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ANSA/ANGELO CARCONI
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La parabola di Denis Verdini

Ascesa e caduta dell'imprenditore, presidente di banca, parlamentare e regista di operazioni politiche "spericolate" condannato ieri a 9 anni di reclusione

A Fivizzano, paese in provincia di Massa Carrara del quale negli anni '80 era stato sindaco (comunista) Sandro Bondi, c'era una piccola macelleria. Apparteneva alla famiglia Verdini, ma il giovane figlio del proprietario - oggi cinquantaseienne - non voleva restare tutta la vita dietro a un bancone ad affettare costate di manzo.

Quel ragazzo non sapeva quanto sarebbe andato lontano: Denis Verdini è stato imprenditore delle carni, allievo di Giovanni Spadolini, presidente di una banca, commercialista, professore universitario, parlamentare, forse massone (ma lui ha sempre smentito), editore del Foglio, regista di operazioni politiche "spericolate". E da oggi condannato a nove anni per bancarotta fraudolenta.

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Del resto, prima della tegola giudiziaria che gli è caduta addosso, aveva già sulle spalle varie indagini che lo riguardano (dagli appalti per il G8 della Maddalena alla p3 e alla p4) e una condanna a due anni per la vicenda della scuola Marescialli di Firenze.

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Prima repubblicano (Verdini è un laico a tutto tondo) poi berlusconiano, Verdini è in politica da un bel po': prima elezione riuscita quello nel consiglio regionale della Toscana nel 1995 con Forza Italia.

Berlusconi capì che l'uomo aveva talento quando, due anni dopo, Verdini organizzò la campagna elettorale di Giuliano Ferrara nel Mugello contro Antonio Di Pietro.

Arrivò alla Camera nel 2001. Ci mise poco a entrare nell'entourage di Berlusconi. A lui il leader di Forza Italia affidò la regia della fusione con Alleanza Nazionale: operazione non facile, che poteva suscitare rancori e risentimenti tra i colonnelli dei due partiti, ma che Denis condusse in porto brillantemente.

Sempre un passo dietro la scena, Verdini per tanti anni è stato il plenipotenziario al quale Berlusconi affidava le missioni più delicate.

Fu lui l'artefice del patto del Nazareno, che saldò gli interessi di Berlusconi e Renzi. Del resto era stato proprio Verdini a far conoscere i due, quando Renzi era ancora presidente della provincia di Firenze. "Sta dall'altra parte ma è bravo" disse al Cavaliere. Ma come tutti i consiglieri del principe, negli anni Verdini ha attirato su di sé anche una discreta quantità di invidia.

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Il cerchio magico che negli ultimi anni circondava Berlusconi non ha mai amato il suo potere, la sua amicizia con Renzi e i suoi modi diretti da toscanaccio. Ciò nonostante pochi avrebbero previsto l'addio a Forza Italia.

La rottura con il Cavaliere si consumò a tavola. Berlusconi lo voleva convincere che dopo l'affronto dell'elezione di Mattarella era stato giusto rompere il patto con Renzi. "Silvio non sono d'accordo. Mi faccio il mio gruppo". Detto fatto. L'Alleanza liberalpopolare autonomie non è mai stato un partito che riempie le piazze ma ha riempito di voti preziosi il governo Renzi, senza dare troppi dispiaceri al Cavaliere.

Perché questa è l'essenza del verdinismo: mettere d'accordo Matteo e Silvio e lasciare i vari Salvini e Meloni alla finestra.

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Redazione