Reato di tortura: 27 anni di tentativi falliti
ANSA / LUCA ZENNARO
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Reato di tortura: 27 anni di tentativi falliti

Tutti i progetti di legge mai realizzati. Ma ecco cosa prevede il testo in discussione, ora che la Corte di Strasburgo ha condannato gli eventi alla Diaz

Dopo la condanna inflitta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per le “torture” e i “trattamenti inumani e degradanti” inflitti ai manifestanti alloggiati nella scuola Diaz-Pertini la notte del 21 giugno 2001 durante il G8 di Genova, il Parlamento accelera sull'introduzione del reato di tortura nel codice penale.

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Da molti anni, ben 27, l'Italia è sotto accusa a livello internazionale per il ritardo nel dotarsi di strumenti adeguati a contrastare e reprimere tale fenomeno: è infatti dal 1988, quando fu ratificata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, che il nostro Paese avrebbe dovuto provvedere. Ma tutti i tentativi sono andati finora falliti.

Iprecedenti

Fino ad oggi l'Italia ha fatto a meno di introdurre un reato specifico nel proprio codice penale perché, secondo il legislatore, le condotte richiamate nella Convenzione del 1984 sarebbero riconducibili a fattispecie penali già contemplate dalla legge italiana come l’omicidio, le lesioni, le percosse, la violenza privata, le minacce. La prima proposta di legge per superare questa empasse risale addirittura al 1989 e porta la firma del senatore Pci Nereo Battello.

Il secondo tentativo, per iniziativa dell'esponente dei Verdi Franco Corleone, è invece del 1991. I due testi non furono mai sottoposti al voto dell'assemblea e fino al 1996 di tortura non si parlò più. Poi arrivarono altri disegni di legge tra cui quello proposto da Silvio Berlusconi nel 1999 e uno di iniziativa governativa del 2000 a firma dei ministri della Giustizia e degli Esteri Piero Fassino e Lamberto Dini che però aveva lo scopo di introdurre non un reato specifico ma una "circostanza aggravante". Nel 2004 un emendamento a firma della parlamentare della Lega Nord Carolina Lussana bloccò la proposta del ministro forzista Gaetano Pecorella che avrebbe punito la tortura con il carcere fino a 15 anni.

Nel 2006 un disegno di legge che riunificava più proposte presentate sia alla Camera che al Senato da esponenti di diverse forze politiche arrivò in seconda lettura a Palazzo Madama, ma dopo aver ottenuto il via libera della commissione giustizia ed essere stato calendarizzato in aula finì nel dimenticatoio alla caduta del governo. Stesso destino toccò anche al testo che Alfredo Biondi, Forza Italia, presentò nel 2008. La XVI legislatura ha visto 12 proposte di legge che miravano a introdurre il reato di tortura, ma nessuna è giunta neppure al dibattito in uno dei due rami del Parlamento.

La proposta di legge oggi in discussione

Il testo in discussione oggi, di cui relatore è il senatore del Pd Luigi Manconi, è frutto della discussione iniziata già nel luglio del 2013. Dopo il primo via libera del Senato, ottenuto il 5 marzo 2014 con voto quasi unanime, la proposta di legge è rimasta in commissione alla Camera dal 6 maggio 2014 fino al marzo di quest'anno. Se la Camera confermerà le modifiche, il provvedimento dovrà tornare a Palazzo Madama per l'approvazione definitiva attesa entro l'estate.

Il testo prevede che il reato sia punito con il carcere da 4 a 10 anni e da 5 a 12 (con tempi di prescrizione raddoppiati) se la tortura viene perpetrata da un pubblico ufficiale che infligge, o minaccia di infliggere, sofferenze fisiche e psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza o ancora in ragione dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose. Ulteriori aggravanti sono previste nel caso siano state provocate lesioni personali, lesioni personali gravi, lesioni personali gravissime e la morte della persona offesa, quale conseguenza non voluta.

In questo caso la pena prevista arriva ad un massimo di 30 anni di reclusione, più severa, per il maggior disvalore sociale, rispetto a quella prevista per l'omicidio preterintenzionale (reclusione da 10 a 18 anni). Scatta invece l'aggravante con possibilità di ergastolo quando si è volontariamente provocata la morte della persona offesa. È punito anche chi istiga a commettere tortura. È inoltre previsto che le dichiarazioni ottenute attraverso il delitto di tortura non siano utilizzabili in un processo penale. Il testo vieta le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni in Paesi dove viene praticata la tortura e mette uno stop alle immunità diplomatiche per chi, nel proprio Paese, è indagato o condannato per tale delitto.

Alcuni casi

Oltre ai fatti di violenza avvenuti durante il G8 di Genova del 2001, per i quali l'Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo, di tortura si è parlato anche in altri casi: Federico Aldrovandi, morto a 18 anni, per “arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale”, durante un fermo di polizia; Aldo Bianzino, deceduto nel carcere di Perugia a 44 anni, due giorni dopo l'arresto per un'emorragia cerebrale e lesioni al fegato; Giuseppe Uva, morto nell'ospedale di Varese dopo il trasferimento dalla caserma dove un altro giovane chiamò il 118 sentendo le urla provenire dalla stanza dove si trovava Uva; Emmanuel Bonso, 22enne originario del Ghana, umiliato, percosso, ingiuriato con epiteti razzisti e portato in cella dalla polizia municipale che lo aveva scambiato per uno spacciatore; Stefano Cucchi, morto a 22 anni nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertini di Roma a una settimana dall'arresto per le percosse ricevute e le mancate cure da parte dei sanitari.

Negli altri paesi

A 31 anni dalla Convenzione Onu contro la tortura (adottata il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 26 giugno 1987) sono ancora 141 i paesi del mondo dove questa pratica abietta viene praticata. In Europa, la tortura è reato in Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, Città del Vaticano.

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Claudia Daconto