Domenico Lucano
ANSA / IGOR PETYX
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Quel che resta del "modello Riace"

Era il paese simbolo dell'accoglienza ma ora paga gli effetti di tutto questo

In molti hanno esultato troppo presto. L’annullamento della misura cautelare che esiliava Mimmo Lucano, sindaco di Riace e campione amatissimo da Laura Boldrini e incluso dalla rivista americana Fortune fra i 50 uomini più influenti al mondo e dalla Procura di Locri come primo nome dell’inchiesta Xenia, dalla sua Riace non escludeva che il procedimento giudiziario prendesse una piega diversa. E con la Dea bendata, si sa, l’ideologia non fa da schermo o da salvacondotto. E infatti, proprio come chiedeva la Procura di Locri, la tegola è arrivata. Le accuse hanno retto e il giudice dell’udienza preliminare ha rinviato a giudizio il re dell’accoglienza, per associazione a delinquere, abuso d’ufficio e concussione, e gli altri 25 imputati. Le accuse sono pesanti. E riguardano proprio i soldi arrivati a Riace per i migranti.

Un pasticcio colossale. Anche perché gli immigrati se ne stanno andando alla spicciolata. Giorno dopo giorno la corriera che si ferma nell’ex «paese dell’accoglienza» ne porta via qualcuno. Altri scelgono i treni, raggiungendo in bicicletta la stazione, dove su una facciata è stato appena coperto con pittura color crema un «murale» che raffigurava il faccione di uno dei bronzi ripescati dal mare con un insulto al ministro dell’Interno. È a Matteo Salvini che gli affaristi dell’accoglienza addebitano la morte del loro business. Sono ormai lontani i tempi in cui il numero dei rifugiati sfiorava le 300 presenze. Resistono una decina di famiglie africane e l’unico nucleo familiare curdo che risale alla prima ondata di sbarchi del 1998. Finito lo Sprar, il locale sistema di protezione dei richiedenti asilo, crollati gli arrivi, partiti gli immigrati, è fallito il Comune. Il buco nero lasciato nei conti ha portato il municipio del sindaco «esiliato» per cause giudiziarie al dissesto finanziario.

Il market, la farmacia e gli altri fornitori che hanno accettato il bonus, un ticket inventato dal primo cittadino che sostituiva la moneta corrente in attesa dei contributi pubblici per l’accoglienza, rischiano di non incassare un euro. La cattiva amministrazione di colui che veniva celebrato per il cosiddetto Modello Riace viene riassunta in una delibera di giunta, che rendiconta 800 mila euro di debiti «fuori bilancio». Lucano avrebbe voluto risanarli, almeno in parte, con i fondi provenienti dagli autovelox. Ma mancano 200 mila euro che il Comune aspetta dalla ditta che eleva multe à gogo sulle strade comunali di collegamento alla statale 106 Jonica. E soprattutto latitano i 2 milioni di euro del progetto Sprar. Le relazioni degli ispettori della Prefettura che hanno decretato la fine del sistema economico creato da Lucano hanno innescato la revoca dei finanziamenti e l’inchiesta giudiziaria (il caso è approdato il 4 aprile all’udienza preliminare con la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura).

Qualche mese fa il sottosegretario al ministero dell’Interno Carlo Sibilia ha annunciato: «Zero fondi per Riace». Il governo ha deciso di combattere la speculazione sull’accoglienza. «Per Riace» spiega il sottosegretario «non ci sono coperture soprattutto perché il sistema d’accoglienza targato Pd ha creato più indagati che integrati». Truffe, rendicontazioni farlocche e gare pubbliche andate deserte a parte, la realtà è che Riace e il suo primo cittadino paladino dell’immigrazione senza limiti non sono riusciti a creare un meccanismo economico che riuscisse a sostenersi senza il doping da finanziamento pubblico.

Il turnover dei migranti c’è sempre stato, anche quando piovevano i «piccioli» e Lucano sciorinava dati in controtendenza su spopolamento e posti di lavoro rispetto al resto della Calabria, e doveva essere considerato come un campanello d’allarme. La tanto sbandierata legge regionale del 2009 si è limitata a finanziare piccole borse di lavoro per tirocinanti e destinatari di percorsi formativi. Terminato il cash, gli immigrati partivano alla ricerca di sorti migliori. Le modifiche alla programmazione dello Sprar per gli anni 2014-2020 hanno, poi, creato una relazione più stretta tra il numero di migranti accolti e le dimensioni del Comune. Così, Riace si è ritrovata solo con 15 posti per chi richiede l’accoglienza. Risultato: un centinaio di migranti sono stati trasferiti in altri Sprar. Dal ministero dell’Interno hanno precisato che queste persone sono libere di restare nel paese calabrese, uscendo però dal sistema di protezione. Ma in quanti pensano di poter vivere con le botteghe artigiane che hanno messo al lavoro migranti e riacesi fianco a fianco?

Veniva propagandata come la grande idea di Lucano, ma a livello di incassi è stata un fallimento. Poche le vendite dei prodotti artigianali. Solo d’estate arrivava un po’ d’ossigeno, grazie a un manipolo di turisti solidali. Le botteghe del legno, della ceramica, del vetro, del ricamo sono ancora aperte, ma per quanto? Il sistema è andato così in crisi che gli operatori di cooperative e accoglienza sono rimasti senza stipendio. O a singhiozzo. Dagli esponenti locali della Lega l’indice non è puntato solo contro Lucano. «Ci sono anche i responsabili di alcune associazioni» sostiene Claudio Falchi «che disattendono in forma reiterata le linee guida degli ispettori ministeriali e prefettizi». Per buona parte dei progetti, segnalano dalla Prefettura, non ci sono pezze d’appoggio per le spese e questa situazione ha provocato la revoca dei finanziamenti.

L’iniziativa della raccolta differenziata con i somarelli, unico mezzo di trasporto per poter percorrere gli stretti viottoli nella zona vecchia del paese, che fa risparmiare e non inquina, è rimasta schiacciata dalla notizia che anche il sistema dei rifiuti è finito sotto la lente della magistratura, con Lucano accusato di aver favorito due cooperative, che non avevano i requisiti di legge, nell’aggiudicazione della gara d’appalto. Non iscritte nell’apposito albo regionale previsto dalla normativa di settore. Le indagini avrebbero ricostruito che il sindaco «al precipuo scopo di ottenere il suo illecito fine», si sia determinato a istituire un albo comunale delle cooperative sociali cui poter affidare direttamente, secondo il sistema agevolato previsto dalle norme, lo svolgimento di servizi pubblici. La Cassazione, però, esaminando la misura cautelare applicata a Lucano, ha ritenuto che non ci fossero illeciti, sottolineando che i magistrati della Procura non si sarebbero soffermati «su quali altre imprese in quel territorio avrebbero potuto svolgere il servizio, tenuto conto della conformazione del centro storico del comune». La decisione del giudice di Locri, invece, è diametralmente opposta e spiega che anche sulla raccolta differenziata c’è bisogno di un approfondimento dibattimentale. Sarà un processo a stabilire se, come sostiene l’accusa, la gara è stata taroccata.

Quello del ciclo dei rifiuti non è stato l’unica iniziativa «forte» del Sistema Riace: c’era anche l’albergo diffuso. Proprio le case del centro storico, però, sono state le prime a svuotarsi. E il fenomeno viene percepito dalla comunità come un flop. Riace aveva puntato sulla rivitalizzazione dello spazio urbano, creando anche, accanto ai palazzotti risistemati, un parco giochi e una piazza in stile anfiteatro greco, con le gradinate dipinte usando i colori della bandiera arcobaleno. Nel corso degli ultimi 20 anni gli edifici del borgo sono stati ristrutturati con l’obiettivo di accogliere migranti, ma anche di ospitare turisti. Molto pochi, in verità.

Con i migranti, invece, si facevano affari d’oro. Gli ispettori ministeriali, però, hanno scoperto che alcune delle abitazioni impiegate per l’accoglienza appartengono a familiari dei soci delle cooperative o dei gestori dello Sprar e che, nonostante l’area geografica non sia esente dalla pressione di clan mafiosi che fanno sentire tutto il loro peso, non c’è stato alcun controllo negli affidamenti. In più, in alcuni casi, mancavano attestazioni di agibilità e abitabilità. Un affare da 200 mila euro annui. Che è anche finito nelle mani di pochi. La Procura di Locri sottolinea che quelle stesse abitazioni vengono affittate a prezzi maggiori rispetto alla media dei canoni locali. Chi poteva approfittarne di più, lo ha fatto. Benvenuti a Riace. O, meglio, a quel che di essa resta.

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Fabio Amendolara