Italicum: dietro le minacce della minoranza Pd c'è già l'accordo
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Italicum: dietro le minacce della minoranza Pd c'è già l'accordo

In cambio del via libera della minoranza Renzi baratta 30 posti posti sicuri nelle future liste e modifiche alla riforma del Senato

Ogni volta che Matteo Renzi ha deciso di forzare la mano in Parlamento passando come un carro armato sopra le prerogative dell'Aula e le obiezioni della sua stessa minoranza interna, la scusa è stata sempre che “va bene discutere ma poi bisogna anche decidere”, laddove a decidere ovviamente è solo lui. Per cui anche alla Direzione nazionale del Pd convocata per questo pomeriggio al Nazareno per pronunciarsi sull'Italicum, il copione sarà più o meno lo stesso: sequela di interventi pro e contro, voto, conteggio, risultato schiacciante a favore del capo che poi appunto rivendicherà il diritto di fare come gli pare visto che il partito, discutendo nelle sue opportune sedi, ha deciso – ad ampia maggioranza – di appoggiare le sue scelte.

La strategia di Renzi

Ci si attende un 20% di voti contrari o di astensione. Il 20% non è pochissima cosa. Quanto meno sarebbe l'ennesima certificazione della spaccatura nel partito del premier. La strategia di Renzi è però già nota: ribadire che il testo è immodificabile (qualunque rimaneggiamento comporterebbe un nuovo passaggio al Senato e il premier sa bene che da là possono venirgli soltanto guai visto i numeri traballanti della maggioranza), barattare con i capi corrente delle varie minoranze una quota di capilista (in tutto potrebbero essere 30) in cambio del via libera alla legge (le parole sono importanti e se Pier Luigi Bersani dice “io non la voto” non è la stessa cosa che se dire “io voto contro) e per dividere ancora di più il fronte interno avverso offrire qualche modifica sul nuovo Senato per portare dalla sua parte l'ala più dialogante e isolare i più intransigenti.

Le posizioni nella minoranza

Se Stefano Fassina è pessimista, “andrà in scena l'ennesima esibizione muscolare perché i numeri sono schiacchianti", Corradino Mineo coltiva ancora l'illusione che il testo possa non passare così com'è visto che “anche i bersaniani si sono convinti che questa è la loro ultima battaglia”. Pippo Civati centra il cuore del problema quando parla di “ambiguità” della minoranza dem e propone ai colleghi “Rosy, Pier Luigi, Gianni, Alfredo, Francesco e Stefano” di non partecipare al voto di oggi in direzione per sottrarsi all'aut aut imposto dal premier e riportare la discussione in aula sull'impianto complessivo delle riforme, oppure di fare un unico intervento superando le divisioni e mostrando di preoccuparsi meno “delle sigle e dei posizionamenti” e più “dei contenuti e della qualità della nostra democrazia”, meno dei “posti” e più del “pluralismo e delle garanzie”.

Le priorità dei leader dell'opposizione dem

Comunque sia, dal voto di questo pomeriggio (anche se potrebbero benissimo votare contro oggi per poi dire sì tra qualche settimana alla Camera a maggior ragione se, come sembra essere tentato di fare, Renzi imporrà la fiducia) si capirà cosa hanno più cuore i vari esponenti del partito citati da Civati: se la loro dignità politica, la coerenza tra azioni e dichiarazioni oppure la propria salvezza. Se la rivendicazione del diritto dei cittadini di scegliersi i propri rappresentati viene prima di quella della loro poltrona. Basterà infatti, dopo aver chinato di nuovo la testa, autogiustificarsi, ancora una volta, con la flebile scusa: “ma io non volevo votarla”?. Ma poi, giustificarsi di fronte a chi? L'elettorato democratico è a maggioranza renziano. Esiste sicuramente però una parte della base che non aspetta altro che i vari Civati, Cuperlo, Fassina prendano armi, bagagli (e una buona dose di coraggio) e saltino il fosso. La conseguenza però quale sarebbe?

Scongiurare le elezioni

Ammettiamo che l'Italicum sia affossato alla Camera (ma è solo un'ipotesi visto che il premier avrebbe la maggioranza anche se 60 o 70 dei suoi votassero contro), il governo cade e alla prima finestra utile (quindi ottobre) si torna al voto con il Consultellum. A quel punto Civati, Cuperlo, Fassina che farebbero? La “coalizione sociale” di Maurizio Landini è ancora in fase embrionale. Per ora il leader Fiom sembra avere più voglia di prendersi la Cgil che non di fondare un nuovo partito del 3-4%. Il rischio per loro è di non riuscire, da soli, a raggiungere nemmeno la soglia minima per entrare in Parlamento. Ci si può, in politica, crocifiggere a un principio? A volte sì. Ma in questo caso non sembra sia aria. E poi come spiegare di aver fatto cadere il governo sulla legge elettorale e non sul Jobs Act che, nella propaganda della sinistra dem, cancella i diritti dei lavoratori?

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Claudia Daconto