Renzi e Alfano, il lungo addio
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Renzi e Alfano, il lungo addio

Il premier è sempre più insofferente verso  la convivenza con Ncd. E la possibile nomina di Federica Mogherini a Bruxelles potrebbe aprire un’insperata possibilità di fare un rimpasto

Basta, basta, basta!: il 15 giugno ai commessi di Palazzo Chigi è tremata la livrea. Era dall’era di Bettino Craxi che tra le austere stanze del governo mancavano urla così potenti. Stavolta, però, è stato diverso: nulla c’entravano un caffè che sa di bruciato o la lettera giusta recapitata all’ufficio sbagliato. Ai commessi è bastato qualche secondo per distinguere le parole da mura spesse come quelle di un caveau. Sollevati, hanno quindi raccolto informazioni buone per questo articolo, spifferandole con la modalità delle spie.

La rabbia di Luca Lotti, sottosegretario, toscanaccio e soprattutto fratello di fatto di Matteo Renzi, l’ha scatenata il leader del Nuovo centrodestra Angelino Alfano. Il quale, incidentalmente, fa pure il ministro dell’Interno. Tuttavia, nella versione renzian-lottiana l’avverbio «incidentalmente» assume il significato di «incidente di percorso», indispensabile a febbraio per formare il governo, sempre più esiziale con il trascorrere dei mesi. Non bastava la pessima figura sul caso di Alma Shalabayeva e della sua piccola Alua rispedite in Kazakihstan senza tanti complimenti. E nemmeno la discutibile gestione dell’«affaire-Dell’Utri». La goccia che ha fatto traboccare il vaso Alfano l’ha versata sul caso Yara Gambirasio. Colpito dall’ansia da prestazione, il ministro ha spiattellato su Twitter il fermo del presunto omicida, Massimo Giuseppe Bossetti. Risultato: Procura di Bergamo irritata, indagini rese più complicate. Fino allo sfogo di Lotti, espresso nel tipico (e irripetibile) vernacolo fiorentino, sintetizzabile così: «Questo qua è proprio scarso, per imitare Matteo diventa la parodia del commissario Basettoni, ce lo dobbiamo togliere dalle sfere genitali».

Renzi concorda, se non altro perché concorda sempre con il suo sottosegretario. D’altronde al momento la stima del duo tosco-governativo verso il titolare del Viminale è prossima allo zero. Di più: Matteo e Luca sono arrivati ad appellare l’alleato coi nomignoli di «Al-flop» e «Ange-Letta», fino al recentissimo «Al-fuck». Come a dire: «Vai a quel paese, non ti vogliamo più». Un concetto, questo, espresso pure da un titolo del renzissimo quotidiano l’Unità («Alfano, il presunto ministro»). Perciò il premier vigila, eccome se vigila. Quando il 20 giugno l’ancora prefetto di Perugia, Antonio Reppucci, invoca il suicidio per le madri dei figli drogati, il premier è il primo a diffidare pubblicamente il prefetto e privatamente il ministro: «Senti Angelino, questo va rimosso, più prima che poi». Angelino, va da sé, acconsente: Reppucci viene sostituito in tempi record. Guai a pensare, però, che basti obbedire agli ordini per cambiare l’ordine naturale delle cose. Per Renzi quella con l’Ncd è una storia già finita, un «lungo addio» che può anche volgere al breve.

È vero, il suo esecutivo mai sarebbe nato senza l’apporto decisivo del Nuovo centrodestra, i cui parlamentari erano numericamente decisivi. Appunto: erano, in un tempo imperfetto. Molto è cambiato, nel frattempo. Il Pd ha stravinto le europee, l’Ncd le ha perse ed è ormai chiaro come il sole che conta su troppa gente tra governo e sottogoverno. Parallelamente, Sel pare a fine corsa, la fuga dei parlamentari (ex) vendoliani verso Renzi è difficilmente frenabile. Dice il deputato Michele Ragosta: «Fin dal governo Letta avremmo dovuto assumerci la responsabilità di governo, invece di costringere il Pd alle larghe intese». Insomma, il progetto questo è: superare Alfano per battezzare un esecutivo esclusivamente di centrosinistra, con il sostegno ulteriore dei fuoriusciti grillini e dei centristi dell’Ncd. Una maggioranza che va già idealmente sperimentandosi a Bruxelles, nei primi giorni di frequentazione del Parlamento europeo: su Simona Bonafè, la più renziana tra i deputati Ue, puntano politici «centrosinistri» di ogni ordine e grado. Ufficialmente chiedono suggerimenti e appuntamenti, ufficiosamente spalancano pure loro la porta di accesso al Pd.

Davanti a tale scenario l’Ncd risulta spaccato in tre parti: coloro che vogliono riaprire a Forza Italia (capofila: Renato Schifani), quelli in attesa di riabbracciare direttamente Silvio Berlusconi (Giuseppe Scopelliti) e chi considera più o meno definitivo l’asse con Renzi (Gaetano Quagliariello). Tutto fatto, quindi? Non ancora, almeno per ora. Renzi sa bene che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, difficilmente gli concederà un governo nuovo di zecca e forse neanche il rimpasto. A maggior ragione durante il semestre europeo a guida italiana e dopo aver sbattuto in faccia alla Ue un impegnativo programma da mille giorni «per cambiare verso all’Europa». Servono insomma «i tempi giusti», tempi nei quali inciampare tatticamente in ostacoli utili a rendere breve il divorzio.

Un paio di barriere le ha alzate Maurizio Lupi. Il ministro Ncd per le Infrastrutture prima ha aperto un duro contenzioso sotterraneo con Palazzo Chigi sulle deleghe da assegnare all’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, deleghe che riducono i poteri del suo ministero e, in subordine, di quello alfaniano, l’Interno. Poi ha insistito per infilare nel decreto di Marianna Madia sulla pubblica amministrazione finanziamenti infrastrutturali per almeno 1 miliardo e mezzo, inclusi quelli per l’Expo. Pure per questo, ma non solo per questo, il decreto si è trasformato in un pasticcio. E però, quando Napolitano ha giustamente negato la controfirma, in un attimo Renzi ha addossato su Lupi l’intera responsabilità. Una reazione anche troppo sospetta.
Un altro caso, apparentemente innocuo, investe invece il ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin. Dopo i casi Aventis e Stamina, i 5 stelle l’hanno puntata con una mozione di sfiducia. Nulla di preoccupante, se però l’assalto grillino non rappresentasse anche per i renziani l’ennesimo, potenziale pretesto per rinnovare il governo. Comunque, a risolvere tutto, potrebbe arrivare la nomina del ministro degli Esteri, Federica Mogherini, a commissario europeo. A quel punto almeno un rimpasto, piccolo o grande, bisognerebbe farlo per forza. Guarda un po’, la candidatura-Mogherini è spuntata dal nulla poche ore dopo le urla di Lotti contro Alfano. Ecco, pensar male è perlomeno lecito, anche perché spesso ci si indovina. E se lo certificano pure i commessi in livrea, poi…
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Carlo Puca