Luca Zaia
Silvia Morara
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Luca Zaia e la sua Autonomia dalla A alla Z

Scuole, tasse, ospedali. Ecco quello che il Governatore del Veneto dovrebbe cambiare con la riforma (sofferta)

Qui a Palazzo Balbi, dove la Sade progettò la diga del Vajont, Luca Zaia si muove quasi da ospite. Non vuole affezionarsi, neppure se gli si ricorda che Napoleone Bonaparte, proprio in queste stanze, si distese dalle fatiche della guerra per assistere alle regate in suo onore. «Io starei bene anche vicino alla stazione dei treni, molto più comodo». La sede della Regione, così come altri palazzi della Serenissima, è in vendita da un po’, e monetizzare per il bene dei veneti è quello che più conta sotto il cielo padano.

Il governatore amatissimo (recordman di consensi tra i presidenti delle regioni italiane) è seduto davanti al gonfalone. Ma chi scherza sul «leòn che magna el teròn» rischia il predicozzo sui grillini che, con il Nord che si mangia il Sud e la secessione dei ricchi, ogni giorno mettono una mina sulla strada dell’autonomia.

Comunque, tra un dispiacere e una gioia, c’è la gioia ancora fresca dell'assegnazione delle Olimpiadi di Cortina.

Governatore, ma lei scia?

No, sono una frana. Da piccolo non sono andato perché il popolo non aveva la possibilità di andare a sciare e mio padre faceva il meccanico in una piccola officina.

Spazzaneve?

Diciamo che se vedo uno montare a cavallo come io scio, gli dico di lasciar stare il cavallo.

È fighetto più chi va a cavallo di chi scende con gli sci…

No guardi, io non faccio il fighetto, vado per i campi da solo. Tre generazioni di appassionati di cavalli in casa, mica scherzi.

Governatore, com’è la storia che sulle Olimpiadi è partito da solo, con la piantina di Cortina in mano e tutti che la prendevano in giro?

Un anno e mezzo fa mi hanno attaccato dicendo che prendevo in giro i veneti. Io invece ci ho sempre creduto. Prima mi sono mosso in segreto, poi abbiamo preparato un dossier e coinvolto da subito Trento e Bolzano, tutte e due province di centrosinistra, e siamo partiti con una visione di Olimpiade diffusa nel territorio.

Ma quando pensa ai fasti che attendono Milano e Cortina, il suo Nord-Est non teme il disastro del dopo, come a Torino?

Ma no, questa Olimpiade nasce sotto l’egida dell’Agenda 2020 del Cio, con le garanzie della sostenibilità sociale, del riuso, ci sono i piani di gestione per il post. Ai tempi di Torino non c’erano le regole di oggi.

Chi «riuserà» la mega pista da bob?

Molti hanno sorriso per il mio dossier low cost, gli impianti che non abbiamo saranno quelli vecchi ristrutturati. Lo storico bob di Cortina «Eugenio Monti» sarà rifatto con 50 milioni. Ma dopo le Olimpiadi prevediamo che anche i non sportivi facciano la discesa col tutor, sarà una pista sempre ingolfata, così si fan le robe qui da noi.

Sempre con due occhi al fatturato.

Tre università hanno esaminato la nostra operazione: la Ca’ Foscari di Venezia, la Sapienza di Roma, la Bocconi di Milano, tutte e tre dicono che il Pil crescerà.

Nessuno crede al fatto che non abbiate ipotizzato almeno un nome per la governance.

Io ho una figura tipo che non corrisponde al trombato della politica. Voglio un curriculum top, esperienza di standing internazionale, di piani industriali, lo porteremo via a qualche azienda e bisognerà pagarlo profumatamente.

Italiano o straniero?

Il migliore italiano. Magari anche veneto...

Paolo Scaroni è veneto, si dà per papabile anche Vittorio Colao…

Dobbiamo incontrarci e decidere all’unanimità.

Beh, in pochi è facile. Le fa piacere essere definito un leghista civile? Il Foglio scrive che lei e Attilio Fontana siete diversi da Matteo Salvini.

Il Foglio spera che ci siano due Leghe, ma ce n’è una sola. Ormai, sul divide et impera, ho gli anticorpi. Io mi confronto con Matteo, non tifo perché cada il governo.

Non ci crede nessuno

E invece non tifo. Purché facciano, spero che facciano tutto.

È d’accordo sul muro anti migranti in Friuli?

Non è un muro e Massimiliano Fedriga (presidente leghista della Regione, ndr) l’ha chiarito. Il Friuli sta diventando il confine d’Europa per la pessima gestione dei flussi migratori. Vedi la gente che cammina sul ciglio delle strade e arriva in Italia così. È normale?

Che cosa direbbe in questo momento alla capitana Carola Rackete se se la trovasse davanti?

Capitana, ci hai provocato inutilmente. Sei partita da casa con sani principi, forse, ma sei riuscita a svilirli. Io ho le patenti nautiche, tutte, ma non ho la barca, lo scriva. Se sei in mare a discutere e vai avanti e indietro, allora i migranti li porti in Tunisia, noi lì ci andiamo in vacanza. Poi puoi anche decidere che la tua nave è un ariete per fare il braccio di ferro con l’Italia...

Il Pd, e non solo il Pd, la difende.

Il Pd non mi stupisce, ha seguito la strada della coerenza salendo sulla Sea Watch. Del resto ci hanno riempito di emigrati, noi abbiamo avuto caserme con un migliaio di extracomunitari in paesi con duemila abitanti, non ce lo dimentichiamo.

Lei sarà pure un leghista civile, ma c’è stato un tempo in cui voleva prendere le impronte ai Rom...

Impronte ai Rom? Non mi risulta, semmai a tutti. C’è anche questa reticenza alle telecamere, a farsi filmare. Tutti che invocano la privacy, ma scherziamo? Siamo una comunità, la privacy passa in secondo piano.

Prima di buttarci sull’autonomia, ci parli del prosecco. In Azerbaigian, con il parere positivo del comitato scientifico, si è chiusa la partita per la candidatura delle Colline del prosecco a Patrimonio dell’umanità. Ma i rivali dicono che il prosecco fa venire il mal di testa...

Non sono figlio di agricoltori, non ho terreni, dicono che ho interessi personali e per questo ho fatto anche una denuncia in procura. Il prosecco non fa venire il mal di testa e non caria i denti, sono fake news, puttanate.

Non si arrabbi…

Come si fa a dire che il prosecco fa venir il mal di testa? Anche in Franciacorta lo spritz lo fanno col prosecco, facciamo 540 milioni di bottiglie, tutto il mondo conosce il prosecco.

Flat tax o autonomia?

Io non ho mai partecipato al gioco della torre, è come chiedere se vuoi più bene alla mamma o al papà. Autonomia con flat tax ha un altro valore rispetto all’autonomia senza flat tax.

Per chi non ha letto la bozza del vostro programma, e secondo lei quasi tutti, grillini in testa, che cosa vuol dire andare in una scuola veneta autonoma?

L’autonomia è gestirsi in proprio le proprie competenze, tutto qui. Così affameremo quelli che non sanno gestire, ci accusano. Ma è come dire che siccome a Roma hanno le buche, dobbiamo togliere al sindaco di Milano la delega sulla manutenzione delle strade sennò quello di Roma fa brutta figura.

Parlavamo di scuola, il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, è tornata su quello.

Vorrei dire alla simpatica Lezzi che io mi sono rotto di sentire commentare la mia autonomia quando nessun grillino ha in mano uno straccio di pezzo di carta con il suo progetto di autonomia. Tutti parlano di autonomia, ma gli unici a non avere un progetto sono i grillini. Scandaloso, finora siamo stati davanti al notaio pronti per firmare, la controparte ci diceva che non gli andava bene il contratto, ma senza avere un’alternativa. L’inquadramento dei docenti? È questo il totem, il grande scoglio? Si farà un accordo.

Magari si può rinunciare a qualcuna delle 23 competenze trasferibili…

Macché, io le voglio tutte e 23, ci mancherebbe, chi è che decide che devono essere di meno? Noi tutti sentiamo commenti del cavolo, ma non c’è una lista e qualcuno che dice: questo lo togliete e approviamo. Cara Lezzi, noi per assurdo stiamo dando voce alla foresta che cresce e che non ha voce, e cioè proprio al Sud.

E che cosa vuole dire fare la Tac in un ospedale veneto autonomo?

L’autonomia in sanità c’è già per certi versi, ma possiamo essere ancora più efficienti. Nel 2010 abbiamo fatto le breast unit, unità senologiche a costo zero. La donna col cancro al seno deve essere operata da un team che fa almeno 150 seni all’anno, non abbiamo più un team generalista. Poi quella col nodulo sospetto viene presa in carico e accompagnata in tutto il suo percorso. Qui in 30 giorni i malati di cancro li operiamo tutti. Tranne quelli in liste di attesa difficoltose per alcune patologie. Noi gestiamo così, abbiamo un’aspettativa di vita superiore al 95 per cento per l’esito positivo della cura e in giro per l’Italia è meno del 95 per cento. Non è giusto che ci siano donne più a rischio perché è disorganizzato il sistema. E come gestiamo bene la sanità, anche l’ambiente e il resto lo gestiremo con il sistema veneto, no? Dà fastidio perché siamo più bravi? Allora se è una gara e non è un Paese, scendiamo in campo in un’altra maniera.

E che cosa vuole dire pagare le tasse locali in una Regione divenuta autonoma?

Non sottrarre niente a nessuno, l’accordo prevede una compartecipazione sul gettito, il gettito va a Roma e una parte resta a noi, quella che serve a coprire le competenze nuove che ci vengono date da Roma. Ma noi siamo convinti di essere più efficienti, e quindi di poter risparmiare. E come quando ti danno il ticket restaurant e tu dici: cavoli, invece di andare a mangiare e spendermelo tutto, vado a fare la spesa, cucino a casa e ci mangio due giorni. Oppure ci faccio i panini per tre giorni. Il primo guadagno xe lo sparagno.

Sulle norme finanziarie siamo all’accordo.

C’è stato un passo avanti, ma siamo ancora al riscaldamento a fondo campo, dopo si deve entrare in campo, il 21 ottobre sono due anni che si parla. Comunque il mio motto è: solo i pessimisti non fanno fortuna.

Perché è così difficile trovare la quadra sui costi standard della sanità?

Perché costi standard uguale efficienza. A un Paese che spreca 30 miliardi di euro all’anno nella Pubblica amministrazione, se gli applichi i costi standard non li spreca più. Ma se glieli applichi e non ci saranno più gli sprechi vuol dire che a qualcuno devi toglierli. E allora ci sarà sempre il brontosauro che cerca di difendersi, perché il costo standard accende la luce nella stanza buia. Un pasto in ospedale qui costa 6, 7, 8 euro, in giro per l’Italia anche 60.

Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali, considerato quasi il gemello grillino di Giancarlo Giorgetti, sull’autonomia ha continuato a mettere le mani avanti.

Non lo conosco, a me non sembra il Giorgetti dei Cinque stelle, sarebbe un’offesa per Giorgetti. Buffagni, che è lombardo, dovrebbe difendere l’autonomia a spada tratta, ma evidentemente preferisce la difesa della bottega.

Festeggiando a Losanna per le Olimpiadi, ha avuto modo di convincere anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sulla bontà dell’autonomia?

Mai affrontato il tema con lui. Non mi cambia nulla, io vado avanti per la mia strada. Con 2 milioni e 328 mila veneti che hanno votato, non abbiamo bisogno del parere di Sala.

Non si rischiano nuove Regioni a statuto speciale?

I nostri ragazzi che emigrano non vanno nei Paesi sfigati, vanno in quelli dove ci sono autonomia e federalismo, vanno in Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, come mai? La modernità è responsabilità, lo diceva anche Giorgio Napolitano. Se noi non facciamo l’autonomia arriverà qualcuno che la farà. Chi rema contro è destinato a rappresentare un pezzo di storia che nessuno vorrà più ricordare. Cinque Regioni hanno l’autonomia per legge, 12 l’hanno chiesta con noi, tre no. Da che parte va il Paese?

Quante volte ha detto a Salvini che sull’autonomia bisognava spingersi fino alla rottura?

Salvini è sul pezzo, ha un sacco di partite in mano. Avete un’ossessione sulla caduta del governo. Coerenza vuole che si faccia perché se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza il governo sarebbe andato a casa. Loro, lo ripeto, non hanno un progetto di autonomia e non hanno neanche un progetto di riforma della costituzione.

Lei ha detto che sarebbe stato pronto a scatenare un nido di vespe contro chi non vuole l’autonomia, ma un tempo si definiva gandhiano…

Le vespe mica ti ammazzano, ti danno solo tanto fastidio. Io per natura non cerco mai la rissa, non ammazzo neanche le mosche.

Beh ogni tanto litiga, per esempio con Oliviero Toscani quando ha definito i veneti popolo di ubriaconi...

Ah, ma lui ha fatto tutto da solo. Ogni volta che mi chiedono di replicare a Toscani penso: gli sto aumentando il fatturato? Ho l’impressione che il suo guadagno venga fuori dalla sua visibilità e la sua visibilità dalle cazzate che dice.

Anche contro il popolo dell’infradito non è stato tenero.

Non possiamo essere noi a pagare il conto a qualche deficiente che va in montagna con le Havaianas. Anche io le metto, mi hanno anche ringraziato quelli delle Havaianas per la pubblicità, ma al mare. Si può andare sulla Marmolada con l’infradito secondo lei? Sono morti giovani soccorritori per salvare ’sta gente. Ma adesso se vengono recuperati, e si capisce che si sono messi nei guai da soli, pagano il conto.

Anche sui servizi meteo ha litigato e non poco…

No, ma lì sono convinto. La prima industria in Veneto è il turismo, fatturiamo 17 miliardi con 70 milioni di presenze turistiche. Cannare con il meteo vuol dire azzopparci, bisogna scrivere sempre la percentuale di attendibilità di una previsione. Quando eravamo piccoli noi, le previsioni meteo non esistevano e andavamo in vacanza con i nostri genitori lo stesso, c’era una visione romantica delle vacanze.

Ma governatore, come si può pretendere dai villeggianti di ignorare il meteo, è una battaglia persa…

Battaglia persa? No, ora c’è molta più precisione, sanno che possiamo chiedergli i danni. Una previsione data male vuol dire non fatturare. Intanto, da quando rompo le palle, c’è Venezia in tutte le previsioni e vedo, appunto, gli indici di attendibilità.

E non si può pretendere, come ha fatto lei, che un regista non sia libero di usare gli stereotipi di terroni e polentoni. Lei scrisse persino a Fedele Confalonieri: «Voglio farle sentire la forte incazzatura mia personale e di milioni di veneti a est e a ovest del Tagliamento e dell’Adda».

Io difendo i veneti, difendo la mia azienda. Alcune macchiette esagerate non mi piacciono e reagisco.

La amano anche per questo.

Diciamo che non riesco a fare la spesa con tranquillità, si è abituato anche il cavallo. Quando vede qualcuno si ferma. In mezzo ai campi incontriamo gente, contadini, lavoratori. Lui sa che mi vogliono parlare e si stoppa.

Sarà anche per questo che non vuole tornare a Roma. E invece a fare il commissario europeo ci andrebbe?

Non dico che non voglio tornare a Roma, ma che sto bene qui. Quella del commissario europeo è una manfrina, ogni volta che c’è una carica mi tirano in ballo. Con la pantomima delle Politiche mi hanno messo in pista sei o sette mesi prima del 4 marzo, ho visto a Roma un irrigidimento di tutti gli uffici quando andavo a chiedere i soldi.

La amavano così tanto anche a Roma?

Al ministero gli agricoltori mi amavano, gli altri non so. Quando ho tolto le livree e i tappeti rossi, li hanno rimessi appena sono andato via. La sindrome del cane alla catena, tu togli la catena al cane e lui continua a girare intorno al palo che non c’è più.

Zaia al ministero dell’Agricoltura un po’ di vespe le ha scatenate…

Beh, ho fatto lo sciopero dell’ananas e quelli del Franciacorta mi ringraziano ancora adesso. Poi ho portato le bollicine italiane ovunque, prima su Raiuno si brindava con lo champagne. Eliminato tutto.

Chi è il «mona» della politica italiana?

Detto così è offensivo. Il mona è quello che non dà risposte al popolo, noi dobbiamo solo rispettare i cittadini che indicano la via.

Che cos’aveva Umberto Bossi che manca a Salvini e viceversa?

Bossi è sempre stato un grande fanatico di storia, andava avanti ore nei comizi a parlare di legami, lui fondava su questo la sua azione politica. Non era un caso la scelta di Pontida. A noi ragazzi diceva: guardate che la storia non è acqua, lascia sempre il segno. Aveva una visione ancestrale. Salvini ha la visione della modernità. Uno era analogico, l’altro è digitale. Ho visto tutte le fasi della vita di Bossi, da quando era un leone a oggi, gli dobbiamo molto. Salvini è riuscito a dimostrare di essere un leader, ci ha messo anima e corpo e si è buttato oltre l’ostacolo, se siamo a questi livelli di consenso è grazie a lui, e lo dice uno che il consenso ce l’ha per conto suo. A me sorprende che ci sia qualcuno che vede dualismi, quando sono stato eletto a Treviso tutti pensavano che fossi come Giancarlo Gentilini (il sindaco sceriffo, ndr), ma perché?

Lei cita sempre Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar per dire che, come l’imperatore, parla in latino e pensa in greco (nel suo caso in veneto). Ma ha letto qualche altro libro?

Mi piace Matteo Strukul, padovano, autore di romanzi storici che vendono anche 300 mila copie. Bellissimo il suo Giacomo Casanova, che per me può essere la sceneggiatura di un film.

Non doveva scriverne uno lei su Aristotele? Perché le piace Aristotele?

Il libro lo sto scrivendo da tre anni. Non su Aristotele, ma sulla democrazia. Sento l’obbligo di dire alla gente come la vedo. Perché le cose non funzionano? Perché c’è tanta burocrazia? Io in questo libro dirò che la burocrazia nasce da noi cittadini. Sembra quasi assurdo, ma è così. Sarà una bomba. Siamo predisposti a complicare tutto, non abbiamo l’approccio alle norme che hanno

gli anglosassoni.

Faccia un esempio che le sta sullo stomaco.

Perché il vino dalla campagna arrivi alla bottiglia ci sono 46 adempimenti burocratici e se tu volessi fare un referendum per semplificare, si metterebbero di mezzo tutti, dal comitato fitofarmaci in poi e alla fine a rimetterci sarebbe l’agricoltore.

Perché i leghisti hanno la fama di essere ignoranti, perché sono troppo pragmatici?

Loro pensano, i radical chic, noi agiamo. Qui la Lega ha il 50 per cento, hai una stratificazione sociale che comprende tutti, professori, avvocati, laureati e non. Solo che loro, quando ne hanno la possibilità, monopolizzano, e noi non siamo bravi in questo. La magistratura non è di sinistra nella sua maggioranza, ma secondo il retaggio culturale italiano il magistrato è di sinistra.

A Verona, al Congresso mondiale delle famiglie, c’erano davvero ignoranti contro evoluti?

Al Forum ho tirato le orecchie a tutti. A me la manifestazione di Verona è arrivata in sordina, non nego che pensavo dovesse essere un ritrovo per le famiglie numerose, poi ho capito che era diventata ossessiva ‘sta storia. Sono andato a dire che l’omofobia è una malattia, la patologia non è certo l’omosessualità.

Questa sì che è una bomba, detto da lei.

Il tema sono le adozioni. Ho amici gay che non vanno al Gay pride, e anche io eviterei queste manifestazioni per affrontare il tema dell’omofobia. Perché poi c’è sempre quello che va a fare il cretino e magari rovina una battaglia seria. Andare in ospedale a trovare il proprio compagno omosessuale e non farsi cacciare, questo è il vero tema.

Le piace ancora Renato Zero?

Renato Zero mi piace, ma non ho l’età per essere un sorcino. Eppoi ho scoperto che a me piacciono gli Abba, i miei amici ridono, ma io a Losanna non sono riuscito a cantare The winner takes it all perché Giorgetti teneva il foglietto troppo lontano, non vedevo le parole.

Come fa a essere così sicuro che alle Olimpiadi non ci saranno ruberie?

Se uno è ladro ruba anche l’elemosina in chiesa, ma non possiamo paralizzare il Paese pensando che ci siano ladri dappertutto. Se vogliono giocarsi la reputazione, i grillini ce ne mandino uno che fa Catone il censore. Con la burocrazia si sta arrivando a un punto così aggrovigliato che si rischia di fare leggi non per evitare ruberie, ma per evitare che qualcuno si arricchisca. Montanelli diceva che in questo Paese se hai una bella macchina ti bucano le gomme, non vogliono comprarsela uguale come negli Stati Uniti, si vede che c’era già qualche grillino anche ai tempi di Indro.

Se va bene stavolta, avrà detto a Salvini, la Lega prende tutto, The winner takes it all per davvero. 

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Emanuela Fiorentino