Pd e Mdp: i 5 motivi per cui l'alleanza è improbabile
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Pd e Mdp: i 5 motivi per cui l'alleanza è improbabile

Renzi e i fuoriusciti dal Pd sono lontani su temi fondamentali come: Jobs Act, Buona Scuola, fisco, riforme e politiche ambientali

La campagna elettorale è iniziata ieri e già volano stracci. Altro che alleanza a sinistra, Matteo Renzi e quelli di Mdp sono fratelli coltelli e anziché mediare continuano a punzecchiarsi a vicenda.

La ventilata ipotesi che Pietro Grasso sia disponibile a guidare questa coalizione di sinistra ha acceso un barlume di speranza, tanto che Bersani ha espresso con una battuta la sua felicità (“ci starebbe da Dio”) e non è detto che anche a qualche esponente Pd la figura del Presidente del Senato non piaccia per pensare ad un dopo Renzi. Ma l'attuale segretario, rimanda i gufi al mittente e non arretra di un millimetro, nonostante una schiera di pontieri siano già all’opera per rimettere insieme i cocci della sinistra.

Ma il 7 novembre è andata in onda sulle reti tv la dicotomia tra i due (im)probabili alleati. Al pari di un’intervista doppia dove da un lato Matteo Renzi, da Floris su La7, e dall’altro Roberto Speranza, intervistato da Bianca Berlinguer su Rai3, erano in disaccordo quasi su tutto.

Qualche esempio?

Jobs Act

“Vorrei un altro Jobs Act e altri 986 mila posti di lavoro” lo ha detto Matteo Renzi e quella della riforma del lavoro è una delle leggi più lodate dello scorso governo. Speranza, Bersani &C. la pensano diversamente. Loro vorrebbero la reintroduzione dell’articolo 18, sul licenziamento illegittimo dei lavoratori e considerano la riforma come la responsabile di avere creato più precarietà tra i giovani. “Dall’inizio del 2017, i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono quasi 7 su 100. Significa che 93 sono precari. Il Jobs act avrebbe dovuto produrre più stabilità, invece ha avuto l’effetto contrario, creando più sfruttamento dei giovani. Lo vogliamo capire che quella strada è sbagliata?” parola di Speranza.

La buona scuola

È considerato un altro fiore all’occhiello del governo Renzi. La grande riforma che avrebbe dovuto cambiare pelle alla scuola italiana, eliminando per sempre il precariato degli insegnanti, per ammissione del suo creatore non ha funzionato del tutto. Per gli ex, le ambizioni rincorse con la Buona Scuola hanno finito per rompere definitivamente il rapporto di fiducia con gli insegnanti e gli studenti che vedevano nella sinistra un alleato. Per gli scissionisti è una riforma da abolire e soprattutto va rivisto l’istituto dell’alternanza scuola lavoro che non ha funzionato.

Le riforme costituzionali

Il 4 dicembre mentre Matteo Renzi si dimetteva da Presidente del Consiglio dopo il 60 per cento di No alla riforma costituzionale, Massimo D’Alema brindava a favore di telecamere. È stata forse la ferita più profonda che si potesse imprimere tra le due anime della sinistra. Una di quelle che nel tempo continuano ad alimentare rancori e distanze. All’epoca Bersani, Speranza, Stumpo, Renzi e Boschi erano tutti sotto lo stesso tetto, Mdp sarebbe nato, solo, un paio di mesi più tardi.

Lo scontro nei mesi precedenti il referendum fu totale. Intanto quelli che poi sarebbero usciti, criticavano le modalità di discussione (o non discussione) adottate nelle aule parlamentari. Lo stravolgimento di 47 articoli della Carta Costituzionale che chiedevano ai cittadini di approvare o bocciare con una sola crocetta sulla scheda. Nella forma, più che nel merito, la battaglia era sui valori che quella Carta rappresentava. Per i renziani mostrava un modello vecchio da rottamare per gli altri un sacro punto di equilibrio della democrazia da preservare. Un approccio di garanzia sul quale Mdp e Pd si sono scontrati anche in occasione dell’approvazione del Rosatellum.

Il fisco

Mdp chiede di reintrodurre la tassa per la prima casa per i ricchi e l’abolizione del super ticket in uno Stato dove le persone in difficoltà rinunciano a curarsi. Quella del fisco è una partita importante sul quale si sovrappone anche il tema delle risorse degli enti locali, delle disuguaglianze e del welfare.

Lo scontro tra Speranza e Renzi è antico e per capirne i termini bisogna tornare all’agosto 2016. "Nel mio partito ci sono quelli che mi dicono che non bisogna ridurre le tasse" diceva Renzi, scatenando la reazione di Speranza “il tema del fisco è molto serio e non si può affrontare con le caricature come in queste ore fa purtroppo il segretario del Pd nei confronti della sua minoranza interna. Per me se togli la tassa sulla prima casa anche a un miliardario, come purtroppo abbiamo fatto, commetti un errore grave. È una scelta inutile perché non produce sviluppo ed iniqua perché finisce col dare di più a chi già ha di più. La stessa politica dei bonus non mi pare abbia prodotto grandissimi risultati. Più in generale ridurre le tasse ha un moltiplicatore di crescita 0,8 fare investimenti 2,5/3.

Politiche ambientali

Al referendum sulle trivelle Speranza e Renzi siedevano sulle sponde opposte del fiume. Insieme a Speranza però c’erano anche governatori del calibro di Michele Emiliano e Marcello Pittella. Il primo, è stato anche sul punto di seguire di abbandonare il Pd, salvo poi decidere di candidarsi alla segreteria proprio contro Renzi per invertire la linea di dialogo su alcuni temi. Secondo Speranza puntare sulle trivelle,ha tradito la spinta ecologista della sinistra. Ed infatti sono mesi che il Pd non si parla più di questi temi. 

Finchè si parlerà di alleanze senza parlare di temi, idee e programmi, quella tra Mdp e PD sembra destinata ad essere una coalizione impossibile.

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Sara Dellabella