Italicum: le possibili modifiche
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Italicum: le possibili modifiche

Ballottaggi e capilista bloccati. Ecco come la minoranza dem guidata da Gianni Cuperlo sta tentando l'accordo con i renziani

Ci sarebbe una svolta nelle trattative sull'Italicum, il sistema elettorale entrato in vigore a luglio di quest'anno ma inviso alla minoranza Dem e a buona parte dell'opposizione.

Dopo l'approvazione a settembre della mozione della maggioranza volta ad aprire il tavolo per le modifiche alla legge elettorale, la commissione è tornata a riunirsi giovedì 27 ottobre. E qualcosa si è mosso, complice il lavoro di Gianni Cuperlo alla ricerca di un accordo con la maggioranza renziana all'interno del PD. In particolare, i temi su cui le posizioni reciproche si sarebbero ammorbidite e avvicinate sono due: i ballottaggi e i capilista bloccati.

I primi segnali di cambiamento

BALLOTTAGGI
La nuova legge elettorale prevede che passano al ballottaggio al secondo turno solo le prime due liste che non raggiungono il 40% delle preferenze. Alla minoranza Pd questo meccanismo non piace. Vorrebbe abolirlo. Davanti al "no" certo della maggioranza renziana potrebbero essere due le modifiche: o aprire a un "ballottaggio a tre" ammettendo chi supera una soglia più bassa del 40% (15-20%) oppure consentire al secondo turno l'apparentamento tra liste e dunque riaprire alle coalizioni ma solo in questa fase.

CAPILISTA BLOCCATI
La volontà è cercare di ammorbidire lo schema rigido dell'Italicum che prevede capilista bloccati. Il Pd vorrebbe colleggi uninominali maggioritari ma già si sa che le maggiori forze di opposizione (in primis Forza Italia) sono contrarie. Dunque il dialogo sta andando verso collegi uninominali (ogni partito indicherebbe comunque un solo nome per collegio) ma con ripartizione dei seggi proporzionale.

Gianni Cuperlo

Maurizio Degli Innocenti/Ansa


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La prima apertura alle modifiche

Settembre 2016

Dopo mesi di "l'Italicum non si cambia" siamo arrivati al voto a Montecitorio della mozione di maggioranza per modificare il nuovo sistema elettorale entrato in vigore l'11 luglio del 2016. Nel documento presentato e votato oggi "la Camera si impegna ad avviare nelle sedi competenti una discussione sulla legge 6 maggio 2015 n.52, al fine di consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle suddette proposte".

E il voto ha visto passare la mozione con 293 sì, 157 no e 13 astenuti.

Sono state invece respinte le tre mozioni sull'Italicum presentate da Sinistra Italiana, da M5s e dal centrodestra. La mozione di Si ha avuto 207 voti contrari, 101 favorevoli e 72 contrari. Il documento dei pentastellati ha avuto 314 voti contrari e 74 favorevoli. Infine quella del centrodestra è stata respinta da 315 voti, ha avuto 43 voti a favore mentre 124 si sono astenuti.

Come preventivato dopo mesi di tira e molla tra minoranza e maggioranza all'interno del Pd e tra maggioranza di governo e opposizione, si apre la possibilità di modifica dell'Italicum. Se prima o dopo la chiamata al voto dei cittadini sul referendum costituzionale, non è dato saperlo.

Dopo la nota della Consulta che in merito alla legittimità della nuova legge ha deciso di pronunciarsi dopo il referendum, proprio per non influenzarne il voto, il testo presentato e approvato oggi lascia aperte tutte le possibilità.

Ed è proprio questo l'aspetto che fa discutere: "Il voto contrario annunciato dal Pd sulla mozione di Sinistra Italiana e la presentazione di una mozione di imbarazzante vacuità, del tutto indefinita sui tempi e sui contenuti di una nuova legge elettorale, svelano definitivamente la manfrina del Presidente del Consiglio sull'Italicum" ha dichiarato Alfredo D'Attorre dell'esecutivo nazionale di Sinistra Italiana. "Renzi - prosegue l'esponente della sinistra - non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il punto centrale del sistema elettorale su cui ha imposto la fiducia, ovvero il meccanismo del ballottaggio e dell'abnorme premio di maggioranza attraverso il quale si realizza il premierato assoluto e un cambiamento sostanziale della forma di governo parlamentare, come esplicitamente riconosciuto dall'inventore dell'Italicum, il professor D'Alimonte. A questo punto - conclude D'Attorre - è ancora più evidente che solo il voto dei cittadini e la vittoria del No al referendum potranno cancellare questa forma di di presidenzialismo mascherato e squilibrato, che è la vera essenza dell'Italicum".

Divieto alle coalizioni: il nodo in discussione

A oggi l'Italicum prevede che a vincere l'elezioni sia la lista che al primo turno abbia ottenuto almeno il 40% dei voti. Se nessuno arriva a questa soglia, le prime due liste più votate si sfidano al ballottaggio in un secondo turno in cui sono vietati gli apparentamenti. Il nodo è proprio questo, coalizioni sì coalizioni no. Finora le hanno chieste tutti i partiti, Forza Italia in testa, tranne Pd e M5s, le due forze con le maggiori chance di finire al ballottaggio. Per gli altri si tratta infatti, innanzi tutto, di una questione di sopravvivenza: serve infatti prendere almeno il 3% per mettere piede in Parlamento. Ma con il 3% quanti deputati si riescono a infilare? Molto pochi. Il rischio diventa quello di risultare completamente ininfluenti. Anche perché nel frattempo il Senato elettivo è stato abolito e di seggi a disposizione sono rimasti solo quelli della Camera.

Il Pd del 40% non c'è più

Il dubbio però che il divieto di coalizzarsi possa trasformarsi in un handicap anche per i partiti più grandi, sta cominciando a circolare anche dalle parti del Pd. Renzi ha sempre raccontato che lo scopo della riforma elettorale è quello di consegnare al Paese una maggioranza certa già la sera delle elezioni. Ma la verità è che, con l'Italicum il premier si è disegnato una legge elettorale a misura di Pd. Ma quale Pd? Quello del 40% preso alle Europee del 2014. Oggi la situazione è ben diversa soprattutto dopo le amministrative del 5 giugno scorso con la vittoria del M5S a Roma e a Torino e la disfatta conseguente del PD nelle stesse città.

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Claudia Daconto