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Luttwak: “La Giustizia italiana ci umilia in tutto il mondo”

“Il politico in democrazia non è tenuto ad essere morale, ma a mantenere un buon livello di ipocrisia”. Il copyright è di Edward Luttwak, l’analista statunitense di fama mondiale. In privato il politico può fare ciò che vuole, purché …Leggi tutto

L'analista statunitense, Edward Luttwak (Credits: MASSIMO VIEGI/LAPRESSE)

L'analista statunitense, Edward Luttwak (Credits: MASSIMO VIEGI/LAPRESSE)

“Il politico in democrazia non è tenuto ad essere morale, ma a mantenere un buon livello di ipocrisia”. Il copyright è di Edward Luttwak, l’analista statunitense di fama mondiale. In privato il politico può fare ciò che vuole, purché pubblicamente mostri sacro rispetto per convenzioni e regole sociali. Per questo a un certo punto l’arrivo di Monti è stato un passaggio necessario, ineludibile. Su alcuni argomenti però la sintonia tra Luttwak e l’ex premier Silvio Berlusconi è totale.

Il governo Monti sta lavorando bene?
Il governo Monti ha salvato l’Italia da uno sfacelo alla greca, lo dicono i numeri. Ha restaurato l’affidabilità dei titoli di stato italiani.


Sulle liberalizzazioni invece il governo è parso a dir poco arrendevole, sulle privatizzazioni del tutto silente, su pensioni e tasse incisivo e celere.

Il Parlamento non ha lasciato fare al governo italiano le liberalizzazioni più semplici, più ovvie, più necessarie. Eppure l’economia italiana ne ha urgente bisogno per diventare più competitiva. Se per ipotesi l’Italia avesse oggi un debito pari a zero, ci sarebbe comunque un terribile drawback: la competitività.

Perché l’Italia è così poco competitiva?
L’Italia è piena di costi imposti da CASTE, mafie e mafiette, organizzazioni che usano un potere extraeconomico per controllare spazi dell’economia. Si tratta di veri e propri feudi come i notai, i farmacisti, gli avvocati. Se hai bisogno di un avvocato a Washington non paghi per intentare una causa civile. Qui gli avvocati lavorano a percentuale, se falliscono non prendono un centesimo. E poi c’è la questione fiscale: il Parlamento italiano ha permesso al governo Monti di esistere e di imporre le tasse più alte del mondo ma non di riformare il sistema per poter pagare quelle tasse.

La lotta all’evasione fiscale si conduce a colpi di blitz polizieschi?
No, Cortina e Portofino sono episodi teatrali che fanno emergere la debolezza dello Stato e la precarietà del sistema fiscale. Ci sono liste computerizzate di chi possiede automobili e liste computerizzate di chi paga le tasse. Bastano dei controlli incrociati con un semplice software per punire chi viola le regole. La debolezza dello Stato poliziesco non è solo amministrativa ma anche morale: uno Stato, che viola la privacy e la libertà dei cittadini per via della sua incapacità, agisce in modo immorale.

Come si fa a far pagare le tasse ai cittadini?
E’ fondamentale avere regole chiare con sanzioni certe. Negli Stati Uniti moltissime spese sono detraibili. Per esempio io detesto le cravatte, non a caso le uso soltanto per gli incontri di business; allora me le faccio detrarre dal fisco americano. In caso di accertata evasione però c’è il carcere; i processi sono rapidissimi e una piccola frode può costare diversi anni di carcere.

Forse in Italia è relativamente più “facile” finire dietro le sbarre. Il 43% dei detenuti sono in carcerazione preventiva.
In America è impensabile. Per andare in galera devi essere condannato. Puoi essere fermato in una stazione di polizia, questo sì, ma poi devi recarti davanti a un giudice col tuo avvocato. L’idea che la procura possa prelevarti dalla strada e metterti dietro le sbarre è inaudita. Da osservatore internazionale posso dire che rispetto agli Stati Uniti la popolazione detenuta italiana è poco numerosa e le condizioni detentive non sono peggiori di quelle di altri Paesi avanzati. Il problema però è “chi” sta in carcere: perlopiù persone non condannate in attesa di giudizio. Questa è un’aberrazione tutta italiana, la cui causa è da ravvisare ancora una volta nella lentezza dei processi.

Che ruolo giocano i magistrati in questo quadro?
I magistrati che come nel caso Ruby ammettono in un processo oltre duecento testimoni sono complici di un sistema criminale. Una giustizia negata così a lungo non è giustizia.

A quali casi si riferisce?
Penso per esempio ai sismologi de l’Aquila accusati di omicidio colposo, ovvero di non aver predetto il terremoto. E’ il segnale di un totale impazzimento del sistema giustizia. Al posto di quei sismologi io mi presenterei in aula con dei costumi da pagliaccio da portare in dono ai magistrati. Penso anche al processo Eternit, alla vicenda di Calogero Mannino tenuto sotto torchio per diciotto anni fin quando la Cassazione – i cui giudici sono pagati il doppio dei nostri giudici della Corte Suprema – lo assolve, ma adesso la procura di Palermo lo accusa di nuovo. Questa è persecuzione giudiziaria. Anche il caso Dell’Utri rientra in questa analisi.

Quali sono gli effetti del dissesto della giustizia sul sistema Italia?
Gli episodi cui ho accennato procurano il disprezzo e il ridicolo di tutto il mondo, sembra incredibile che il denaro pubblico italiano possa essere impiegato in questo modo. Una giustizia così lenta, inefficiente e ingarbugliata è il grande ostacolo all’investimento estero. Giudici, procuratori e avvocati sono tutti impegnati in una congiura contro la giustizia.

Come incide questo sulla qualità della democrazia italiana?
La democrazia ha due gambe: una molto esile, le elezioni, e poi una molto forte che sono i diritti. In Italia a causa dei comportamento dei magistrati c’è pochissima libertà individuale. La libertà dei cittadini è alla mercé di una casta autogovernante, fondamentalmente anarchica. Giudici che rimandano una causa di un anno, la procura che decide di perseguitare una persona per mera antipatia. I magistrati italiani sono ben al di sotto del livello europeo, più in linea con i colleghi dei Paesi arabi.

E’ pensabile in America che un parlamentare nel corso del suo mandato sia arrestato per reati non di sangue e tenuto dietro le sbarre per oltre tre mesi? In Italia come sa è accaduto all’onorevole Alfonso Papa.
Non conosco il caso di Alfonso Papa, ma questo sembra rientrare nella consuetudine di arrestare gente senza prove forti perché non c’è responsabilità. I magistrati italiani non rispondono a nessuno. La politica è in balia dell’iniziativa di qualche procuratore in cerca di notorietà. In America il district attorney, se fa arrestare uno senza prove, alle successive elezioni non viene rieletto. Le racconto quello che è capitato a me in Italia. Sono stato intercettato in via indiretta. Il mio nome è finito su alcuni giornali, non c’era nulla di cui mi sarei vergognato ma comunque la mia privacy è stata violata senza che neppure un procuratore abbia aperto un fascicolo sull’accaduto. Voglio dire, c’è un magistrato che ha violato il segreto d’ufficio e nessuno si scompone.

Eppure in teoria vige il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Sembra che in Italia la magistratura funzioni come una casta: i magistrati si proteggono a vicenda indipendentemente dalla giustizia. In America e in Inghilterra, credo persino in Birmania, rivelare il segreto d’ufficio è ostruzione alla giustizia, per cui le pene sono fortissime.

Sarà il governo Monti a riformare la giustizia?
Dubito fortemente. Il Parlamento lo ha già bloccato su materie meno controverse.

Perché i partiti in Parlamento non mettono mano alla riforma della giustizia?
La giustizia è un’urgenza. Quando non c’è risposta a un’urgenza, è ovvio che la ragione è che i politici hanno paura di agire collettivamente.

Una classe politica sotto ricatto?
Esattamente.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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