Le parlamentarie Pd e l'apparato che non c'è
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Le parlamentarie Pd e l'apparato che non c'è

Chi spiega i risultati delle primarie come se esistesse ancora il Pci non ha capito nulla di quello che è avvenuto nella sinistra negli ultimi vent'anni

L’Apparato! Ma che cos’è questo fantomatico Apparato che, a leggere alcuni giornali e le dichiarazioni di qualche trombato, condizionerebbe i risultati delle primarie Pd (l’unica forza politica, tra l’altro, che lascia ai propri elettori la scelta dei candidati)?

Il partito di Pier Luigi Bersani può essere criticabile per mille motivi, ma questo sembra proprio un argomento specioso. Se qualcuno pensa ancora allo sterminato esercito di funzionari del vecchio Pci, è completamente fuori dalla realtà: non esiste più, patrimonio dismesso, insieme alle migliaia di sedi sparse in tutta Italia, per pagare i debiti del partito che fu. Con il crollo della Prima repubblica, sono morti anche i partiti tradizionali, quelli radicati nel territorio attraverso una capillare rete organizzativa e associazioni collaterali. Nell’ultimo ventennio si sono invece affermati modelli ibridi di partito. Quello “televisivo”, basato sulla forza del leader carismatico. Quello di “potere”, espressione di lobby e gruppi di pressione. Quello “fluido”,  che trova la propria legittimazione soprattutto nel web. I partiti di oggi, sono un po’ un insieme di tutte queste cose. E il Pd, nato sulle ceneri di forze post-comuniste e post-democristiane, non è certo sfuggito a questo destino.

Le primarie democratiche (quelle del 2 dicembre per la scelta del candidato premier tra Bersani e Matteo Renzi  e quelle del 29-30 dicembre per i candidati alle prossime elezioni politiche) hanno mobilitato molte componenti. Gruppi dirigenti nazionali e parlamentari. Amministratori e dirigenti locali. Militanti volontari. Elettori. Fette di opinione pubblica democratica. Pezzi di mondi che ruotano intorno al partito: sindacati, cooperative, associazionismo. Una realtà estremamente variegata, fatta di tante cose difficilmente gestibili e controllabili (come avveniva ai tempi del vecchio Pci).  Come si fa a stabilire chi ha votato per chi? Come si fa a sostenere che gli elettori hanno obbedito disciplinatamente a un ordine impartito dall’alto? Se uno come Renzi, presentato come l’uomo anti-Apparato per eccellenza, ottiene quasi il 40 per cento dei voti, vuol dire che tutte quelle componenti si sono più o meno distribuite fra entrambi i candidati, non si sono schierate a testuggine per sostenere uno dei due. Che cosa ha fatto la differenza, allora?

Prendiamo il caso di due candidati alle primarie per le politiche, l’ex produttore televisivo Giorgio Gori a Bergamo e l’ex radicale Roberto Giachetti a Roma. Entrambi avevano sostenuto Matteo Renzi contro Bersani. Ora, Gori ha perso, Giachetti ha vinto. E come hanno reagito i due? Il primo ha attribuito la colpa della sconfitta all’Apparato. Il secondo, invece, ha attribuito il merito della vittoria alle proprie battaglie e al rapporto che aveva saputo costruire con l’opinione pubblica del Pd. Ecco allora che cosa fa la differenza e determina il risultato: la capacità di parlare all’intero universo del partito, poichè aver prodotto Il “Grande fratello” e l’”Isola dei famosi”, non è di per sé un marchio di “buona politica” proveniente dalla “società civile”.  Un’espressione – “società civile”- ormai tanto abusata quanto la parola “Apparato”.

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Giovanni Fasanella

Redattore parlamentare dal 1984,  prima dell'Unità e poi, dal 1988, di Panorama. Ha pubblicato molti libri con ex terroristi, vittime di terroristi ed alcuni tra i maggiori investigatori italiani nei loro rispettivi ambiti: Giovanni Pellegrino, per sette anni presidente della commissione parlamentari su stragi e terrorismo; Rosario Priore, giudice istruttore delle inchieste su Moro, Ustica e attentato a papa Giovanni Paolo II; Mario Mori, fondatore del Ros e per alcuni anni direttore del Servizio segreto civile.

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