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ALESSANDRO DI MEO / DBA
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Politica: a quale repubblica siamo arrivati

Ci fu la Prima, poi la Seconda. Forse anche la Terza. Ora siamo in pieno marasma, elettorale

Ma in che repubblica viviamo, in che fase storica, come definirla e spiegarla a forestieri, posteri e a noi stessi?È difficile il compito dello storico del presente perché la velocità dei mutamenti, i rovesciamenti rapidi di campo e di fortuna, la vaghezza ineffabile dei contenuti impedisce di spiegare cosa sta succedendo e dove ci troviamo. Siamo alla terza repubblica, alla quarta, alla quinta? Non spariamo repubbliche all’impazzata a ogni mutamento di quadro, perché altrimenti ci perdiamo. Proviamo ad accendere il navigatore, percorrendo a ritroso i passaggi effettuati; partiamo dal riassunto delle puntate precedenti.

In principio fu la prima repubblica, nata sulle ceneri della guerra e del fascismo. La repubblica democratica e antifascista ebbe tre difetti d’origine: si fondava sulla finzione d’estraneità al fascismo e allo stesso popolo che vi aveva tributato ampio e convinto consenso; sorgeva uno Stato a «sovranità limitata», semi-colonia nell’orbita americana; e non nasceva una repubblica che conteneva i partiti ma, al contrario, la repubblica era dentro il sistema di partiti. Non ci univa la repubblica, si era prima di tutto democristiani, comunisti, socialisti, monarchici o missini.

La prima repubblica durò mezzo secolo, fu statica ma non stabile perché ebbe sempre al governo la Dc e i suoi alleati, senza alternanza, ma i governi duravano mediamente nove mesi. Le opposizioni, comunista e missina, erano sempre fuori dal governo, anche se il Pci dagli anni Settanta in poi governò regioni, entrò nel sottogoverno, ebbe ruoli istituzionali, egemonizzò la magistratura, la cultura e il sindacato.

Quella repubblica resistette al terrorismo ma crollò tra il ’92 e il ’94 per una serie di fattori: sì, era venuto meno il fattore K e la divisione del mondo in due blocchi. Ma in Italia ci furono quattro cavalieri dell’apocalisse: Cossiga picconò la Prima repubblica dal Quirinale, Segni minò l’assetto coi suoi referendum, Di Pietro e i giudici del Pool di Mani pulite processarono mezzo potere e delegittimarono i partiti; infine Berlusconi scese in campo, mise in gioco gli esclusi, leghisti e missini, sbaragliò le sinistre, recuperò mezzo centrosinistra nel suo partito personale. Nacque così la seconda repubblica. A chi nega che sia mai nata la seconda repubblica ricordo tre cose: sparirono i leader e i partiti storici della prima repubblica, andarono al governo ex-comunisti e post-fascisti, sorse un sistema politico semi-maggioritario e cripto-presidenzialista fondato sull’alternanza; anzi, fu così praticata l’alternanza che da 25 anni chi è al governo perde sempre le elezioni. La seconda repubblica fu identificata con la monarchia berlusconiana che in realtà governò per un decennio; finì col mezzo golpe che destituì Berlusconi e il suo legittimo governo voluto dalle urne. E l’Italia entrò in un tunnel guidato dai tecnici e dall’Europa.

Dopo un biennio venne una nuova stagione politica ed ebbe la faccia di Renzi. Era un Berlusconi di segno inverso, in versione centrosinistra, ma ugualmente napoleonico, egocentrico, animatore, più accentratore del predecessore. Anche lui sembrò inaugurare un nuovo ciclo, ma dopo appena tre anni cadde in disgrazia, fu detestato da tutti, a partire da sinistra. E trascinò il Pd nel crollo. L’antipolitica che Berlusconi e Di Pietro avevano cavalcato, e che Renzi aveva in parte vellicato rottamando i vecchi arnesi politici, si affidò al Movimento 5 stelle. Che crebbe enormemente fino a diventare partito di maggioranza relativa. Ma per governare si alleò con un contratto a sorpresa con la Lega, che cresceva collocandosi a destra e liberandosi del secessionismo, approfittando anche del declino di Berlusconi e del vuoto lasciato a destra da un leader incapace come Fini. Nel giro di pochi mesi di governo, Salvini capovolse il rapporto di forze coi grillini, la Lega diventò partito di maggioranza in pectore e alle elezioni europee. La coabitazione, tormentata, saltò per due ragioni opposte: la Lega voleva portare all’incasso il suo consenso maggioritario e i grillini per arginare il loro calo avevano già fatto il loro voltafaccia, allineandosi in Europa all’establishment, votando con Pd e Forza Italia per Ursula von der Leyen. Poi a sorpresa, la crisi e l’immediata sostituzione di Salvini, elevato a Male Assoluto, col Pd, previo voltafaccia di Renzi. Per la quarta volta il Pd bocciato dalle urne tornava al potere con lo stesso premier di prima, ma capovolto come una clessidra e un double face.

Qui torna la domanda: ma ora dove ci troviamo? Dire terza repubblica sarebbe come dire che il renzismo, il grillismo e il sovranismo siano tre fratelli di una stessa repubblica. Né potremmo chiamare ciascuna di queste fasi come terza, quarta e quinta repubblica perché non possiamo a ogni ribaltone e a ogni legge elettorale battezzare una nuova repubblica. Non siamo più una repubblica parlamentare, non siamo certo in una repubblica presidenziale, siamo in una mezza democrazia diretta, a mezzadria tra sinistra d’apparato e residuo populismo, in cui il voto nelle urne conta poco e si profila la guerra sul proporzionale.

Siamo in una fase sismica, con sciami di scosse in corso e leadership ora sussultorie (Renzi o Salvini), ora ondulatorie (Conte, il Pd e i grillini). Il potere è da una parte e il consenso dall’altra. Per dare un nome alla fase in corso, è necessario arrivare a uno show-down politico-elettorale. Bolle in pentola lo spezzatino della terza repubblica. Non ha nome né forma, chiamiamolo marasma.  n

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Marcello Veneziani