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Gli intellettuali "meglio tardi che mai" su migranti e scuola

Rampini, Galli della Loggia, che attaccavano la destra per alcune opinioni, oggi cambiano idea trasformandole in saggi ed articoloni

Funziona più o meno così. Una mattina l’intellettuale progressista si sveglia e avverte un brivido in tutto il corpo. Un’inaspettata eccitazione lo pervade, si sente euforico: ha appena avuto un’illuminazione. Si è reso conto che l’umanità è afflitta da un problema urgente, una questione che deve assolutamente essere risolta nel minor tempo possibile. A quel punto, si precipita a scrivere: un articolo, un pamphlet, un saggio breve. Tutto va bene pur di far dono al mondo della sua intuizione. C’è un solo, insignificante problema: quella stessa intuizione, quell’identica illuminazione altri l’hanno avuta prima dell’intellettuale progressista. Anni prima, magari. Decenni, talvolta. Il nostro eroe, però, non si dà per vinto. Anzi: se ne frega proprio. Lui ha partorito la sua trovata, questo è l’importante. Se poi altri lo hanno preceduto, e magari sono stati anche più efficaci, beh, è irrilevante. Del resto è cosa nota: finché non ottengono l’approvazione della sinistra del pensiero, le idee non hanno peso, non meritano d’essere considerate. Prendiamo, tanto per fare un esempio, la questione migratoria. La scorsa settimana, sul Corriere della Sera, è comparso un rovente articolo di Ernesto Galli della Loggia. Il celebre professore si lamentava del silenzio con cui è stato accolto dal milieu culturale italico un volume di straordinaria rilevanza. «Colpisce la significativa mancanza di reazioni al saggio di Raffaele Simone L’ospite e il nemico» recitava il titolo dell’invettiva di Galli della Loggia. Ma di che cosa tratta questo imprescindibile tomo, e perché è stato ignorato dai recensori gallonati? Lo rivela lo stesso professore: «Tratta di un tema chiave come la migrazione dal Sud del mondo». Fantastico: un libro sugli immigrati, argomento di stringente attualità. Riassumendone il contenuto, spiega Galli della Loggia: «Presumere che esista un diritto all’accoglienza illimitata comporta logicamente né più né meno che teorizzare la cancellazione virtuale dei confini: cioè di qualcosa che l’autore stesso definisce “una necessità etologica dei gruppi umani”». Proviamo a riassumere. Galli della Loggia si lamenta perché il libro di Raffaele Simone ha goduto di scarsa visibilità nonostante si tratti di un tomo denso di verità che gli italiani debbono conoscere. Queste verità riguardano l’immigrazione. La quale, ci dice Simone, è un grosso problema che non si può affrontare accogliendo tutti. Anzi: ci vogliono limiti, confini. Bisogna difendere i valori occidentali altrimenti la nostra millenaria civiltà rischia di sparire. Ecco, di fronte a tutto ciò uno pensa: scusate, ma sono circa vent’anni che autori conservatori, identitari, di destra, chiamateli come volete, dicono le stesse identiche cose. Le hanno dette per primi, hanno fornito dati a sostegno delle proprie tesi e non solo non sono stati ascoltati, ma sono pure stati derisi e accusati di essere razzisti e fascisti. E adesso, anno 2019, arriva un distinto intellettuale di sinistra a spiegarci che l’invasione è un dramma e noi dovremmo pure correre a adorarlo? Siamo seri. Il fatto è che ci arrivano sempre dopo, ma quando ci arrivano pretendono che le masse si sciolgano per l’emozione. Intendiamoci: siamo molto felici che illustri pensatori progressisti facciano i conti con la realtà e abbiano il coraggio di sfidare il politicamente corretto. Talvolta, però, sarebbe gustoso scorgere un poco di umiltà. Sull’immigrazione, la difesa dei confini e i rapporti con l’Islam si sono misurati fior di autori: Ida Magli, Oriana Fallaci, Alain De Benoist, Claudio Risé solo per citarne alcuni. Quel genio francese di Jean Raspail aveva previsto l’invasione migratoria in un romanzo del 1973, Il campo dei santi. Nel nostro Paese hanno dovuto pubblicarlo le edizioni di Ar, altrimenti nessuno se lo sarebbe filato. Di più: chi, in tempi più recenti, ha osato prendere di petto questi argomenti è stato marchiato a fuoco. Intollerante, maestro della paura, nazista, xenofobo… Poi, baldanzosi, arrivano gli intellettuali «democratici» e, tutto è concesso. Spunta Federico Rampini (tra tutti probabilmente il più onesto) a prendere di mira le élite cosmopolite e sradicate. Spunta Carlo Formenti a immaginare una specie di sovranismo di sinistra. Benvenuti, amici, vi aspettavamo. Prendiamo un altro caso. Sempre sul Corriere, il brillante Goffredo Buccini ha dedicato un reportage quasi letterario a Torre Maura, sobborgo romano i cui cittadini hanno protestato con rabbia contro l’assegnazione di alloggi popolari ai rom. Mentre la sollevazione era in corso, i giornali di sinistra si sbizzarrivano. Accusavano gli abitanti di Torre Maura di essere razzisti, manipolati da Casapound, fascisti. Poi guarda che succede: quasi due mesi dopo, il prode inviato del Corriere scende nella periferia e scopre un signore, elettore del Pd, di nome Sergio. «Sergio, che vota pure Pd, era in mezzo ai ribelli aizzati da Casapound, strillando in favore della telecamera che quei rom “potevano bruciarli a Torre Angela” (precedente domicilio dei poveretti)» scrive Buccini. Capito? Il signor Sergio, piddino, gridava «bruciate i rom». Chiosa di Buccini: «Ciò non fa di lui un razzista». Tutto torna. Se sei di sinistra, puoi dire che i rom vanno bruciati. Se ti dichiari progressista, puoi scoprire mesi dopo che sì, in effetti la convivenza con i rom è un problema e il razzismo non c’entra. Da destra te lo avevano ripetuto in tutti i modi che le cose stavano così, ma non sei stato a sentire. A un certo punto, passati giorni e giorni, ti accorgi che avevano ragione gli altri, ma fai finta di nulla: hai avuto l’illuminazione e tutti si devono genuflettere di fronte a tanta intelligenza. Va così più o meno in tutte le circostanze. Da tempo immemore conservatori e sovranisti spiegano che la proliferazione dei «diritti» delle minoranze è pericolosa, e come sempre sono stati vilipesi o censurati. Ma ecco che arriva il liberal americano Mark Lilla, pubblicato in Italia da Marsilio, a spiegare che le rivendicazioni delle varie minoranze fanno perdere di vista l’interesse della maggioranza, e tutta l’intellighenzia va in brodo di giuggiole. Vogliamo cambiare radicalmente campo? Parliamo della tecnologia e del Web. La «nuova destra» tuona contro lo strapotere delle macchine più o meno da quarant’anni. Nel frattempo, gli illuminati progressisti hanno celebrato la Silicon Valley, la potenza democratica della Rete, le varie primavere arabe nate sui social network. Adesso, però, i libri anti tecnologici spuntano come funghi: da Aldo Cazzullo che dice al figlio: «Metti via quel cellulare!» a Christian Rocca che grida: «Chiudete internet!», i maestri del pensiero hanno capito che l’ubriacatura digitale è un brutto guaio. E ci danno lezioni. Ma prendiamo un’altra questione rilevante: la scomparsa dell’autorità. Da Concita De Gregorio ad Andrea Camilleri, passando per vari altri numi tutelari della sinistra, c’è la gara a stracciarsi le vesti per le sorti della scuola pubblica. I professori non sono rispettati, non si studia più la storia… Che strano: prima ci avevano detto che bisognava abbattere l’autorità, buttare i professori giù dalla cattedra, mollare le polverose nozioni e portare l’attualità in classe. E ora vengono a piangere perché la scuola è un disastro? Ci avevano detto che il patriarcato andava abbattuto, che il modello di società verticale andava sgretolato, e oggi ci troviamo sommersi dai saggi del renzianissimo filosofo Massimo Recalcati sull’evaporazione della figura paterna? Sarà pure che solo gli stupidi non cambiano idea. E, lo ammettiamo, anche noi abbiamo modificato posizioni, pensieri e opinioni. Talvolta, basterebbe semplicemente un po’ più di umiltà. Basterebbe dire: ehi, ci siamo arrivati anche noi, magari ora si può dialogare. Invece la spocchia, a sinistra, continua a regnare sovrana. E allora viene da pensare: talvolta, meglio mai che tardi. © riproduzione riservata

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