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ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
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Michele Emiliano, il Gladiatore che dice sempre no

Dall'Ilva di Taranto alla Cittadella della giustizia di Bari fino all’emergenza xylella. Il governatore della Regione Puglia ha fama di guastatore. Tranne quando si tratta dei soldi del Nord

A furia di mettersi di traverso, Michele Emiliano si è fatto un nome. Non quello di uno statista cui affidare la casa comune ma di un guastatore col quale fare i conti.

Proseguendo la tradizione Nimby («non nel mio cortile») cui le autorità pugliesi ci hanno abituato, l’attuale governatore della Regione è dietro a tutti i «no» degli ultimi anni. Dall’Ilva di Taranto all’emergenza del parassita xylella, fino all’approdo del gasdotto Tap nel bell’oliveto di San Foca (Lecce). Emiliano, detto il Gladiatore per il suo 1,90 e la combattività da circo, rifiuta pure di autorizzare la Cittadella della giustizia a Bari. La conseguenza è che nel capoluogo, dove da tempo è inagibile il Tribunale, i processi si svolgono in una tendopoli. Giudici e avvocati fanno i bisogni in vespasiani posti sulla strada. A chi lo accusa d’insensibilità, Emiliano, per di più ex magistrato, replica che l’edilizia giudiziaria non spetta alla Regione ma allo Stato. Sono certo abbia ragione: è specialista nel mantenersi ai bordi della legalità, calpestando però il buonsenso.   

C’è molto da dissentire su una Regione che, con i suoi due ultimi governatori di sinistra, Emiliano e il predecessore Nichi Vendola (10 anni fa, abortì sotto costui il rigassificatore di Brindisi), rifiuta di accollarsi opere di interesse nazionale, accampando ulivi da proteggere, mare blu da tutelare. Emiliano sa che i conti della Puglia non tornano. Il territorio, infatti, riceve dallo Stato un supplemento di 12,5 miliardi l’anno, 3.085 euro ogni abitante, per mantenere l’attuale tenore di vita. Soldi del ricco Nord che, per produrli, accetta senza fisime fabbriche, fumi, smog e si priva dei propri guadagni per darli a San Foca e dintorni. Perciò il solo «no» che si può accettare da Emiliano è il rifiuto degli aiuti di Stato. Libero di recalcitrare, ma paghi pegno. 

Michele è un uomo di impulsi. Un giorno è questo, un altro quello. Viene da destra ma è passato a sinistra. Questa la sua storia.

La stirpe degli Emiliano, nel cui seno il Nostro vide la luce 59 anni fa, è di baresi in vista. Papà Giovanni, scomparso nel 2013, era un imprenditore di apparecchi di refrigerazione e fan di Pinuccio Tatarella, mito del Msi-An. Michelino crebbe in questo clima di destra e ci si crogiolò a lungo. Laureato in legge, doveva entrare in azienda. Invece, fu convinto a partecipare al concorso in magistratura da un compagno di università, Gianrico Carofiglio, poi pure lui magistrato, senatore Pd e oggi scrittore di successo.   

Indossata la toga di sostituto procuratore, Michele fu per 14 anni inghiottito dal tran tran. Divenne improvvisamente noto nel 1999 indagando sulla Missione arcobaleno. Un’operazione umanitaria dell’allora premier diessino, Massimo D’Alema, in favore dei profughi kosovari che aveva lui stesso messo nei guai con i bombardamenti Nato in Serbia, cui l’Italia partecipò. La faraonica macchina - medicinali, cibo, sussistenze varie - era terrena di ruberie. Fu proprio Panorama a denunciarle con un bel servizio giornalistico. Emiliano lo lesse con avidità e cominciò l’indagine. In breve, snidò gli uomini di D’Alema nella Protezione civile e si avvicinò allo stesso Max che prese a odiarlo. L’imperativo divenne, ammansire il Gladiatore. I Ds escogitarono un classico di sinistra: allontanare Emiliano dall’inchiesta con l’offa dell’elezione a sindaco di Bari. Michele, fatti due conti, accettò lo scambio. Mollò l’istruttoria e si candidò col Pd. Così, nato a destra, finì a sinistra. D’altronde, Pinuccio Tatarella, l’amico di papà, era morto cinque anni prima. La tresca raggiunse lo scopo e l’inchiesta su D’Alema finì a tarallucci e vino.

Dal 2004 al 2014, Emiliano fu sindaco. Tra i più amati all’inizio, tra i meno alla fine. Dal 2016, è alla Regione. La cosa curiosa è che i baresi, in maggioranza piuttosto di destra, continuano a considerare Michelino dei loro. La locale An ha sperato in un suo ravvedimento e Salvatore Tatarella, fratello di Pinuccio, ha continuato fino alla morte nel 2017 a corteggiarlo. Da primo cittadino, Emiliano ha commesso varie imprudenze dettate dall’irruenza. La principale fu l’abbattimento dell’ecomostro di Punta Perotti. L’orribile costruzione aveva infatti tutti i crismi della legalità. I proprietari sono ricorsi alla Corte di giustizia Ue che ha condannato l’Italia a 49 milioni di risarcimento, nel giugno scorso. Bari e il suo sindaco, nel solito stile, hanno rifiutato di onorare e a sborsare il conquibus siamo stati noi. L’errore è loro, il danno nostro.

Chiudiamo con le «cozze pelose». A Bari circolavano due noti imprenditori, i fratelli De Gennaro, coinvolti in qualche grana. Il sindaco fu accusato di eccessiva vicinanza per avere accettato da costoro prelibatezze di pesce, cozze e crostacei. Quando la bufera divenne uragano, Emiliano fece mea culpa: «Ho sbagliato ma non mi ritirerò per quattro cozze pelose». «Chiamatemi fesso, non corrotto» aggiunse. Identico a Gianfranco Fini, un altro allievo di Tatarella, finito nei guai per la casa di Montecarlo. Segno che l’impronta non si perde.


(Articolo pubblicato nel n° 47 di Panorama in edicola dall'8 novembre 2018 con il titolo "Il Gladiatore che dice sempre no")        

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Giancarlo Perna