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Matteo Renzi e l'orologio in ritardo

L'ex premier dice che le inchieste sulla famiglia sarebbero una ritorsione contro di lui. Peccato che siano cominciate prima del suo arrivo a Palazzo Chigi

Matteo Renzi è convinto che i suoi genitori siano finiti nei guai giudiziari per colpa sua. «Se io non avessi fatto politica», ha scritto subito dopo l’arresto del padre e della madre, «la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese, i miei oggi sarebbero tranquillamente in pensione». Concetti ribaditi anche il giorno dopo, con un nuovo messaggio via Facebook: «Lo sanno anche i sassi. Se loro sono in questa situazione umiliante è colpa del mio impegno politico di questi anni. E mi piacerebbe dire: prendetevela con me. Non con la mia famiglia». Dunque, papà Tiziano e mamma Lalla sarebbero vittime di una ritorsione. Da parte di chi? Della magistratura? Degli avversari politici oppure della stampa (la quale per altro non ha ancora la possibilità di disporre la custodia cautelare, ma semmai la subisce)? Non si sa, perché il figlio preferisce dire senza chiarire.

Una cosa però è nota ed è che i guai giudiziari di Tiziano Renzi sono antecedenti al giorno in cui l’ex segretario del Pd è divenuto presidente del Consiglio. Nonostante il senatore semplice di Scandicci abbia più volte detto che prima del suo arrivo a Palazzo Chigi il padre aveva collezionato solo multe per eccesso di velocità, le cose non stanno così.

Infatti, è nel 2013, quando cioè Matteo è sindaco di Firenze, che i magistrati di Genova vogliono veder chiaro nel fallimento della Chil Post, la società da cui lo stesso Renzi si era fatto assumere pochi mesi prima di diventare presidente della Provincia. L’azienda, di proprietà della famiglia, a un certo punto era stata ceduta a un pensionato ligure, non senza essere prima privata di un ramo che per pochi spiccioli era stato venduto alla mamma di Renzi. Quindi Renzi padre aveva ceduto l’attività. Ma nel 2013, quando la società fallì, i pm di Genova aprirono un fascicolo. E prima che il figlio Matteo si installasse con un colpo di mano sulla poltrona di Palazzo Chigi, la Procura spedì al genitore un avviso di garanzia. Non era una ritorsione contro chi stava cercando di cambiare il Paese: era semplicemente un tentativo di capire chi fosse responsabile del crac. Nel mirino della magistratura non finì solo il vecchio amministratore, cioè babbo Renzi, ma anche un signore che poi ritroveremo in questi giorni, arrestato insieme ai genitori dell’ex presidente del Consiglio, ossia Mariano Massone.

L’inchiesta giudiziaria si concluderà nel 2016 - quando il figlio è già impegnato a cambiare il Paese - con il proscioglimento di Tiziano Renzi e il patteggiamento di Massone, ma non prima che il gip chiedesse un supplemento d’indagine proprio sul ruolo del papà del presidente del Consiglio, forse sospettando che alcuni dei protagonisti del crac fossero solo teste di legno, ossia prestanome. Tuttavia, mentre un’inchiesta si chiudeva positivamente, per Tiziano Renzi un’altra si era aperta. Questa volta non a Genova, ma a Cuneo.

Siamo nel 2015 e i pm vogliono veder chiaro in un altro fallimento, non di una società del padre di Renzi, ma di una in affari con il genitore del segretario del Pd. Negli atti dell’inchiesta finiscono anche certe curiose intercettazioni, in cui per la prima volta compare il nome della mamma del presidente del Consiglio. Da quel che si capisce, è lei che maneggia la cassa. Lei che paga e tiene i conti. La Procura non farà comunicati, né terrà conferenze stampa per annunciare di aver aperto un fascicolo, ma di lì a poco disporrà accertamenti anche a carico delle aziende della famiglia Renzi. Un troncone di quell’indagine sfocerà nella richiesta di un processo contro Laura Bovoli, la mamma dell’uomo impegnato a cambiare il Paese. Un altro sarà girato ai magistrati di Firenze affinché valutino se vi siano gli estremi per procedere per altri fallimenti e così, trascorsi sei anni dal fallimento della Chil Post, arriva l’arresto dei genitori di Renzi.

Per spiegare tutto ciò, Renzi e i suoi parlano di giustizia a orologeria. Ma se questa è orologeria non si può che convenire che si tratta di lancette che viaggiano con enorme ritardo. Anche perché, come spiega Antonio Rossitto a pagina 10, nel corso degli anni hanno chiuso molte aziende fondate dal padre di Renzi, ma in quei casi non ci fu nessuna ritorsione. Anzi.

Ps. La storia della Chil Post e del suo fallimento fu raccontata nel 2015, quando Renzi era a Palazzo Chigi, da Giacomo Amadori sul quotidiano Libero. Alla pubblicazione, dopo qualche tempo, seguì la rimozione del direttore del giornale: ossia di chi scrive. Ma Renzi naturalmente non si accorse di tutto ciò: era impegnato a cambiare il Paese.

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Maurizio Belpietro