Presidente della Repubblica: l'errore di Grillo e del M5S
ANSA/ANGELO CARCONI
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Presidente della Repubblica: l'errore di Grillo e del M5S

Sulla scelta del futuro Capo dello Stato il Movimento non propone nomi e chiude a ogni trattativa. Invece, la partita era tutta da giocare

Il Pd proporrà un nome secco per il Quirinale – ha annunciato Matteo Renzi dall'assemblea dei deputati dem – niente terne. Figuriamoci una quaterna. "Il Pd ci dia quattro nomi – era stata la richiesta dei 5Stelle estesa da Luigi Di Maio – e il più votato dalla Rete lo voteremo già al primo scrutinio". Il segretario dem aveva offerto un incontro al Nazareno, la risposta era stata il "vaffa" al Pd e al "buffoncello Renzi" lanciato sabato sera da Beppe Grillo da Piazza del Popolo a Roma in occasione della "Notte dell'Onestà".

Chi sarà il prossimo presidente della Repubblica?

I soliti insulti elevati a strumenti privilegiati di una strategia ormai consumata. Tanto che gli avversari hanno imparato bene come parare i colpi: un solo nome, non quattro. Così smascherato, Grillo si ritrova ora con la patata bollente in mano. "Quando c'è da assumersi delle responsabilità – aveva commentato il vicesegretario dem Lorenzo Guerini - i 5 Stelle fuggono a gambe elevate. Se vorranno sedersi al tavolo saranno i benvenuti, e se non vorranno farlo ce ne faremo una ragione”.

Sulla stessa linea anche l'ex Lorenzo Battista contattato da Panorama.it: “Grillo e gli altri non sono in grado di fare un minimo di strategia – attacca il senatore espulso a febbraio dell'anno scorso con Orellana, Campanella e Bocchino – chiedono i nomi per mandarli a fan...o farli votare agli iscritti? Se davvero avessero voluto mettere in difficoltà il Pd avrebbero dovuto fare loro dei nomi. O è un piano per convergere su Prodi, oppure vuol dire restare sempre alla finestra e capricciosamente criticare gli altri. D'altronde è così comodo criticare senza proporre”.

Anche oggi Renzi ha rilanciato al M5S la sfida a cogliere “l'occasione buona”, ma lo spazio di manovra è ormai ridotto al minimo. Sembrano rimaste solo due possibilità: convergere con le altre opposizioni e le minoranze varie sul nome alternativo a quello frutto del patto del Nazareno e scommettere sul fallimento del premier sperando che a quel punto sia costretto a cercare aiuto proprio dai 5Stelle come già accaduto con l'elezione alla Consulta di Silvana Sciarra.

Ma in casa Pd uno dei leader dei dissidenti, Stefano Fassina, ha già riposto le armi. Sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica “va cercata la massima condivisione e in questo caso – ha detto dando a intendere di condividere la linea del premier – dobbiamo cercare l'interlocuzione con Fi”.

In chiave anti-Renzi resta Pippo Civati, che con una lettera alla segreteria del Partito democratico ha ufficialmente candidato Romano Prodi. Il nome del fondatore dell'Ulivo compariva anche nella lista dei nomi per le Quirinarie del 2013 e quindi, presumibilmente, sarebbe votabile anche questa volta.

Perché l'elezione al Quirinale segna il futuro politico del Paese


A proposito di Quirinarie. A dicembre l'ex comico aveva promesso che si sarebbero fatte anche questa volta e che rispetto al 2013 il metodo non sarebbe cambiato. Poi la richiesta al Pd di calare quattro nomi, gelata oggi dall'annuncio che ne sarà fatto uno solo. I tempi non sono più quelli in cui il segretario di uno dei principali partiti d'Italia poteva essere irriso in diretta streaming dai portavoce di un ex comico durante le consultazioni per la formazione di un governo che non avrebbe mai visto la luce.

Da allora il Movimento 5 Stelle ha dimostrato, in due tornate elettorali (Europee e Regionali) di aver perso la propria spinta propulsiva. I sondaggi danno un gradimento in costante calo. La Lega di Salvini ha sottratto grande parte del voto di dissenso. Un'altra decina di dissidenti sarebbero in procinto di lasciare i gruppi di Camera e Senato per andare a ingrossare le fila di espulsi e fuoriusciti (26 finora).

Il potere contrattuale in mano a Di Maio, Di Battista & Co. non è più certo quello dei primi tempi. Tuttavia Beppe Grillo è convinto di poter continuare a usare gli stessi metodi di allora: i “vaffa” e il “no” a qualsiasi tipo di trattativa. Rischiando così di lasciare la sua creatura fuori da una partita, quella per il Colle, che invece avrebbe tutto l'interesse di giocare.

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Claudia Daconto