Le primarie? Per il Pd un affare (di voti)
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Le primarie? Per il Pd un affare (di voti)

Dieci punti in più da settembre a oggi: la crescita nei sondaggi del Pd spiegata dal politogo Roberto D'Alimonte

Multivitaminico della democrazia e poi straordinario mezzo di finanziamento, momento democratico, tanto da non "rischiare di sfregiarle"... Ma quanto fanno bene le primarie ai partiti? «Tanto bene, tanto. Naturalmente la competizione deve essere vera», conferma Roberto D’Alimonte, mite ordinatore di curve e percentuali, cronista dei flussi elettorali, raffinato docente di sistema politico italiano alla Luiss e ancora editorialista de Il Sole 24 Ore. Del resto, a sinistra stanno pensando di utilizzarle pure per scegliere i candidati nei singoli collegi (Prodi consiglia) qualora non dovesse essere modificata la legge elettorale e rimanesse lo sgorbio del “Porcellum”.

E se a destra domina ancora la spaccatura tra refrattari e oltranzisti delle primarie, a sinistra queste consultazioni fanno da moltiplicatore e grancassa, come testimoniano le effemeridi dei sondaggisti che indicano un +10% da settembre a oggi per il Pd.

I dati sorridono, anzi stupiscono perfino il Partito Democratico che si è ritrovato invaso nelle proprie sedi da tre milioni di partecipanti e una base senza dubbio cementata che – come spiega D’Alimonte – «non esita a partecipare e che anzi prova piacere quando ha la sensazione che il proprio voto conti come è avvenuto in queste primarie dove davvero bisognava compiere una scelta antitetica fra Renzi e Bersani».

Ma se strepitosa è stata la partecipazione, altrettanto si può dire dei numeri che da settembre a oggi hanno visto impennare la curva, in senso grafico, del Pd. Basti partire dal 24 settembre e monitorare i sondaggi di EMG per La7.

Ebbene, se si volessero prendere in esame i sondaggi, a quella data, si registrerebbe uno scarso 24 per cento per il Pd, (dato su cui ha viaggiato il partito a lungo negli scorsi mesi, durante la crisi e la nascita del governo Monti).

Un partito che escludendo la miglior prestazione in termine di voti, quella ottenuta alle elezioni del 2008 con Walter Veltroni (33 per cento) non ha mai superato la soglia (attenzione parliamo di sondaggi) del 35%, limite che alle elezioni solo il vecchio Pci riuscì ad abbattere nel 1984 alle europee (33,3 il Pci e 32% la Dc). Quasi una soglia di tolleranza, una sorta di fattore “33” (pari al fattore K di Alberto Ronchey), mai oltrepassata. E invece da fine settembre all’approssimarsi della scadenza delle primarie, il consenso non ha fatto altro che crescere fino a contenere l’infatuazione degli elettori per il Movimento 5 Stelle.

Dunque, se negli ultimi giorni di settembre il Pd viaggiava al 24 per cento, per quanto concerne le intenzioni di voto, già in data 8 ottobre i sondaggi lo indicanoal 26.5%; una salita che si conferma anche a metà ottobre (28.2%).

Negli ultimi giorni di ottobre il Pd come una locomotiva lenta ma inesorabile guadagna punti. Il 31 ottobre tocca il 29,2 per cento - un risultato che considerato il boom e la traversata di Beppe Grillo in Sicilia, che passa dal 14 di settembre al 18 di ottobre – è per il Pd più che una tenuta. Iniziata simbolicamente con il  camper del sindaco di Firenze, la campagna per le primarie con Renzi e Bersani fa “resistere” il partito nell’autunno caldo e gli permette di arrivare a un passo dal 30 per cento anche a novembre. Di pari passo, le primarie premiano pure Nichi Vendola di Sel che tra alti e bassi riesce a fare del suo partito la riserva indiana di chi chiede alla sinistra una spinta più progressista, che in termini numerici vale il 6 per cento. Un volano che non stupisce D’Alimonte : «È proprio nei momenti di disaffezione della politica che il coinvolgimento in una partita vera si fa più forte. Sin da quando ha deciso di gareggiare, Renzi si è presentato con uno slogan forte come la rottamazione. Nulla a che vedere con le scorse primarie, basti pensare che nel 2008 quando trionfò Walter Veltroni, Bersani venne convinto da D’Alema a non sfidare l’ex sindaco di Roma. Stesso discorso nelle primarie che videro contrapposti Bersani e Dario Franceschini. Erano due pezzi d’apparato con un esito scontato. Questa volta è stato il “ragazzo contro l’apparato”».

Giunti a pochi giorni dalle primarie, ecco che il Pd balza al 30.3 galvanizzato dal confronto a cinque andato in onda su Sky. Il resto è storia recente: la polemica fra Bersani e Renzi sulle regole, il duello sulla Rai (seguito da sei milioni di italiani), la querelle sulle pagine dei quotidiani comprate dal movimento vicino al rottamatore. Fino a domenica scorsa, quando Bersani trionfa e Renzi se ne torna a Palazzo Vecchio, rifiutando (per ora) qualsiasi ticket.

L’ultimo sondaggio della Emg dà il Pd è al 34.6. Se si aggiungono i voti di Sel, suo alleato,  il centrosinistra sfonderebbe il 40 per cento, emancipandosi  perfino dall’ipotetica (e controversa) alleanza con Pierferdinando Casini e il suo centro. «Logico: è da tre mesi che le primarie hanno monopolizzato il dibattito politico e questo si riverbera nei sondaggi», palesa D’Alimonte che in uno studio fatto dal centro da lui diretto, il Cise , confuta il luogo comune di Renzi votato dal centrodestra. «Attenzione, il sindaco di Firenze ha una straordinaria capacità di attrarre voti del centrodestra. Come segnalano i sondaggi, in caso di elezioni, riuscirebbe a convincere il 45% degli elettori. Ma l’elettore del centrodestra difficilmente è disposto a varcare la sede del Pd e votare Renzi alle primarie. Le primarie non sono l’arena giusta per valorizzarlo. Cosa diversa alle elezioni generali. In ogni caso la sfida era impari:  se avesse avuto più tempo e le risorse forse ce l’avrebbe fatta. La campagna di Renzi ha molto in comune con quella del primo Obama, ma a differenza del presidente non è riuscito a penetrare in alcune regioni, specie al Sud. Anche per Obama era così, ma la sua macchina riuscì a compensare il deficit. Ci furono alcuni volontari che lasciarono il lavoro per mesi e andarono in quelle regioni a fare campagna elettorale per Obama. Eppure il voto che ha ottenuto nelle regioni rosse conferma che l’apparato più forte ha votato contro Bersani».

Ma un tale consenso riuscirà a essere mantenuto dal Pd, adesso che le primarie sono finite? «Bisogna saperlo gestire: – continua sempre D’Alimonte – se Bersani e Renzi litigheranno, scenderà. Fondamentale sarà la gestione post primarie e bisogna capire se il centrodestra riuscirà a riorganizzarsi. Aumentando i partecipanti al voto (quegli elettori che dichiarano di astenersi nei sondaggi) potrebbe scendere anche la percentuale del Pd: si alza il denominatore e si abbassa il numeratore».

E però attenzione: facile dire primarie. «Le primarie vanno gestite, difficile farle in pochi giorni come desidera fare il Pdl. Pensate alla macchina rodatissima del Pd. Nonostante tutto anche loro hanno avuto alcuni problemi. Immaginate chi invece le primarie non le ha mai fatte. Il rischio è il flop».  E pensare che il Pd ci ha pure guadagnato dalle primarie in termini economici, come testimonia il tesoriere, Antonio Misiani, che attesta l’incasso a circa 8 milioni di euro, naturalmente serviti in larga parte per il funzionamento della macchina organizzativa.

Adesso arrivano pure le “parlamentarie” di Beppe Grillo, senza fila e rimanendo a casa a votare attraverso un pc. Ma volete metterle a confronto con quelle originali?

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Carmelo Caruso