Stato-mafia: sentenza Mori, le motivazioni - documento
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Stato-mafia: sentenza Mori, le motivazioni - documento

I giudici in 1300 pagine: le tesi della Procura di Palermo risultano «enfatizzate».Niente patto per Provenzano

I giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo, che il 17 luglio scorso hanno assolto «perché il fatto non costituisce reato» il prefetto Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995 a Palermo, in 1322 pagine di motivazione della sentenza depositate ieri sera, sbriciolano tutto l’impianto accusatorio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Secondo il tribunale non ci sarebbe stato alcun patto o accordo per la mancata cattura del boss corleonese.

Le mancate revoche del 41 bis del 1993, che secondo i magistrati erano la «prova» del patto scellerato tra Stato- mafia, essendo esigue e irrilevanti non sono da mettere in relazione con la tesi accusatoria, vista la pronta risposta dello Stato, anzi l’impianto della procura risulta «enfatizzato» troppo dai pm.

Il giudice Borsellino non fu ucciso per la trattativa, mancano le prove.

Il Collegio boccia le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Brusca, Mutolo e Lo Verso. Inoltre, per la mancata cattura del boss Nitto Santapaola nel 1993, mancano le prove a carico degli imputati. E ancora, Massimo Ciancimino «l’icona antimafia» e il colonnello Michele Riccio, principale testimone da cui prende il via il processo a carico di Mori, considerati come validi prodi dai magistrati siciliani, dal tribunale vengono bollati come «inaffidabili» e che non si esclude la loro «consapevole e deliberata falsità delle stesse dichiarazioni». Ci sarebbero state per Mori ed Obinu, «sia pure alla stregua di un giudizio, ex post, scelte operative discutibili» ma niente trattativa con la mafia. Insomma un macigno che irrompe nella procura di Palermo e che rotola immediatamente davanti alla corte d’assise, dove si sta celebrando il processo sulla trattativa fra uomini dello Stato e capimafia.  
Il tribunale bacchetta i pm
«Le ipotesi, per quanto plausibili, restano ipotesi e nuoce alla complicata attività di verifica della fondatezza delle stesse la diffusa inclinazione a trasformarle in fatti (sia pure rimasti, per il momento, sforniti di prova). Per un P.M. e, a maggior ragione, per un giudice è questo un punto fermo, dal quale non si può prescindere».
 «In sede di requisitoria il P.M. ha insistito sull'addetto movente della condotta contestata, evidenziando che la stessa non era stata determinata da vituperabili motivi personali, da collusione, da corruzione o da viltà. Considerati anche il passato degli imputati ed il loro comportamento processuale(essi, come ricordato, rinunciando alla prescrizione non si sono sottratti al giudizio), non appare in linea con la premessa la estrema severità della sanzione richiesta dal P.M., che sembra tradire lo sforzo di imprimere agli avvenimenti una peculiarissima gravita, sforzo forse disancorato da una lettura contestualizzata degli stessi».
Il 41 bis
«La oggettiva analisi della evoluzione della vicenda di Cosa Nostra dalle stragi del 1992 ad oggi, caratterizzata da una incisiva offensiva promossa contro la organizzazione criminale dallo Stato sul piano normativo, sul piano delle investigazioni e della cattura dei latitanti e sul piano delle (conseguenti) statuizioni giudiziarie (costituite dalle decisioni di condanna e di applicazione di misure di prevenzione, soprattutto patrimoniali), propone un punto fermo, dal quale tracciare una utile e congrua linea valutativa, che il Tribunale non ritiene possa essere messo in discussione: negli ultimi venti anni, dopo la stagione delle manifestazioni più violente di Cosa Nostra, che sembravano all'epoca incontrastabili, la cattura del boss Salvatore RIINA ha costituito una svolta che ha ridato fiducia e slancio alla azione di contrasto alla associazione mafiosa, che da lì in poi ha conosciuto una ragguardevole continuità. E se anche nell'autunno del 1993 si scelse di lanciare a Cosa Nostra un segnale di distensione, non rinnovando, per alcune centinaia di detenuti, il regime differenziato previsto dall'ari. 41-bis O.P., dovrebbe, comunque, ritenersi che tale momentaneo cedimento, che, per quanto rilevante, sembra essere stato eccessivamente enfatizzato dall'Accusa (non vennero concessi particolari benefici ai mafiosi, ma si applicò a parecchi esponenti della criminalità organizzata - di cui solo 80 una limitata parte appartenenti a Cosa Nostra - un regime restrittivo meno rigoroso), sia avvenuto anche per cercare di evitare i colpi di un terrorismo mafioso che sembrava, in quel momento, incontrollabile. dirsi che una interpretazione degli avvenimenti che non tenga conto della
peculiarità dei contesti temporali in cui si è operato rischia di essere fuorviante e di fare apparire, attraverso facili dietrologie ed impropri richiami moralistici, senz'altro complicità o connivenze gli sforzi di chi magari cercava in quei difficili momenti di evitare eventi sanguinosi in attesa di tempi migliori».
L’attendibilità dei collaboratori di giustizia
«Il Tribunale, riservandosi di vagliare l’affidabilità delle singole indicazioni del MUTOLO che riterrà rilevanti, non ritiene che possa, in termini generali, riconoscersi al medesimo un elevato grado di attendibilità»; «il Tribunale ritiene che sia ragionevole attribuire al LO VERSO, almeno per quanto riguarda le dichiarazioni che direttamente interessano questo processo, un insufficiente grado di intrinseca attendibilità»; «volendo trascurare la tardività di alcune affermazioni del BRUSCA ed il sospetto che possibili fattori inquinanti abbiano suggerito al collaboratore alcune integrazioni (per esempio: la sopravvenuta conoscenza delle dichiarazioni nel frattempo rese da Massimo CIANCIMINO sull'on. MANCINO; la possibile, sopravvenuta esigenza di assecondare alcune ipotesi accusatone determinata dalla volontà di acquisire qualche benemerenza anche in dipendenza dei nuovi reati che gli venivano contestati), si può dire che il propalante sia portatore, di massima, di conoscenze solo indirette e assai lacunose e che le sue indicazioni temporali siano particolarmente oscillanti ed incerte. In conclusione, alla stregua di quanto esposto, alle specifiche indicazioni del BRUSCA non può attribuirsi un sufficiente grado di affidabilità».
Uccisione del giudice Borsellino
«Alla stregua delle rassegnate risultanze si deve affermare che gli atteggiamenti del dr. BORSELLINO riferiti dal MUTOLO sono rimasti senza riscontro, così come senza riscontro è rimasta la eventualità che lo stesso dr. BORSELLINO abbia in qualche modo manifestato la sua opposizione ad una "trattativa" in corso fra esponenti delle Istituzioni statali e associati a Cosa Nostra. Da ultimo, si deve rilevare che alcuni dati sembrano indicare che la strage di via D'Amelio fosse già programmata da tempo e non sia stata frutto di una decisione estemporanea, dettata da contingenze del momento».
«Immaginare che l'eliminazione del dr. BORSELLINO avrebbe spianatola strada alla "trattativa" significherebbe ammettere l'assenza nel Paese di forze che si sarebbero strenuamente opposte ad una soluzione che, se si volesse prendere per buono il "papello" consegnato da Massimo CIANCIMINO, avrebbe richiesto radicali riforme normative favorevoli alla mafia. Altre sedi processuali accerteranno, se sarà possibile, se il dr. BORSELLINO sia stato barbaramente assassinato per eliminare un ostacolo ad una soluzione concordata fra lo Stato e Cosa Nostra, ovvero per impedirgli di acquisire l'incarico di Procuratore Nazionale Antimafia, per il quale era stato pubblicamente indicato dal Ministro SCOTTI, o, ancora, per la sua ferma volontà di individuare gli assassini del dr. Giovanni FALCONE o per il suo interessamento, in quest'ambito, alla indagine mafia-appalti, che risulta dalle indicazioni di molteplici fonti. In proposito, si può fare rinvio alle dichiarazioni dei dr.i NATOLI ed INGROIA».
«Lo stesso dr.INGROIA ha riferito alla Corte di Assise di Caltanissetta dei timori per la incolumità del dr. BORSELLINO successivi alla strage di Capaci, ricordando
che il magistrato sosteneva che il dr. FALCONE, finché in vita, era stato per lui uno scudo, che il medesimo era consapevole di essere predestinato alla uccisione dopo l'assassinio dello stesso dr. FALCONE e sottolineando come la strage di via D’Amelio fosse “prevedibilissima”».  
 
Scarica qui sotto le motivazioni della sentenza.

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Anna Germoni