Italicum: i punti contestati dentro Pd e Fi
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Italicum: i punti contestati dentro Pd e Fi

I due leader rinnovano il patto sulla nuova legge elettorale, ma cresce il malumore di una parte dei loro compagni di partito

Il patto del Nazareno 2.0 ha visto la luce ieri dopo quasi due ore di confronto a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Il nuovo Italicum dovrà essere approvato al Senato entro dicembre. Ma non tutto è stato ancora deciso ed è per questo che la trattativa dovrà andare avanti. Restano aperte almeno un paio di questioni fondamentali: l'attribuzione del premio di maggioranza alla lista o alla coalizione e la soglia minima da raggiungere per entrare in Parlamento. Questioni che i due leader saranno costretti a dover  discutere in casa propria prima di ritrovarsi per mettere l'ultima firma sull'accordo. Sia dentro il Pd che in Forza Italia, molti storcono il naso. Altri sono decisamente contrari e, come nei giorni passati, continueranno a far sentire la loro voce e a minacciare un voto contrario in Aula. 

Per la sinistra dem guidata dei vari Bersani, Cuperlo, Fassina, Civati (ma anche Massimo D'Alema è tra i detrattori del Patto) se la trattativa con il nemico storico per eccellenza rappresenta un insulto, la riforma elettorale che rischia di venirne fuori è del tutto indigeribile.

“Siamo assolutamente contrari”, ha sintetizzato ieri il bersaniano Alfredo D'Attorre. A suo avviso, se fosse approvata senza modifiche all'impianto disegnato dal patto, la nuova legge elettorale presenterebbe profili di “incostituzionalità evidente”. Ma cosa non piace davvero alla minoranza dem? Soprattutto i capilista bloccati, che a scegliere chi va in Parlamento non siano i cittadini ma in una percentuale consistente anche i partiti. “No a un Parlamento di nominati” è il grido di battaglia di chi interpreta il sistema misto previsto dall'accordo come una vittoria di Berlusconi e Verdini.

 

Anche dentro Forza Italia, d'altra parte, resistono molte obiezioni.

Intanto verso il premio alla lista. Il timore è quello di rimanere schiacciati tra Pd e M5S. Senza la possibilità di allearsi con i piccoli, Forza Italia rischierebbe di non arrivare nemmeno al ballottaggio mentre con una soglia di sbarramento al 3% ad avvantaggiarsi di più sarebbero gli altri, a cominciare da Angelino Alfano. Con una soglia così bassa, è il ragionamento, Ncd – ma nemmeno la Lega – avrebbero infatti più bisogno di coalizzarsi con Forza Italia per eleggere qualche deputato in Parlamento.

C'è poi il capitolo “capilista bloccati”. Il timore di Raffaele Fitto e dei suoi è di rimanere fuori dalle scelte del capo. Se infatti i collegi saranno effettivamente 100 e Forza Italia riuscisse a far eleggere una 70ina di deputati (quanti quelli che siedono oggi sui banchi di Montecitorio), si tratterebbe dei capilista scelti direttamente da Silvio Berlusconi tra i suoi fedelissimi.

Da non sottovalutare nemmeno il malumore generale per quella che viene considerata quasi una resa a Renzi e ai suoi diktat, praticamente una “abdicazione alla sua leadership”.

 

Sul fronte Pd il premier Matteo Renzi però non molla e ieri lo ha ricordato alla direzione del suo partito: “Non credo di aver bisogno di un nuovo mandato”. Mentre per tenere a bada i suoi Silvio Berlusconi da una parte insiste sulla necessità di salvare l'accordo con Renzi per restare in gioco nella partita delle riforme e soprattutto per la scelta del prossimo presidente della Repubblica. Dall'altra sa benissimo che votare in primavera rappresenterebbe un rischio troppo grosso per Forza Italia. Il partito è ancora troppo indebolito dalle divisioni interne e dalla ridotta agibilità politica del suo leader. Per recuperarla pienamente Berlusconi confida nell'intervento di Strasburgo per vedere cancellate sia la sentenza della Cassazione contro di lui che la sua decadenza da parlamentare – e conseguente incandidabilità - impostagli dalla legge Severino. Ci vuole tempo. Per questo l'ex Cavaliere sa benissimo di doverne prendere ancora un pò. 

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Claudia Daconto