessa di un'alternativa alla nuova situazione determinata dal voto referendario e del 4 marzo, se si potesse ripartire dal tentativo di fondare un partito della nazione contro i neonazionalismi, per una svolta in Europa, sullo sfondo della turbolenza mondiale.

Il patto del Nazareno, che ha generato tre anni di governo politico, non era un inciucio, era la stessa operazione che ha consentito a Tony Blair, per tre mandati consecutivi, di riformare la Gran Bretagna in continuità e rottura con gli anni della Thatcher; era la stessa impronta che a Emmanuel Macron ha consentito il superamento, sempre precario ed esposto al fallimento, d'accordo, della più organica e conservatrice divisione di principio tra destra e sinistra che si conoscesse in Europa, dove destra e sinistra sono termini politologici nati con la Rivoluzione francese.

Era una rinegoziazione del connubio tra destra risorgimentale e sinistra che fece nascere il Regno d'Italia per astuzia cavouriana, roba seria, roba forte, roba destinata all'incomprensione, alla risacca, al rigetto, ma senza alternative per un certo periodo e produttiva di risultati che presto svaniranno in un'infelice decrescita, nell'isolamento politico, nel torpido riassestarsi di alcuni grandi e antichi vizi di faziosità italiana.

Insomma, la tecnica dell'assenza potrebbe rendere chiaro che il punto di caduta era stato alto, rilevante, decisivo, e le necessità della risalita sono legate al recupero di quella dimensione in forme e contesto nuovi. Che cosa mai volete sia necessario a questo paese se non più riforme, più produttività del lavoro, modifiche dello Stato e della pubblica amministrazione, cambiamenti istituzionali, ma soprattutto uno spirito battagliero e aperto di presenza e di strategiche alleanze nell'Europa continentale alle soglie dell'isolamento nel mondo protezionistico delle democrature, da Washington a Budapest, da Varsavia a Mosca? O ci servono sussidi e caccia al negher? Ecco.

Le cose in realtà sono chiare, ma non ha senso che siano impugnate come una rivincita da chi ha perso la sua scommessa. Bisogna che maturi una nuova consapevolezza, che senta il morso della crisi di una visione e di un'inclinazione che erano state forti e chiare.

Le idee credibili in politica possono essere un gesto, un atto pubblico, un libro, un segno personale, un'avventura collettiva, ma mai una tigna personale, una sconfessione acida di tutto quel che non si identifichi a fondo con la fedeltà a quanto è accaduto, a come è accaduto, alla personalità che è stata determinante nell'accadere.

Nella disdetta o distretta o sconfitta si muore e si risorge, se benedetti da una miracolosa circostanza ancora da definire, ma non si vivacchia ripresentandosi piùo meno sfacciatamente, quali che siano le ragioni della ricomparsa.

(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Panorama in edicola il 12 luglio 2018)

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Giuliano Ferrara